I luoghi riesco a fermarli in memoria,
sempre. Si che ci arrivo a primo colpo
senza attardarmi per vie tortuose.
Come tornarci, è il rebus che mi assilla:
finisce che prendo strade mai viste
prima, perdendomi in giri viziosi.
Tutto perché ho labile nella mente
il tragitto già vissuto e sofferto
tanto d'assomigliare a un cimitero.
Da ragazzino andavo al cimitero.
Dicevano che c'erano le tombe
dei miei nonni da quelle parti. Sotto
i cipressi cercai a lungo e senza esito
I miei nonni al cimitero. Una sera
che ci fui in processione, a messa
vespro di maggio e calda era la sera,
scoprii piuttosto l'ossario. Mi chiesi
tra un rosario e l'altro, tra ombre di fede
e fiammelle di ceri penitenti
cosa ci facessero lì tante ossa
confuse: un bailamme di crani in sonno;
toraci deprivati di costole
cuori e speranze; trincee di tibie
dai clamori azzittiti di mascelle
cadenti e rotule tremanti; sterni
scarniti d'amori in dimenar d'anche
pur gravanti femori opachi e rotti.
Domicilio ultimo, ove tutto torna
fonte d'origine e sospesa meta
luogo ch'è caos d'indistinti resti.
Eppur convinto d'esserci già stato,
sono, sebbene della strada fatta
ormai senza averne contezza
alcuna, tale che mi permetta ora
e sempre, d'andare e venire integro
per dirne a voi se è luogo di altro o nulla.