I
Sono un uomo fatto tra gli uomini
finito in pasto alle note dolenti. Non suono.
Tuttavia credo ai ritmi, alle abluzioni
in calce alle voci; credo alle finiture
delle cantilene; credo alle spoglie
transitorie che mantengono la parola.
II
Sono convinto che la coda, prima di sparire,
reggeva tutto l’animale che ancora si vede
nelle trappole fotografiche. Il pollice fece meglio
e il passaggio per oggi lo trovammo più facilmente.
L’impugnatura divenne strumento di genere
per l’ergonomia dei caricatori: i calci partono
dalla dissoluzione delle mani tese. Adesso
l’invocazione a te come detto.O come leggi.
Nessun altro rifugio è più insicuro della mente.
III
Perciò ti scrivo da questa pagina di migrazioni:
i periodi volano spiegando quello che possono.
Le date ormai sono vocali che ricordano poco.
Perciò scrivo non al volo e non ad ali di folla.
Fai attenzione: qual buon vento
porta quel che raccoglie ma non ritiene?
Per tutti i corollari del mondo la perla
è il dittongo dopo la d. Rispetta il fiato
corto: è lo scotto, il pedaggio della dedizione.
IV
Mi piace come ognuno viva per dire,
evade l’ascolto ma crede di sentire,
traduce in profilo il guasto della voce.
V
Ma perchè l’aria diffonda la corposità dei toni
è necessaria la consonante vocale.
Poi, tornando la parola, che almeno un timpano
ci tocchi, a voler essere generosi.
VI
Così posati, renitenti alla stanchezza,
esprimiamo il volume incomprensibile
se non addirittura rilegato, cartonato
del bel tomo in visione. Questa che leggi
è la scrittura a vapore: puoi farci l’aerosol,
nient’altro che fumigazione.
VII
Infine, il bene placido dei led consente
l’epica, indica il sentiero, perora ritorsioni.
Ecco, ripaga l’attrazione a cottimo. Ci prende
l’incompletezza dei tronchi quando sfogliano
per la nuova linfa: dobbiamo ancora decime
ai fogli.
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