Sono le sei del mattino da dieci anni e mezzo,
e prudono in qualsiasi ordine cronologico.
Mi battono sulla testa, in tondo e a lungo,
il loro biglietto da visita:
un sacco di loro poesie,
che sono una risposta come un’altra
alla convivenza con la memoria.
Se, poi, accidentalmente mi cadono,
il mio corpo pensa non a una tragedia
ma a un segno di crudeltà,
e si arrabbia con orgoglio.
Non accetta più un solo bacio,
gli abbracci non lo trattengono,
mi dimentica nel tempo di un respiro
e in quello successivo si ricorda,
così può dirmi addio più volte.
Perciò non mi stupiva la familiarità con te,
che facevi uguale dalle prime volte
come se fossi da sempre corpo mio.
E, poiché c’erano fiumi
nelle tue valli e nelle tue pianure,
mentivo e mi fingevo un pesciolino rosso –
facendo sentire te un animale in trappola.
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