ADDIO AD AFRODITE
Questa città in cui vago è straniera:
se anche era mia negli anni passati
oggi mi sfuggono i codici e i dati,
ci vivo mendicando e mi vergogno,
come di un pube diradato e spoglio
che misconosco e poco e male voglio,
mentre trascino aspettando la sera.
È bella Afrodite e leggera,
la pelle scura dai toni sfumati,
crespi i capelli e, sul collo, intrecciati,
i gesti ingenui intanto che si avvera
come un albero snello e vitale,
compiutamente presente e reale,
in un’immagine simile a un sogno.
Non però un sogno del mio futuro,
solo un ricordo di quello che è stato,
un mondo irrimediabilmente andato,
dove cercava risposte un bisogno
che oggi a trovarle non saprebbe usare
perché non ha in sé nulla da dare,
ora che via gli svanisce il futuro.
Non ho più i mezzi per desiderarla:
mi arriva la sua voce, è a me che parla,
ma manca in me una risposta da dare.
Se la sua pelle ha bagliori di perla,
sciolta nell’acido non posso berla,
lei così viva, in me è morto il mare.
QuinSett23
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