La scena: quasi trent'anni fa, dentro un Istituto di ricovero costruito da una nobile famiglia tra fine 1600 e inizio 1800. Una Camera con due letti, uno solo occupato, il soffitto è altissimo, l'antico finestrone chiude male, passa il vento che fuori scompiglia le fronde d'un grande albero, attraversate dai raggi di sole che veloci nubi fanno passare, sembra dica qualcosa.. nella penombra la mano sinistra chiama, la dx è legata al letto, come la gamba sx, poi, mischiata al vento, la voce: è un omino minuto, gentile, non sa, o forse al contrario sa, sente dentro sè, quello che a me hanno detto, il pancreas malato, non si può fare nulla, ma neppure si può lasciarlo sulla strada. La voce è pacata, mi chiede perchè, mi chiede di liberarlo -non si può, cmq sarebbe subito riportato, a ciò che.. è giusto? doveroso? Mi racconta della regione lontana da cui ragazzo partì, per essere sulla strada, per sempre, invece ora.. Io, ricordo ancora, e scrissi, per ricordarlo. Oggi "Uomo di strada" di Annalisa Scialpi mi ha riportato lì.
INVOCAZIONE SENZA DIMORA
Signore, signore!
Ti prego, vieni qui,
perché queste sbarre?
Sciogli la mia gamba,
liberami la mano!
Per decenni luoghi
ho attraversato innumeri
sulla mia pelle incidendo il Sole
sulla Luna scrivendo i miei sogni.
Signore, forse poco tempo mi resta:
generoso lascia che porti i miei passi
di nuovo a segnare la mia ombra
senza ore sulla via che adoro.
Perché nella penombra truce
su questo letto mi trattieni?
Umanità compassionevole,
dici, ma il mio essere umano
è cuore deciso là fuori lontano.
Signore, sostieni che mi stanno curando.
Protrarre non puoi il mio corpo.
Con rispetto t’imploro:
rilascia, e nostro sia un sorriso,
per l’ultima volta viaggiatrice
la mia anima nella luce
delle stagioni felice.
Sento le mie stelle chiamarmi in coro!
Perché bianco ambizioso
onnipotente narciso
qui ancora m’imprigioni
indifferente al lamento
che al loro richiamo
nel vento
rispondo invano?
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