Mi sono conosciuta nel dialogo con gli altri, e nel mio rispondere ho riconosciuto in me un fortissimo idealismo, che ancora oggi sento dentro.
Capitava che mi venisse riferita un'esperienza poco felice, quale può essere ad esempio una delusione d'amore, ed io non esitavo a ripiegarla su di sé fino a volerne svelarne la vera identità, come se ce ne fosse una, ed una soltanto. Era una sorta di de-costruzione al contrario.
Una sintesi a posteriori di cui solo io rivendicavo l'originarietà.
Agli occhi degli altri pareva che io stessi cercando qualcosa la cui realtà era non dubbia, ma dubbissima, mentre per me era solo cercare di mostrarne loro la realtà, ammesso che ve ne fosse una.
Ci ho messo poco a capire che non ci sarei riuscita.
Dov'era la verità del mio spasmodico tentare e ri-tentare di condurre le loro narrazioni ai miei ideali, sperando che anche ai loro occhi si palesasse uno spazio dove ogni azione, ri-conciliata al suo più alto "dover essere", potesse trovare un altro senso, magari più felice?
Che la vita prima o poi risponda, ci credo veramente.
Ma che spesso e volentieri queste risposte sono diametralmente opposte a quelle che ci aspettiamo...io mica lo sapevo.
Dunque, dove collocare questa discrepanza?
Per anni mi sono sforzata di rendere verità e giustizia a quel mio parlare.
La naturalità di una tale dialettica mi è chiara solo adesso: come potevo far coincidere i miei altissimi con la terra, e poi perché?
Quell'urgenza era figlia di una pretesa viziosa, quella di una verità univoca, che fosse mia e solo mia, e alla quale l'altro si potesse adeguare. Dio benedica gli smarrimenti. Mi sono imbattuta nei miei limiti col tempo, col confronto, con la cessazione di un laborioso e sterile ricercare, per imparare poi, genuinamente, a cercare da capo; solo così ho potuto scoprire uno spazio vitale, creativo, quello della inestinguibile tensione tra ideale e reale che ci permette di rendere valore alle azioni incoerenti.
Qualcuno di speciale recentemente mi ha detto che, seppur le nostre azioni non siano sempre coerenti con nostri ideali, non per questo viene meno la possibilità dei secondi, dunque la realtà delle prime.
La vita è un'equazione imperfetta, e cercare di rendere perfetta la perfettibilità è un compito oltre che sterile, estremamente dannoso.
Il mio idealismo è pregno, oggi, di quella dialettica vitale che non solo anima la mia vita, ma anche quegli stessi dialoghi; non più un assunzione di principio, ma accettazione di una discrepanza, che per me ha più valore di qualsiasi principio identitario: tertium datur, e menomale.
Oggi sto imparando a dialogare con gli altri, ma non vi nego che spesso e volentieri mi capita di tenere gli occhi fissi al cielo, nella disincantata ricerca di quegli altissimi, salvo poi scoprire che sono dentro, che sono fuori, che sono tutt'intorno e che reggono, nel senso di conferire senso, la trama intricata di questa vita.
E comunque, ieri il cielo era proprio bello.
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