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Me ne sto con gli ultimi

di Ludovica Gabbiani
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Pubblicato il 19/06/2023 17:17:24

Tu non li capivi mai
i miei digiuni emotivi.

Mi guardavi sott’occhio,
mentre incredulo te ne stavi
di fronte a quel mio strano compiacermi
al suono di quel brontolio
un po’ bradicardico
ma pur sempre mio: il mio peculiare modo
di sentirmi protetto.

Ti rifiutavi,
sordo al mio continuo chiederti
di avvicinare il tuo capo al mio petto.

Aspettavi forse di sentire un'eccedenza
la stessa tua,
o anche solo che so,
la parvenza di qualcosa,
e invece in me era il vuoto da tutte le parti.

Io mutila non potevo neanche più abbracciarti
mentre tu ancora attendevi.

Ti ricordo speranza,
nel fare di tutti gli angoli di quella nostra casa dei piccoli focolai caldi,
spazi angusti ma sicuri,
pronti ad accogliere la tua paura
il tuo guardarmi da una piccolissima fessura
qual era quella del tuo cuore;
io lo ricordo
battente e vivo
incredulo pure lui
di fronte al mio: una monade,
né finestre né amore
che ne potevo capire io dell’anatomia del tuo cuore?

Per me quella era la normalità,
ma non pensarmi cattiva,
vivevo nell’attesa messianica d’un altro
e d’un altro ancora,
incastrandomi bene tra gli spazi felici
e ingenuamente liberi
di quello che c’era,
e di quel non ancora.

Tu mi pensavi assente,
io invece aspettavo
col capo rivolto alla destra del padre,
che mi si figurasse il volto
del suo trasfigurato figlio
il solo che poteva riconoscermi.

Ne sono ancora certa,
in mezzo a tanti interi
come potevano passare inosservati
quei miei grandi occhi neri?

E poi ero quella mutila,
dalle assenze rumorose,
l’interrogativo fastidioso in mezzo al campo di grano,
germogliante e certo del suo benestare.

Io,
io dell’erba cattiva ero l’antenato ancestrale;
ai tuoi occhi
l’origine del male.

Eppure,
quella per me era comunque l’ammissione d’un alterità
non so come dire
quel mio strano modo di stare al mondo,
era comunque diramazione d’un esistere,
sì mio,
incomprensibile
ma c’ero,
in mezzo a quel nulla,
io ero.

Tu non li capisci mai,
i miei digiuni emotivi,
il mio rifiutare un amore certo,
diniego anoressizzante
tutto è per te assurdità,
autolesionismo evidente.

Io ci vedevo,
in quello spazio rumoroso,
il principio del silenzio,
della calma l’albeggiare,
e no,
non l’ho mai vista arrivare,
ma sono certa,
io sono certa del suo stare.

Tu non li capirai mai,
i miei digiuni emotivi.

Ti guardo,
sazio d’una eccedenza che ti si palesa,
te ne stai sereno,
andante nel tuo lineare camminare
mentre scruti all’orizzonte,
violando il mio confine,
lo spazio dell’evidenza
d’una mia imperante resa,
certo della pochezza del mio accondiscendente andare,
tra la vita che mi chiama e il non essere che dilaga.

Il tuo sguardo giudica e deride
mentre mi deforma l’interno.

Tu mi pensi pazza,
sottrai significanza al mio storto camminare
non accorgendoti dello sforzo
del mio tenermi in equilibrio
il valore del mio persistente starti accanto,
accanto al tuo assordante cuore sazio
che per te è silenzio,
certezza,
mentre per me è lacerazione,
è qualcosa che in sé stesso non mi vuole.

Me ne sto tra i ripudiati,
e col capo chino,
sempre rivolto alla destra del padre,
riconosco l’altrui dolore: noi per il mondo pazzi
e invece affamati,
affamati d’amore.


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