Sto quasi per tagliare il nastro delle date
seduto sulla balaustra del lungomare.
Ho provato a dirgli: “riavvolgiti in tempo!”
Niente da fare… Il numero fa la formica
e segue la scia della prima che passa
e manda messaggi la lingua chimica
e mi ha sale il rimpianto. Come non dire
quanto avrei fatto: camminare sulle acque.
Tra me e l’oceano un ponte con le campate
a vela. Per la gonfia maestra questo avrei fatto:
attraversare i mari con passo incontinente,
a più non posso, caudato da molo a molo.
Mi ha beccato prima che a riva la vanagloria;
e l’uccello ha fatto nido sulla costa
dove la ginestra macchia la locanda dei pesci.
Ho bevuto tanto, ma - per carità! - mi è rimasta
la lingua asciutta ed ora sono scalmo, come si vede,
ma remo in circolo: un club salato ed esclusivo.
Così camminando sulle acque, per la partitura
della musica celeste che svapora nel sacro,
tra cadute di vento e uragani che alzano
maree di plancton come lune a mollo,
avrei affrontato i miei leviatani a parole,
piuttosto che nel dialetto locale.
Questo avrei fatto per l’anguilla
che guizza nelle vene e va al sargasso
tra le tempie. E lo avrei fatto per quella
ragione di fondo che le orme sono conigli
e la Terra è il cilindro del mago Universo.
E anche questo avrei fatto: dire ti amo
come passi all’orizzonte
quando appena ci vede.
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