Quaranta pagine bianche
Il racconto della notte forse è lungo.
Non voglio dormire più sola, non posso più farlo.
Ma non posso nemmeno svegliarlo
e attenderlo mi pesa ancora, non posso svegliarlo.
Anche questa notte grido.
Non è solo per gli oggetti della sua stanza da bambino,
forse lui non mi sente ora.
Voglio svegliarlo perché sono sveglia.
Chi scriverà il suo pigiama?
Chi scriverà la sua pelle e le ciglia
voglio chiamarlo ma non so quale voce ascolta di me.
Aspetta un segno dalla letteratura
come se non fossi sua e usa le pagine per parlarmi.
Vorrei che questa mia voce lo svegliasse
come il sole di primo mattino
e vorrei invocare non so quale magia
che possa dare a lui tutte le albe
passate a gridare come ora il riconoscimento
o la vita passate a gridare
la parte di me unita a dio ma lontana da tutti.
Quale incantesimo puoi farmi mentre dormi?
Prendi tutte le mie albe e svegliati anche stanotte grido.
Ti sto preparando quaranta pagine bianche
come anni vorrei che scrivessi per me ora.
*
Come nasce il desiderio
Mentre gridavo nella notte
ho visto dei poeti collegati a facebook.
Ma non posso parlare con nessuno tra poeti
non ci si scrive e sono sposata da dieci anni.
Il sesso con lui è il desiderio di una città che non è Roma.
Quando nella vita ti seguo.
Mi lascio baciare e desiderare
come un uomo innamorato nella città in cui insegni.
E non voglio essere toccata a Roma,
non voglio essere baciata, accarezzata e adorata
ascolto i tuoi baci come l’unica possibilità che mi tiene in vita,
ascolto i tuoi abbracci e i capelli bianchi e i peli e le caviglie.
Un corpo che non è una città ma il mondo e le università.
Poi nasce ancora il desiderio.
Come dopo una tragedia persa,
nasce il desiderio come un neonato piccolissimo
che tiene i pugni chiusi e chiede coccole dalla mia vagina;
nasce anche con lo sguardo di quando vuoi inquadrarmi
da scrittore e tenermi come un critico.
Ci sono troppe cose che devo fare in quaranta anni,
ma se non tieni la luce accesa non vedo nulla sono miope.
Nasce il desiderio: quando mi vuoi lo sento
come il nostro pane solo nostro
perché una forza taglia le ladre e ci protegge.
*
I posteri
Qualcuno bussa alla porta,
mentre parla le faccio cenno di zittire.
Forse è semplicemente la posta con dei nuovi libri.
Lei dice che dovrebbero arrivare anche i giochi dei bambini,
in ospedale è tutto pronto per il parto:
mi hanno preparato i palloncini.
Leggo dei libri sul saper fare bene la mamma,
mi tieni la mano, sorridi al tuo modo.
Spero abbiano i tuoi geni,
di me sicuramente hanno la poesia.
Ti faccio cenno di chiamare l’infermiera,
dovremmo preoccuparci di trovare qualcuno che afferra il senso.
In biblioteca potrei sentirmi subito meglio,
potrei non sentire più banalità
andiamo anche al cinema all’aperto,
portiamo i bambini, mi fido anche dei posteri.
Per fare questo però ho anche un programma settimanale:
di esercizi mentali che consistono in lunedì: curl, flessioni
martedì: tricipidi, squat mercoledì:
manubri, allungamento carponi giovedì:
alzate frontali, affondi venerdì: distensioni,
allungamenti sabato: manubri, piegamenti domenica:
sollevamento bacino, apertura gambe.
Brucio molte calorie a volte invece dei pesetti
uso i libri un po’ più voluminosi.
Segue lo stretching, il defaticamento e le buone abitudini.
*
Nomi propri di città
La prima volta che sono venuta qui
ero troppo delicata per considerarmi
già pronta all’amore di una città
che mi può portare via da me a poco a poco.
Sono più importanti le tue città che le mie
per esempio so che le mie domeniche cittadine
o i lunedì hanno una città che mi informa
che sono una donna,
una moglie responsabile intellettuale quanto basta.
Il pc digitalizza tutto il resto che è possibile:
intervengono insieme giornali, riviste,
amiche spocchiose come me,
interessate che la città sia nostra figlia,
che non abbia alcun tipo di problema.
La città è il posto per sfuggirti quando litighiamo,
è una scorciatoia per trovare i miei conforti,
entro in un bar, scrivo qualcosa,
mangio un dolce distrattamente.
Non posso avere un momento di infelicità perché mi insegui.
Voglio decidere qualcosa da sola.
Ma i tuoi sentimenti sono come questi lampioni
corrono per le strade come appunti sulle mie agende;
mi domina il tuo sogno che trattengo comunque innocente.
Questa città non può vedermi tacere ma mi vedrà viva.
*
Italique
Wikipedia dice che corsivo si dice anche aldino
corsivo si dice anche italico
è uno stile di carattere c'è il tondo, il grassetto, il corsivo.
È usato nelle citazioni testuali
o per porre particolare enfasi
partono anche delle campagne per salvare il corsivo
e salvare la calligrafia.
Quando ci siamo incontrati la prima volta
si è firmato in Corsivo,
siamo andati a letto insieme
e dopo l'appuntamento ci siamo sposati.
Abbiamo fatto l'amore davanti a uno specchio
molto prima dell’inverno
il treno non era in ritardo
le luci dalle fenditure gli illuminavano i bottoni.
Mi sono professata una engagée
vivo nel suo potere.
Non amo le domande sul dolore,
non amo cercare notizie sulla tua biografia
non amo le poesie sugli appartamenti
né mi occupo di affitti;
non rimane niente del niente
ma ora che sono qui davanti a lui
ti racconto ciò che ho vissuto.
Mi sono avvicinata a te quasi come fossi un fratello:
ho cancellato le tracce indecise
e molto di ciò che è accaduto.
Ma non sei un fratello nemmeno una volta:
sei cose che posso sentire e intuire
ma che tacciono e se potessi per un breve
attimo non piangerei una sola volta.
*
Complicità
Anche oggi mi sembrano stiano per arrivare gli alieni,
auto-percezioni e slogan riempiono i nostri atti militanti
se così si possono definire le parentesi angoscianti.
Anche andare di dieci anni indietro
è come farti delle promesse contemporanee:
tu conosci qualche poeta, io qualche profezia.
Losanna mi piace molto.
Ho il profumo nuovo e il costume giallo.
Questo cielo è l’unica via di uscita
o forse l’anima o qualcosa col tuo ritmo
negli spazi come se non fossi mai un altro.
Sulla tua scrivania dei libri
che ieri ho stretto intorno le ginocchia,
sono tentata di rompere la tranquillità blu nel tuo petto.
Ricordo comunque che ieri danzavo nei tuoi istanti
solo per far tremare tutti gli altri
e riempire le tue tasche di ciò che conosci da poco
ma è nostro solo nostro.
Noi siamo scritti sui miei fianchi
anche quando mi stringi le labbra
e abbandoni culle e valigie, gesti e segni.
Amo le chiese a Losanna e Zurigo,
odio grettezza e prepotenza negli uomini
alle volte sono ricettiva, stanca
e ingenuamente commetto degli errori.
Poi mi ricordi che esiste sempre la nostra complicità.
Ci sono delle opere di Paolo Icaro
che fanno venire alla mente
la possibilità di trovare delle porte:
c’è qualcosa di unico nel superare le barriere
del sapere la possibilità di dominare ogni gioco.
*
Conferenza
Alcune poesie non risultano interessati.
Alcuni leggono come statue illuminate
mi dico che non è niente.
Vorrei amare un uomo qualunque ma qui lo conoscono tutti,
ripasso l’idea del bene, del compromesso,
ma è questa vita del mio uomo qualunque
che scrive almanacchi, d’utopia e di filosofia
in apprezzate riviste e in siti senza piume.
È per questa vita del mio uomo qualunque
che parla di cinema e artisti davanti a tutti
che quasi quasi faccio fatica a riconoscerlo.
Dunque ripassiamo: voi siete solo i suoi soldati caduti,
lui sa perfettamente come auscultarmi,
contarmi i battiti, farmi felice e riconfinarmi.
Ognuno dice qualcosa: le luci sulla scrivania sono chiare,
negli intervalli ripasso il mio intervento.
I filosofi mi chiedono ossimori, iperboli, paradossi
come se io sapessi tratteggiare un avvenire
o come se dovessi introdurre l’ennesima retorica.
Il primo uomo seduto tra il pubblico si scuote la giacca,
aspetto il tuo sguardo invisibile come una firma.
In fondo c’è una ciurma di intellettuali politici
mentre tu organizzi un coro
sono obbligata a comportarmi da moglie,
per un momento ti assenti.
L’uomo seduto in prima fila
si è fatto avanti spunta dalla ciurma di intellettuali politici
sento che freme dalla voglia di domandarmi
qualcosa imprimendo una citazione
che avrà pensato appena sveglio
(di Heidegger, Foucault, Benjamin,
Arendt, Weil, De Beauvoir, Sartre, Badiou, Zirek?)
torni mi guardi come per dirmi di non sprecare troppo tempo,
torni e ti leggo la mente che dice Caravaggio, Matisse, Mirò, Klee, Goya…
*
Farfalla astuta
Mi nego per farlo vincere.
Le emozioni sono rovesciate e fragili,
queste finestre sono tutte banali.
Il suo sorriso vedete mi compone,
ad ogni blu che è la mia carne.
Perciò la realtà non è più divisa
e lui scrive di politica
e di come farsi animale togliendomi prima le calze,
poi le mutande prende spazio
per dirsi l’infanzia poi mi dice ora voglio la saliva,
ora voglio Duchamp, ora voglio il paradiso,
ma se sono sempre stata qui nelle mie scorciatoie,
sono sempre stata qui in questi incontri
con la leggerezza nascosta,
celata nel tuo diario disperato
quando purezza e profondità
mi rendono felice anche da sola
e tu cerchi di ingoiare
ogni privilegio ogni ipotesi di farfalla in me.
*
L’idiozia delle comunioni spirituali e artistiche
Si sono sommate troppe cose da lontano.
Ora sono a casa nostra,
ho incontrato al supermercato delle donne nomadi
parlavano spagnolo o polacco avevano la pelle bianchissima.
Io avevo tra le mani un portachiavi con una nocciola,
e ti aspettavo a casa nostra guidata da presenze popolari
che ti benedicevano e facevano saluti e spergiuri.
Casa nostra era non molto grande
ma c’era una aria leggera ascoltavi Lou Reed e Thurston Moore,
Noi ora non siamo situazioni,
non vogliamo più stare qui soli col mio e il tuo sangue:
è perfetto ora il tempo che lavora per noi
tutti ci conoscono nell’igiene del sangue
ci conoscono nelle isole dell’arte
mentre ti prendo per mano nei musei interiori ed esterni
che queste forme di ritratti, questi soldati, questi destini,
questi incidenti, questi paesi deserti, questi battesimi,
queste mani sono impercettibili alla scienza.
Siamo qui seduti per non farci del male,
mi baci e mi dici che è il piano di dio,
dirti che ti appartengo
non lo fanno solo questi fogli lo dicono i bar e i pomeriggi caldi,
lo dicono gli aerei che grattano i cieli
e mentre alcuni fumano vicini
fai per allontanarmi:
crei ogni volta un altare nuovo per noi.
*
Porpora
Aprimi il vestito.
Marianne Moore ha scritto una poesia che parla di angeli.
Lei invece non scrive poesie sta seduta davanti a me,
dice che non sa nulla di cose invisibili,
non conosce molti poeti. Ma mi vuole bene.
È freddo fuori, gli alberi sfilano ascoltati.
Mi tocchi i piedi, poi quando mi abbracci
sono riassunta nell’antico.
Il paesaggio diffonde le sue notti per me illuminate.
La nebbia mi gonfia i capelli ma riempio caldo il tuo fiore
soprattutto quando seduto lasci che su di te parli dei vivi,
dei mari del Nord, di consonanti e antenati.
Ci sono cose che mi fanno sentire molto felice
che mi fanno sentire innamorata:
i messaggi privati sono i miei preferiti,
quelle sorprese che mi seducono durante il giorno.
Mi piacciono gli incontri,
il vuoto che riempi di sorrisi,
quando mi chiami e vuoi sapere come sto,
semplicemente quando scacci tutte le altre per me
quando mi riconosci e mi difendi davanti agli altri
che sembrano eventi naturali non per me,
per una come me che ha vissuto di scenate,
di allontanamenti, di tormenti,
che ha vissuto dei suoi momenti irrequieti
non per una come me a cui gli è pesata l’aria
e credeva di non potersi mai più affacciare all’amore
non per una come me che risponde alla luce con la luce
che resiste alla dimenticanza
che crede nella scienza e nell’imbecillità umana
che nonostante tutto crede a un dio primo
che possa apparecchiarle un uomo da non condividere,
un uomo a cui mandare le foto
da una casa con una piccola libreria:
due finestre da cui si vede l’acqua
il ricordo delle mie nonne quando mi sento giù
soprattutto quando non voglio saperne dei discorsi sull’eternità
non voglio che manchino all’appello
la naturalezza, la verità, la gradevolezza.
*
Venezia
Lasciare scorrere le cose vive.
A Venezia nessun morto mi ha parlato in sogno.
Non ci sono cose insensibili.
Concordo con dio per una sorpresa ogni giorno.
Concordo anche di farmi trovare i soldi esatti,
gli articoli buoni, il latte in frigo,
chiedo il consenso anche di scegliergli io ogni luce,
di accordarmi la sua cura e il sigillo
chiedo a dio anche di scacciare le altre
di tagliare i fatti ad ogni inizio,
di non farmi aspettare le reazioni dei giorni dopo.
Tu hai le chiavi dell’albergo,
insieme a piccole soluzioni su sfere di luci piene.
Incontro il mondo fuori che grida tragedie,
incontro una finestra di amori scartati dal mondo
di una eco così tanto forte da riportarmi alla carta.
Siamo dediche nude di stagioni dimenticate:
entriamo in albergo e mi inventi le gambe,
il tempo è fuggito, invocato nel bagno.
Nello spazio i quasar, i pulsar.
Nei continenti che bruciano
bussano le linee verticali di titoli evocati.
Voglio vedere le maschere e le sale d’arte.
Portiamoci a fermare il segreto.
I continenti hanno mille cicatrici
nell’ultimo gradino di ogni scala.
Le navi ci fermano al punto che la parola
è una piccola sfida silenziosa.
I testi, le immagini o i video pubblicati in questa pagina, laddove non facciano parte dei contenuti o del layout grafico gestiti direttamente da LaRecherche.it, sono da considerarsi pubblicati direttamente dall'autore Sabatina Napolitano, dunque senza un filtro diretto della Redazione, che comunque esercita un controllo, ma qualcosa può sfuggire, pertanto, qualora si ravvisassero attribuzioni non corrette di Opere o violazioni del diritto d'autore si invita a contattare direttamente la Redazione a questa e-mail: redazione@larecherche.it, indicando chiaramente la questione e riportando il collegamento a questa medesima pagina. Si ringrazia per la collaborazione.