POVERO BLEK
Povero Blek incatenato
di pietra ti scagliai ire bambine.
Strappavamo code alle lucertole
e bruciavamo formiche,
sul quaderno di Scienze le tinte
delle foglie spillavamo e delle farfalle.
Nelle fasce nei panni stretto
imprigionato nella casa
nel grande orto nell’asilo
nella scuola nelle sacre funzioni
nei raccolti abbandonato
a pulirmi nutrirmi andare
pensare parlare, a chi?
Da uomini educato bruschi
per altre grosse incombenze
insultai terrorizzato
l’ago del dottore,
per noia pietre d’un muro
iniziai a tirare sventato,
con una lancia ferii
il piede dell’amica,
con un sassolino lontana
centrai la paterna fronte,
giocando a rubamazzetto
nel cortile di casa cercai disonore,
pronte sgridate ricevetti
e percosse furenti.
A metà dei dieci comandamenti agitato
davanti al Direttore restai imbambolato:
il peccato con un coniglio al maestro fu espiato.
Da un unico film a lungo sospirato
pauroso ritornai solo nel buio,
senza più voce fui trascinato
ove offeso non desideravo.
Asfittici vuoti e galline
dentro sacchi costrinsi
e rabbioso bastonai.
Recluso in tenaci sordità
mi rivolsi all’attesa grande pioggia
perché tutto portasse via
insieme alla mia esasperazione
e fui rimproverato con sdegno.
Blek, quando quelle catene
d’antica potenza sento
tornare per carcerarmi e soffocarmi
stringo la mia mano d’allora
e con dolcezza mi conduco
ove con occhi talvolta lucidi
e labbra a sorridere dischiuse
libero come lieto canto
senza più tanta paura e collera
vuol della mia anima
ora dirigersi il volo.
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