(Dedica romanzata ad un popolo veramente esistito.)
Vivono nella città della nebbia,
Kuelap,
un posto inaccessibile e sconosciuto.
Si racconta che le loro case siano di cristallo di bruma con riflessi d'infinito.
Da qui salpano gli angeli delle nubi,
su vascelli di nuvole,
issano vele d'arcobaleno cucite con gocce di rugiada,
gonfiate dalle correnti dell'amore
solcano i mari del cielo.
Veleggiano su di noi
gettando invisibili reti intrecciate con corde d'anima,
pescano i nostri pensieri,
anche quelli più intimi,
speranze, paure, sogni, disperazione
e tutto ciò che affolla la nostra anima.
A volte nel farlo piangono.
Le loro lacrime,
alate di compassione per noi,
sono la pioggia,
petali di dolore per ciò che ci affligge
perché vorrebbero che quelle perle d'amore
lavassero e portassero via le impurità della nostra anima.
Anche quando il cielo è sereno,
loro veleggiano su di noi,
non li vediamo perché dipingono i loro velieri con l'azzurro della serenità.
Nella loro città riempiono cesti con polvere di sogni e la notte,
nel silenzio dell'esistenza,
li spargono su di noi.
Uno scintillio invisibile illumina il buio della nostra vita,
aliti d'infinito s'adagiano nelle profondità della nostra anima
e danzando come lucciole in festa
cacciano il nero che vi alberga.
Anche se non tutti riusciamo a cibarci della polvere dei sogni
e i nostri respiri conoscono l'affanno,
loro sorridono e continuano a spargere quei semi che prima o poi germoglieranno.
[ Da adesso in poi, ogni qualvolta guarderete le nuvole,
penserete ai Chachapoyas, il popolo delle nuvole. ]
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