Il giorno improvvisamente muore,
gemono le chiome recise e i muscoli spolpati
degli uomini dalla vita ripudiati,
il loro atavico dolore grida agli ultimi bagliori di ponente
e se il crepuscolo dardeggia raggi di purpurea sofferenza
loro tremano innanzi alla scena della fine di una stagione così dolente.
E il giorno muore e campi dorati, strade ferrate, varchi rocciosi, aride
sponde spengono quei reietti e il loro patir è pari al vespro cadente
e la loro vita è un emarginato rigagnolo d’acqua arsa e impura.
In quel rigagnolo triste scorre, fragile, sangue di vittime, sgomento
di cuori inermi e il tramonto del giorno diviene spettro di tenebra, paura.
E questo vespro chiude un’epoca, schiude un’era di nuovo tormento,
gli inermi dal capo inclinato e dagli occhi piangenti temono
mentre i tentacoli di una sera fatale li opprimono.
Sembra ben vana speranza quella che indica una provvida salvezza
a chi dalla speranza è stato tradito e i provvidi uomini sono morti.
Ma dall’ultimo orizzonte del mare dove muore il crepuscolo
grida una voce, si innalza il richiamo di un angelo, trionfano i risorti
e nell’ora del funesto tramonto sorge la mano salvifica.
A tanto patir del cuore, voi miseri, inermi traboccanti di lacrime
non foste condannati invano se dopo l’espiazione
la fine di questo giorno vi dona grazia angelica e liberazione!
Negli infiniti patimenti del cuore
in una sera d’oscuri presagi parve cadere tanto dolore
ma il vespro si chiude tra gli angeli che risuonano la speranza.
Dolente vittima del mondo esulta
perché questo tramonto è visione augurale,
è l’oscurità che adombra una novella luce,
il buio dell’anima che anticipa il risveglio,
torna sereno nella tua umile dimora
perché il cielo ormai oscurato,
è il tramonto preludio di un’eterna aurora.
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