https://atunispoetry.com/2022/11/08/dr-arch-franca-colozzo-italy-2/
Sale dal mare un sospiro profondo…
Non di vento né cigolio d’onde.
E’ il respiro di tanti migranti,
gli uni sugli altri ammassati,
reietti al loro destino abbandonati.
Un bimbo piange sotto il firmamento
che fa da coltre all’umana miseria.
L’acre odore di vapori esalati
l’aria tutt’attorno ammorba.
Contro la morte una donna,
tra l’indifferenza di chi
abbarbicato resta alla vita,
La barca solca la distesa scura
in cerca d’un approdo sicuro.
Ondeggiando, s’accosta a riva,
confidando in una mano amica,
Sale dal mare un sospiro profondo…
A deep sigh from the sea rises:
It is the breath of many migrants,
one on the other crowded,
by their destiny rejected.
Under the firmament, a child cries
What is the cause of human misery?
The odor of steam exhales
a woman fights, tired of suffering.
The sea is waiting for her
not even the burial ground.
between the indifference of those
are stuck to live, like a leaf
The boat in the darkness sails
looking for a safe harbor.
Oscillating, it arrives on the shore,
waiting for a friendly hand,
A deep sigh from the sea rises…
Innamorati persi, a piedi nudi,
andiamo verso sogni lontani.
Vele bianche all’orizzonte aspetta Egeo,
ma vele nere dispiegate al vento,
la nave di Teseo, dimentico,
conduce verso i patri lidi.
“Vele bianche issa al vento
il Minotauro avrai ucciso!”.
“Ahimé, d’Egeo obliato ho l’accorato appello
e la mia nave veleggia in balia di procelle”.
dall’alta rupe ti gettasti
e ad esso il nome tuo lasciasti.”
THESEUS’ SHIP
Lost in love, barefoot lovers
We are going to join distant dreams.
White sails on the horizon Aegean king awaits,
But suddenly black sails spread out in the wind,
the ship of forgetful Theseus,
to the shores of the homeland leads.
“Raise white sails if in Crete
the Minotaur you will have killed!”.
“Alas, I have forgotten my father’s heartfelt prayers
and my ship is now sailing at the mercy of the gales!
Into the Aegean Sea, dear father,
afflicted by so much pain,
leaving your name to it.”
Ashraf Fayadh is my name.
I appeal to God’s judgment
not to you, unfaithful servants,
your soul you have sold to the devil.
In front of the judgment of God
all of you will appear naked,
unarmed and without jewels,
without your mortal remains,
Ashraf Fayadh is my name.
to Magna and Felix Arabia
among sand dunes fragrant with spices,
now scattered of black gold in wells.
I was condemned without reason
against new slavery and death.
Ashraf Fayadh is my name.
of the world’s most powerful men
slaves of the cruelty of rich ones.
In front of the judgment of God,
cheered by the choral embrace
of free men moved with compassion,
my soul will fly over the evil darkness
without material limitations
Ashraf Fayadh is my name.
Ashraf Fayadh è il mio nome
Ashraf Fayadh è il mio nome.
Mi rivolgo al tribunale di Dio,
non a voi infedeli servitori,
che per un barile di petrolio
vendeste l’anima al demonio.
Ashraf Fayadh è il mio nome.
le vie carovaniere tra sabbiose
or sparse d’oro nero in pozze.
condannato fui senza ragione
soltanto per essere un vate,
contro nuova schiavitù e morte.
Ashraf Fayadh è il mio nome.
dei potenti orbi e schiavi
d’arricchiti truci e ignavi.
Al tribunale di Dio l’anima mia,
rincuorata dal corale abbraccio
d’uomini liberi mossi a pietà,
sugli abissi si libra in alto
senza materico intralcio.
Ashraf Fayadh è il mio nome.
Belated Spring flies away
from Mashreq to Maghreb to Libya,
jasmine garlands it carries on its breast,
to the freedom suppressed,
to the women have it cherished,
to the democracy repressed.
by fake improvised prophets,
by the belly of terror generated
to overthrow former dictators.
covers with sand the Libyan dead
and breathes on bloody flags,
injured by opposite tribes.
The expert helmsman navigates,
uncertain the prow sails,
hardly riding on the waves.
Lampedusa, my beloved island,
life anchor in the storms,
lighthouse in the darkness,
safe harbor you give to exiles.
by blind cruelty distress,
of proud Syria her blood,
for revenge, God calls aloud.
Primavera tardiva vola via
dal Mashreq al Maghreb alla Libia,
di gelsomini reca in seno un serto
l’alito infuocato del deserto.
all’idea di libertà repressa,
alla donna che l’aveva cullata,
alla democrazia soppressa.
Primavera a voce declamata
da falsi libertari improvvisati,
dal ventre del terrore vomitati
a rovesciar tiranni meno ingrati.
L’arido vento caldo del deserto
copre di sabbia i morti di Libia
e alita su bandiere insanguinate
da opposte fazioni bersagliate.
Naviga il nocchier esperto,
su lastre increspate di cobalto,
procede sobbalzando la prua incerta,
cavalcando a fatica l’onda erta.
nelle tempeste àncora di vita,
faro di luce dopo stenti e fame,
doni al naufrago conforto e pane.
Primavera esule e negletta
da cieca tirannia ch’ora langue,
della fiera Siria il suo sangue
grida a te libertà e vendetta.
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