Oggi 4 novembre - invecchio.
Sempre più sarò seduta al bar testimone
di me e di quanto tutto intorno passa.
La banda suona l'inno ma no,
solo per caso sono capitata.
Davanti alla piazza mi siedo accanto
al mitico ragazzo del cinema -
non solo biglietti, anche conversazioni
sui film più interessanti -
che più ragazzo non è.
Intanto suonano i ragazzi sotto un leggero
protettivo mantello di pioggia -
e brillano gli ottoni e i loro occhi
vestiti per oggi di serio entusiasmo -
prima dell' ufficialità degli uomini.
Suonano l'inno, i ragazzi, e come ogni inno
raccontano di miti e sogni infranti -
le guerre, le morti inutili ed eroiche
di strati su strati di giovani
che casualmente o per scelta
stanno da una parte o dall'altra.
Oggi Mariupol - non solo - tutto,
proprio tutto è memoria
se non hai travi dietro agli occhi.
E non me ne frega niente di chi ha torto
o chi ha ragione. Oggi come sempre
non importa - è sempre troppo
incomprensibile e troppo,
troppo complicato.
Mi alzo e faccio un giro per la piazza
accerchiando i fulgenti suonatori -
ma un travestito - bella donna adesso,
di buone creme profumata e con aria
di sfida triste e rassegnata -
mi chiede fuoco per una sigaretta.
Pesco, nella grande borsa dove
sempre ultima la cosa che cherchi
è quella poi trovata, l'accendino
e nella coppa delle nostre mani unite
accendo e fisso nei begli occhi
che mi fissano. Sorride un sinuoso
sorriso e improvvisamente
mi abbraccia - forte - rendo l'abbraccio
tra i suoi lunghi capelli neri e profumati.
Mi trattiene e anch'io stringo
nel lungo abbraccio. Una commozione
lenta e progressiva mi accompagna
accanto al rito di altri idoli seduti.
Stanno, le lacrime, nei bordi, trattenute.
E si mescola la giovane banda
all'abbraccio ricevuto e dato.
Cosa più vero? Cosa più misero e sublime?
Che importa? Non me ne frega niente.
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