Nell'ora più buia della notte la mia anima lasciò la sua casa,
per compagna una vuota bisaccia di solitudine.
Si diresse verso il lago del silenzio,
si spogliò delle illusioni
e sedette sulle sue rive.
La pelle striata da scudisciate
non sentiva più dolore,
si era ormai arresa al buio che avanzava
e si preparava all'ondata di nero che l'avrebbe avvolta.
Mille e mille volte era morta e rinata,
e ancora sarebbe morta e rinata nei mondi dell'incertezza,
dove ogni attimo dilata all'infinito
solitudine e smarrimento,
dove il nero di quel buio diventa così accogliente
e la luce non ha motivo di esistere.
Vide il fuoco sorgere dalle acque
e una voglia improvvisa s'impossessò di lei.
Sulle punte delle fiamme della solitudine,
volteggiò in balli tribali come un'anima primitiva
in cerca della luce che aveva smarrito,
di se stessa e della sua compagna.
Seguì i passi di luce dei desideri quasi spenti,
vi soffiò dentro,
ciò bastò ai suoi sogni per sentirne il respiro,
e all'infinito che era ancora viva.
Pezzi di paradiso caddero in quel luogo
squarciandone il nero inchiostro,
i venti del nord fecero il loro ingresso
e lei danzò coi colori delle aurore
sui sacri fuochi di quel paradiso in fiamme.
Lingue di luce e amore si sostituirono alle fiamme,
i colori delle aurore sfumarono nel bianco
e partorirono la sua anima gemella,
si unì a lei in un abbraccio infinito,
anima nell'anima.
I desideri che avevano camminato nel cielo
li adagiarono su fioriti prati seminati con la passione spontanea dell'anima,
il loro possedersi trasformò il bianco in rosa
e poi in rosso porpora,
il colore dell'unione dei sensi.
Su loro piovvero gocce di rugiada,
s'incantarono a guardare la pioggia ed ascoltarla,
era il fluire dell'eternità che li chiamava con le sue gocce d'infinito.
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