Jerusalem
Ero venuto come dentro un sogno –
ma tutto vero a dirsi – come se tornassi
da lunga distanza e «discorreva su lasse
corniciature in alto un dito di fuoco»
assai domestico mentre il Castello
scricchiolando salpava il Castello
di fantasticherie adolescenti
invereconde che scaricava
il treno di Canzo alla Nord dalle sponde
del distretto dei laghi
Io! dicendomi senza sentirmi io
un piè-veloce dall’amitto di gioia
poietès senza nessun scritto.
K 551
Non aprire la casa.
Tieni sbarrata la porta
che non irrompa l’ospite dalla testa sfolgorante
arrivato a passi di lupo
come dice il suo nome.
Ma il fuoco è delizioso
drums and trumpets che «scalano l’Olimpo»
però nel mezzo una lama d’evanescenza
come nelle vecchie foto
della Generazione Perduta – sbattuta
ai quattro canti della deiezione.
Resistere. Non chiedere niente.
Scoprire sotto l’invadente
padre degli dei il minuscolo dio
che costellava le carte musicali.
Calma altezza dell’Altro
dove mai arriveremo – da una terrazza lontana
dirai, della nostra giovinezza.
Lingua franca jocundissima.
Troppa se non se ne distilli un resto
d’infantile risarcimento
a ciò che sempre manca.
O mio Capitano
Senza la macchina da scrivere
non si fanno versi.
Qualcosa di meccanico salva
la poesia che non sopporta
il toppo umano dell’umana grafia.
Meccanico è anche il forte
sconnettersi della paranoia
necessario perché altrimenti
come accettare il vento i suoni
del lontano Atlantico
e finalmente che l’anno
finisca e un secolo
precipiti nell’altro e alta cenere
piova su tutto dal ghetto incendiato
dalle cataste infornate?
Con occhi di fuoco con denti
di fuoco i fantasmi dello schermo
non guardano noi non ci dicono niente.
I ragazzi in piedi sui banchi:
«Capitano! mio Capitano!»
Lui appoggia l’occhio sulla mano
sudori strani rigano la faccia
i colori di guerra dei Comanci.
La tropposvelta
Perché scrivere (tentare di scrivere)
una poesia. Ma breve – per arrivare alla fine
prima che la Cosa che corre via si rimbuchi
in fondo al foglio. Prenderla per la coda.
Ma:
ecco che s’annoda s’è già annodato
il filato delle parole.
Per esempio l’altra sera qui c’era un pensiero
faticato eppure scritto con un dito di fuoco
dentro il cervello o più dentro –
ed ora un vuoto bianco
( )
La poubelle dove si scarica
ogni immondizia mentale: cenere ritagli...
Il vecchio ormai vecchio scribellatore scartabella.
Niente resta più giovane neppure il poema.
Vers/versi in ritardo lunghi
senza capo né coda.
Dunque ognuno d’essi roda
il fegato scribacchino.
Questa Cosa – la tropposvelta la dissolta
questa fu scritta dal fondo
sperando di arrivare in tempo.
[poesie tratte da L’annata dei poeti morti, Marsilio, 1998]