LA POESIA: CONSIDERAZIONI IMPOETICHE
Poesia è solitudine negata:
una lezione male imparata
sempre saputa e mai davvero appresa,
ultimo afflato pensando alla resa.
Per ciò si prendono delle parole
(che già hanno l’altro dentro da sé sole)
e poi si usano per far sentire
a un altro altro (da ciò?) che ha(nno) da dire.
E spesso non c’è dietro quasi niente
solo parole ad arte incastrate
ma accade che richiamino un inverno
un’estate un amore un frangente.
Quel che passa è comunque molto poco:
un lineamento una genziana un fuoco
e qualcosa di ciò che è dietro agli occhi:
flash che ritornano e quasi li tocchi.
Come un interruttore mal pensato
non accende le luci in ogni lato:
a questo una lampada in cucina,
a un altro una candela giù in cantina.
Solo talvolta come un temporale
partono lampi, e fanno anche male,
che per un tratto illuminano a giorno
un angolo di vita e ciò che ha intorno.
Ma la chiarezza non dura un secondo,
ripiomba al buio l’universo mondo
e poi, ciò che è comparso era il vero
e solo un pezzo oppure tutto intero?
Comunque la mediocre trasmissione
non passa ordine né informazione,
si riduce a rumore più che a suono:
soltanto a volte un: “Se ci sei, ci sono”.
Ma la poesia sono parole rese
quelle stesse che un giorno abbiamo apprese:
ti offre un’arancia un contadino
e a sua figlia offri il succo come un vino.
Insomma, è questo o altro la poesia?
Come altrimenti si dovrà spiegare?
Forse è soltanto il breve tentativo
di rimediare, quasi riparare,
con poche parole e con molta pazienza
all’ineluttabile inefficienza
dei nostri doni di tele(m)patia.
QuinMar22
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