I nuovi salmi: bocca a bocca con Dio.
Antologia curata da Padre Ribaudo e Giovanni Dino.
Dio: cercarlo, amarlo, invocarlo, dubitarne, negarlo, e addirittura insultarlo, spodestarlo della sua onnipotenza, farne un abisso, un errore, bruciare per Lui o lasciarlo in una gelida distanza; ma sempre sentirlo come la domanda essenziale dell’esistenza, quella che determina in modo fondamentale un’inclusione o un’esclusione dalla dimensione della filialità divina, una scelta di continuità soltanto biologica o metafisica.
Così nel corso dei secoli passando attraverso vari sistemi filosofici, costruzioni ideologiche, antitesi e scontri teologici, lodi e bestemmie di scrittori e poeti. Una pesante eredità, un infinito sfaccettarsi del sentimento religioso, una laboriosa oscillazione del guazzabuglio che è il cuore umano, come lo definì Manzoni.
Ma tutto questo non appartenne ai salmisti che collocavano al centro della storia d’Israele un Dio che li aveva eletti come il suo popolo, quello da difendere da ogni assalto nemico e a cui assicurare un giorno una grandezza senza limiti; che credevano con ferrea certezza che Lui dall’alto dei cieli ascoltasse i loro lamenti e le loro suppliche e perfino approvasse i loro sentimenti di odio ed esaudisse la richiesta di vendetta contro i nemici, che della propria vita facevano un insieme di giorni tributati come riti santi alla sua potenza. Loro che erano convinti della fragilità dell’uomo e dell’impossibilità di non macchiarsi del peccato, ma che, al contrario di altri sistemi teologici, riconoscevano nella colpa l’implicita redenzione, perché “Il ritorno a Dio – scrive Magghid di Mezzitch – è nel peccato come l’olio nell’oliva.”
Una forte soggettività (e però sempre posta nell’ottica di una coincidenza tra l’io ed il noi, tra il bene individuale e collettivo, l’io come elemento corale) contraddistingue i salmi, spesso una certa terrena, troppo terrena umoralità, poiché in fondo il loro Dio Unico non è così distante dagli dei pagani. Egli nutre sentimenti d’ira, di gelosia, di vendetta, anche se può e sa amare gli Israeliti come figli prediletti. Infatti la caratteristica nuova di questo Dio unico degli Israeliti è la capacità di stabilire un rapporto d’amore con ognuno di loro. Manca ancora quel respiro cosmico che darà all’amore tra Dio e l’uomo -ogni uomo vivente sulla terra e addirittura ogni essere creato, come dirà San Francesco- la predicazione di Gesù, incarnazione del Divino Verbo. Con lui si spalanca l’Amore e con l’amore la libertà.
Che è soprattutto libertà d’espressione, e quindi anche rischio, soprattutto se la parola è quella dei poeti, non perché essa sia , come scrive Turoldo, “risoluzione e pacificazione del conflitto “ che è in sé “il mistero paradossale del Cristianesimo”, ma perché ne è, comunque “sua massima espressione” ed “apertura”.
Bisogna tenerne conto quando si sfogliano le pagine antologiche de “I nuovi salmi”, che raccolgono le voci di tantissimi poeti italiani e non, cattolici e non, religiosi e laici, credenti e agnostici. E non importa se i grandi sono mescolati ai più piccoli, perché, pur volendo essere un’opera letteraria, l’antologia vuole farsi soprattutto testimonianza della temperatura spirituale di questo nuovo millennio.
Davvero c’è un legame tra questi salmi contemporanei e quelli biblici? Può definirsi questa operazione voluta da padre Ribaudo e da un poeta come Giovanni Dino, cantore appassionato delle cose dello Spirito e delle creature, corretta e soprattutto “utile” ai lettori?
Qui, infatti, non si trattava di ispirarsi ai salmi (come hanno fatto già in tanti, come Spaziani, Turoldo, Ungaretti, e molti altri) di attingerne bellezza e fermenti poetici, immagini e toni, ma di rifondarli in chiave moderna, perché fosse palese in che modo l’uomo d’oggi sappia lodare Dio, supplicarlo e percepirne la presenza nella storia.
La prima osservazione è che, in generale, la potenza espressiva dei testi biblici, l’abitudine uditiva al loro linguaggio in quanto presenti nella liturgia cristiana, abbiano influito non poco sulla composizione dei nuovi; e soprattutto, abbia esercitato una sorta di pressione e di limite la considerazione della loro sacralità, al punto che alcuni poeti hanno come tradotto in un linguaggio moderno il testo loro assegnato, sicché le varianti vanno riscontrate nella libertà della struttura e nella variazione dei ritmi; e però c’è senz’altro una caratteristica del Dio d’Israele, la propensione alla vendetta, che viene sempre respinta ( fatta eccezione per pochissimi autori), al punto che un poeta aggiunge in nota di non potere continuare il suo salmo perché mai potrebbe invocarla contro chicchessia; e questo rifiuto, al di là della reinvenzione più o meno originale del salmista contemporaneo, sta a dimostrare che il messaggio cristico, la sua nuova morale, hanno profondamente mutato il rapporto fra l’uomo e Dio, che Dio davvero è ormai sentito come padre di tutti gli uomini, come Amore; anche se di una qualità inafferrabile, misteriosa, indefinibile, e, spesso, muta.
L’amore che c’è e non si esprime : così lo percepiscono molti fra questi poeti contemporanei, arresi alla ratio dell’economia, assediati da forme di comunicazione sempre più invasive e dallo sfascio dell’ambiente, eppure a Lui così intimamente vicini, quando si aprono alla meraviglia del creato, quando si accusano d’indegnità consapevoli della grandezza divina del loro spirito, quando riconoscono nel vuoto lo splendore del pieno che verrà, quando percepiscono il nulla come ciò che ancora Dio non ha manifestato; quando, pur accusandolo di essere troppo silenzioso, ne hanno tanta fame e sete e ripetono le parole già dette, già infuse sulla bocca dei profeti e dei salmisti e di Gesù e dei Dodici.
L’altra rivoluzione del Cristo, Dio che si abita anche carnalmente il tempo, sta nell’attualizzazione di molti di questi salmi che invocano la rigenerazione, la katastrophé, ispirandosi anche alla visionarietà sublime e “barocca” dell’Apocalissi, accogliendo l’attesa del dissolvimento del velo che copre la verità. E non manca l’ardore mistico, quello che d’un salto attinge la magnifica incorporeità dell’assoluto attraverso l’esaltazione dei sensi, quali strumenti di conoscenza, secondo la sapienza orientale; cosa che non è del tutto identica al sentire degli antichi salmisti che cantavano questi testi accompagnandoli con strumenti musicali oppure con una forte gestualità del corpo, ma per sottolineare la totale dedizione della creatura al suo Creatore.
Che cosa significa, allora, leggere questi nuovi salmi? Significa guardare, stupefatti, la trama complessa dello spirito umano e udire, con commozione, la resistenza della preghiera.
È, infatti, il salmo una preghiera; e cioè il testo più assurdo che un uomo possa concepire, perché, mentre la pronuncia, l’uomo sa che non c’è strumento di comunicazione che possa recapitarla al destinatario, perché il Destinatario non si sa bene dove stia, e se mai l’ascolterà; e proprio per questo rimane il testo più bello e forte e il gesto più colmo di speranza e di umiltà, specie quando, più che nel tempio, collettivamente, è recitata nel chiuso della propria mente, fra le mura di casa.
Certo, questo è il tratto comune fra i salmisti della Bibbia e quelli contemporanei: avere sulla bocca il nome di Dio, respirarlo, assimilarlo, chiamarlo, rassicurarlo del nostro amore per Lui, rassicurarci del suo amore per noi.
Una scala tra cielo e terra si erige con tutte queste parole, e le parole salgono come messaggeri sonori, hanno le ali dell’anima, sfondano il confine tra visibile ed invisibile.
Sempre, sempre questo è il tentativo: cum-prendere il mistero. Tutti i nostri genitori c’insegnarono a guardare il cielo notturno e da bambini, allora, sentimmo palpitare mani, occhi e cuori, abbiamo percepito qualcosa al di là delle cose visibili, un breve, magnifico schianto dei sensi. E abbiamo interrogato, più grandi, luna e stelle come il pastore del Leopardi.
Dunque, a maggior ragione, in quest’epoca in cui più cresce il sapere della scienza, più si ingigantisce il mistero ( non è affatto il contrario, come si dice), visto che quest’ultimo sempre sopravanza il primo ( come dire: più si conosce del Dio manifesto, più aumenta il non conosciuto del dio nascosto) sono estremamente utili e belli questi salmi, che esprimono l’inquieto spirito della modernità. Sono la voce delle nostre limitatezze e della nostra gloria, della nostra debolezza e della nostra forza, del nostro essere e del nostro volere essere, del nostro errare e del nostro bisogno di purificazione, delle nostre paure e dei nostri sogni.
L’uomo! Se lui non riuscirà mai a conoscere Dio, Lui ci conosce già tutti ad uno ad uno. E forse, tutto sommato, ha dato una mano a comporre questa antologia, e, come già gli antichi salmisti, ha in-spirato i nuovi. No, certo, non dico che li ha “dettati” ( come non ha dettato nemmeno nulla agli antichi salmisti), ma che la parte divina di noi è stata invitata a dire di sé e di Lui dal compito assegnatole. Poesia, secondo un etimo fenicio, significherebbe Bocca di Dio. L’espressione si può leggere in due modi, a seconda se consideriamo il complemento di specificazione secondo un’accezione soggettiva o oggettiva. Io suggerirei di accoglierli entrambi: bocca a bocca con Dio, poetando, si saldano insieme, per virtù d’amore, “ragione e comunicazione, conoscenza e progetto”, secondo le parole di Ermanno Bencivenga, parole che qui uso con altro senso, essendo state estrapolate da un discorso diverso, ma che bene si addicono a quanto desideravo dire, e che spero di avere detto in modo sufficientemente chiaro.