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Sull’uso e sull’abuso della poesia

Argomento: Società

Articolo di Flavia Weisghizzi 

Proposta di Redazione LaRecherche.it

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Pubblicato il 22/11/2008 16:29:47

Considerazioni a latere sulla (ri)scoperta della poesia


Sembra essere scoppiata così, improvvisamente, una nuova attenzione verso la poesia. Sembra che, d’un tratto, non possa più esistere giornale, mensile o settimanale, che non regali o alleghi un libro di poesia. E non si parla di poche centinaia di copie, ma della tiratura di oltre un milione solo per il testo di Montale regalato insieme a un noto quotidiano.

Si può davvero parlare di una nuova era d’oro della poesia?

Mi permetto di nutrire qualche dubbio.

Che la poesia sia un genere di nicchia, non è una novità, ma all’interno delle statistiche sulle vendite di tale genere, urge fare una distinzione. Perché c’è una poesia che vende euna che rimane sugli scaffali e, al contrario di altre “merci” o anche soltanto ad altri generi letterari, la differenza non sta nella qualità, ma nella fruibilità della stessa.

Tutti, chi più, chi meno, entrano quotidianamente in contatto con la poesia, il problema sta in quale poesia si legge e nell’uso che di fa di tale poesia.

Dando una veloce scorsa agli (spesso esangui) scaffali ad essa dedicati in tutte le librerie, dalle maggiori a quelle più piccole, è facile notare come i volumi che sono presenti si possono dividere in due grandi insiemi, quello dei classici e quello delle poesie d’amore.

Ovvero l’istituzione e la quotidianità.

In particolare la poesia d’amore è così desiderata, voluta e cercata, per avere sempre pronta una parola non comune, per avere al momento giusto una frase ad effetto, che un noto cioccolatino ha fatto la sua fortuna inserendo frasi celebri nel suo incarto.

Anche il linguaggio pubblicitario ha spesso attinto a piene mani dalla tradizione poetica, talvolta in maniera velata, altre volte in modo palese: è di pochi anni fa una pubblicità di cibo per gatti che citava una poesia di Baudelaire.

L’estrapolazione di un verso, un pensiero, e il suo uso volgarizzato e massificato, pur non inficiando il valore della poesia stessa, non è però neppure strumento di diffusione: raramente il pubblico riesce ad essere a tal punto incuriosito dalla citazione tanto da leggere l’opera nel suo complesso; in ogni caso, comunque, i riferimenti riguardano sempre i classici, e neppure tutti, riguardando infatti solo i poeti che vengono considerati“di moda”.

Siamo in qualche modo di fronte a una rinascita della poesia “d’occasione”, che viene prontamente servita su un piatto d’argento dalla fabbrica editoriale: i poeti maledetti per i giovani ribelli, la poesia d’amore adatta a lettere e SMS, e poi via via la poesia adatta a ogni situazione, nascite, morti, momenti speciali.

Anche internet è magistrale interprete nel ruolo di metadone poetico, se si considera che la maggior parte dei portali offre, accanto al servizio di E-cards, anche un archivio di citazioni da poter inserire tranquillamente con un click.

Indubitabilmente questi sono i sintomi non di una nuova attenzione verso la poesia come messaggio comunicativo, ma del verso come ricercatezza e unicità. In altre parole, si ricerca nella poesia quella raffinatezza di cui è privo il linguaggio quotidiano, quella perfezione formale che decodifica il sentire comune rendendolo attraverso canoni universalmente riconosciuti.

Eppure, sebbene tutti gli indizi possano condurre al credere che questa immanenza della poesia possa essere foriera di quella che Biancamaria Frabotta ha definito “pulviscolare civiltà poetica”, anche se volessimo credere che ci sia la possibilità che crescendo circondati in qualche modo dalla poesia anche i più giovani possano imparare ad apprezzarla, nonostante tutto, il problema non cambia: la poesia rimane relegata alle pagine polverose di un libro scritto almeno 50 anni fa.

L’unica poesia che possa avere qualche speranza di essere letta, è quella degli autori consacrati: l’attenzione rivolta alla poesia contemporanea è poco o nullo.

Se tutti conoscono, almeno di nome, Montale, Ungaretti, Quasimodo, giusto per citare qualcuno, Luzi, Spaziani, Zeichen, cominciano a dire qualcosa a un gruppo molto più ristretto di lettori, e lo spazio e l’interesse per i poeti giovani e per le nuove proposte editoriali è praticamente riservata agli addetti ai lavori.

Ecco quindi che la poesia non vende.

I motivi di questo andamento sono molteplici e talvolta contrastanti.

Probabilmente il primo elemento è una certa confusione che c’è nei lettori di poesia rispetto al proliferare delle proposte editoriali. Per quanto la poesia non abbia un mercato molto vasto, al di là di case editrici come Einaudi e Mondadori che con le rispettive collane di poesia forniscono una sorta di libretto d’uso alla poesia, il sottobosco delle edizioni piccole e talvolta minime è talmente imponente come produzione e variegato come qualità da disorientare anche il lettore più attento.

A questo, inevitabilmente si aggiunge la crisi della critica, che avendo perso il suo ruolo di punto di riferimento, ha lasciato l’uditorio a se stesso.

Se alla mancanza della critica si accompagna anche la latitanza dei luoghi istituzionali di incontro e la scomparsa di quella classe di intellettuali che, nel bene o nel male ha alzato nei secoli la sua voce come guida tanto degli autori quanto dei lettori, il quadro è completo.

Spesso si parla della presente come della generazione dei minori.

Forse in parte è vero, ma è altresì da sottolineare che la poesia si è dovuta piegare giocoforza a due aspetti della società assolutamente contrastanti con la sua natura esiziale: la mercificazione e il consumismo.

Per la prima volta, infatti, l’editore non è più un mecenate che propone l’autore in cui crede, ma l’imprenditore che, con un progetto più o meno culturale alle spalle, investe in un libro.

La pluralità delle proposte poetiche, e il loro sovrapporsi quindi, scatena inevitabilmente un processo di degrado del testo.

Warhol diceva negli anni ’60 che ci sarebbe stato un momento in cui tutti avrebbero avuto il loro quarto d’ora di popolarità. Si può dire che il quarto d’ora si sia ridotto a cinque minuti, giusto il tempo di un breve passaggio televisivo o di un trafiletto su un quotidiano.

Ma proprio puntando su quei cinque minuti di gloria, un giovane poeta può riuscire ad attirare su di sé l’attenzione di un pubblico interessato. Se infatti è morta la concezione del poeta chiuso nel suo mondo di versi, la poesia sta trovando altre strade, talvolta anche a doppio taglio, ma di sicuro impatto: la poesia sta acquisendo gli spazi dello spettacolo.

In questo senso l’opera compiuta da Lello Voce nell’importare il fenomeno americano degli slam poetry e la trasformazione dei reading di poesia in performance accompagnate spesso da tappeti musicali e giochi di luci, ha contribuito non poco a svecchiare la platea degli ascoltatori.

Il successo di eventi come il Roma poesia festival dietro il quale c’è l’occhio attento di Nanni Balestrini, o Invito alla lettura a cura del Sindacato degli scrittori, inserite tra l’altro nel contesto dell’estate romana, da una parte divengono palcoscenico per un uditorio abbastanza ampio e selezionato, ma, contemporaneamente, contribuiscono a formare movimenti di pensiero e a costituire un luogo di incontro tra poeti e pubblico e tra autori giovani e meno giovani.

Naturalmente c’è il rovescio della medaglia, e sta sia nell’estremamente fuggevole persistenza nella memoria del testo orale, sia nel fatto che in tali manifestazioni vengano privilegiati autori con una presenza scenica notevole a discapito della poesia più intima che magari richiede una maggiore riflessione personale.

La poesia in conclusione, da quella dura e monolitica di Amelia Rosselli e quella polisensoriale di Tracy Splinter sta cercando nuove strade e accanto alla lettura isolata e silenziosa, sta riappropriandosi anche di un’oralità che le compete e l’ha compenetrata da quando, sedutiattorno a un tavolo, gli uomini ascoltavano le gesta degli dei e degli eroi.

È un dato di fatto che in Italia non si legga molto, così come è indiscutibile che la fruibilità della poesia è di lunga inferiore a quella del romanzo. In una società che si basa sul sistema del multitasking, la lettura è ancora qualcosa che richiede la totalità della nostra attenzione, e se si possono sgranare le pagine di un best-sellers su un autobus o sulla metropolitana, la poesia ha bisogno del suo spazio mentale.

Forse la rinnovata attenzione alla poesia può essere davvero indice di una riscoperta, ma forse è solo merito di qualche soggetto che si è posto come guida e ha offerto la poesia, disvelandola ai più e apponendo, in qualche modo, un sigillo che ne garantisse la qualità.

Ma in qualche modo, le migliaia di persone che si radunano quando si legge poesia, che sia Dante o sia Esther Ferrer, i milioni che hanno acquistato i libri venduti insieme ai quotidiani, ai settimanali, ai mensili, esprimono la loro necessaria e dolorosa rivalsa nei confronti di un mondo automatizzato e incasellabile. Se la poesia è il libero, irrazionale e sregolato scioglimento dei sensi, la sua immanenza rappresenta ineluttabilmente lo scacco delle macchine.



(Pubblicato sul numero 18, Settembre 2004 della rivista Il Laboratorio del Segnalibro, proprietà letteraria Flavia Weisghizzi, fonte: http://www.weisghizzi.it)

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