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Dai miei pensieri sparpagliati

di Lorena Turri
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Pubblicato il 25/02/2008

Come quella formichina che cammina, cammina, credendo di aver fatto il giro del mondo, si accorse di aver fatto soltanto il giro dell’isolato, io sono.
Tanto peregrinare con l’illusione di aver scoperto l’America - nella mia ignoranza storica - per ritrovarmi ancora qui, tra queste quattro mura che lasciano la vista su due lati solamente. Sì, perché un lato è chiuso da un muro comune e sull’altro, da dove potevo ammirare, in lontananza, la torre di un castello sognando di essere una principessa prigioniera in attesa del suo principe liberatore, hanno costruito un muro, un altro. Per metà sono murata viva e per metà sono morta affacciata a due finestre sotto le quali le serenate le cantano di notte i gufi e le civette.
E il paesaggio non cambia mai sotto il mio stralcio di cielo, nonostante i vicini si sforzino di piantare nuovi fiori nei loro giardini o i treni a volte cambino gli orari. Questo, si vede da qui: una ferrovia con poca gente che va o viene e le case dei miei dirimpettai su uno sfondo montano. Nient’altro.
- Novità? - Chiedeva Arnolfo alla sua giovane protetta, allontanata dal mondo per mantenerla pura.
- E’ morto il gattino -, rispondeva innocentemente la fanciulla, credendo fosse chissà che cosa.
E lui sentenziava: - Oh, che peccato, ma sapete, mia cara, siamo tutti destinati a morire! –
Infatti qui è morto anche il gatto della famiglia del piano di sotto. L’hanno trovato steso in strada con la linguetta di fuori; “ forse il cuore”, han detto.
Anche ai gatti si spegne il cuore! Il mio è ancora acceso, ma l’orologio che non porto si è fermato alle 5 in punto di un giorno che non so o non ricordo.
Sono ancor più triste da quando è morto il gatto che ronfava a giornate sullo zerbino davanti alla mia porta.
Gli avevo comprato uno zerbino adatto al suo essere gatto, con un gattino disegnato e una scritta: Welcome! In inglese, perché credevo d’essere in America! Insomma, gli avevo offerto un comodo giaciglio, non potendo offrir di meglio, come una spalla su cui contare. Cosa non so, forse i giorni, quelli che passano pigri e lasciano in bocca il sapore del sale, come quello delle mie lacrime che, per non perderle, raccolgo con la lingua, quella italiana, con la quale scrivo i miei pianti.
Ora che il gatto non c’è più, cambierò zerbino. Ne comprerò uno in plastica col marchio CE, di quelli verdi, come un brandello di prato, di quel grande prato verde dove nascono speranze.
Senza scritte, perché la speranza non ha parole.



13/07/2005


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