“LA LETTURA” – Supplemento al Corriere della Sera #53 – Domenica 18 novembre 2012. Non capita spesso di avere a portata di mano un compendio di notizie letterarie – poetiche - artistiche che raccoglie, se non tutte, comunque tantissime, info riguardanti ciò che accade in Italia e nel Mondo completamente riservato alla ‘cultura’. Questa parola che è sulla bocca di tutti (specialmente dei politici, dei governi tecnici, dei partiti di destra come quelli di sinistra e dei sindacalisti quando si avvicina il tempo delle elezioni), e che pure spaventa chi dovrebbe gestirla (che subito dopo si dimentica pure di averla pronunciata venendo meno a tutti gli impegni presi), almeno quanto chi si trova a subirla (paura di leggere quello che non vogliamo sentirci dire). Ma la sete e la fame di ‘cultura’ vince su tutto e tutti e si fa spazio da sola, al pari della sete e della fame ‘vere’ che ci costringono a tirare la cinghia. Ben venga dunque l’iniziativa ‘gratuita’ per il lettore del Corriere della Sera, di informare il pubblico dei suoi lettori e quindi l’ ‘opinione pubblica’ sulle tendenze dell’arte, le novità librarie, i movimenti letterari, gli indirizzi poetici, le curiosità astruse che, in qualche modo, ci fanno sentire ‘vivi’, partecipi di quella cultura un tempo anche ‘nostra’ che negli ultimi tempi abbiamo demandato ad altri (francesi, inglesi, americani), solo perché non si può elargire ‘fame e sete’ a un popolo già assetato e affamato. La politica non lo vuole. Non si può dare ‘cultura’ a un popolo che ha nel proprio DNA il ricordo dei sovversivi carbonari, la strage di Portella della Ginestra, i Moti insurrezionali di Napoli, le barricate delle Cinque giornate di Milano, il G8 di Genova, gli scontri con la Polizia dei giovani di Roma. La politica sa che la ‘cultura’ è un campo minato a cielo aperto, allora preferisce manganellare le insurrezioni popolari contro il malgoverno, concedere all’anarchia di svolgere la sua rivoluzione silenziosa, sedare le manifestazioni per l’Illva, per il Sulcis, per l’Alcoa, per la Tav; che, in fondo è come ammettere che un popolo, il nostro, debba vivere nell’ignoranza. Intanto però, ci obbligano a mandare i nostri figli a scuola ad apprendere un mare di stronzate inutili, mentre con una botta di mano tagliano i contributi alla ricerca, all’istruzione e quant’altro; ci riempiono la testa di calcio, di insulsi programmi TV dove non si fa altro che alimentare la fame con piatti succulenti che nessuno mangerà mai, e che altro non fanno che aumentare la fame e la sete. Ma se la fame ci ottenebra la vista, la sete di ‘cultura’ ci rischiara la mente, ed ècco che gli articoli in “La Lettura” non si limitano ai soli richiami ‘letterari’ ma si spingono nei rimproveri proprio contro quella falsa ‘politica’ che nega la ‘cultura’ con la recessione economica (Federico Rubini), con la finanza vampira (solo contro i poveracci), e invita al richiamo del ‘libero arbitrio’ (Marta Serafini e Filippo Sensi), al dibattito delle idee (Antonio Carioti), alle ‘pari opportunità’ dismesse (Paolo Di Stefano), alla serialità che ci ottunde (Ivan Cotroneo). Perché, diciamocelo, in fondo fare cultura è fare politica a 360 gradi, è aprire la porta alle idee, alle confessioni, alle ipotesi, e perché no, alla fantasia. Allora ben venga la ristampa di “Le botteghe color cannella” di Bruno Schulz (Einaudi 2012) e al recupero di quell’infanzia del mondo che abbiamo smarrita, dove il sogno alimentava il sonno di tutti, (scrittori, filosofi, politici, santi e tutti gli altri) e che fece dire all’autore: “Nessun sogno, per quanto assurdo e insensato, si spreca”, né si può ritenere vano (art. di Ugo Ricciarelli). Ma chi non ha mai messo piede (non ha letto), nel “Il sanatorio all’insegna della clessidra”, o non è mai entrato in una clinica psichiatrica, non può conoscere davvero cosa significa sognare. È questa ‘La Repubblica dei sogni” in cui Schulz si avvale non più della fantasia, bensì della realtà dei sogni, del quanto di ‘vero’ i sogni hanno da raccontarci, e forse di utopistico. Possiamo noi, oggi, considerare utopia ‘La città del Sole’ di Tommaso Campanella? O forse fantascienza ‘Utopia’ di Tommaso Moro? Sarebbe come contestare a Zigmunt Bauman la nostra appartenenza a quella ‘liquidità’ (entro la quale ci andiamo nascondendo), e che il sociologo ha individuata e studiata nei suoi numerosi trattati “Vita liquida”, “Modernità liquida”, “Paura liquida”, “Amore liquido” (editi da Laterza), e che ritroviamo ampiamente esposta nell’articolo di Marta Serafini e Filippo Sensi “Democrazia liquida” quale forma di democrazia partecipata: “Ossia uno stato di transizione tra la democrazia rappresentativa e la democrazia diretta, che funziona grazie al sistema delle deleghe e che si è sviluppata soprattutto on-line”. Tuttavia preferisco qui concludere con le parole del politologo americano Robert Paul Wolff ritenuto il padre della ‘democrazia liquida’ che, già nel 1970 si espresse così: “Un governo per il popolo è benevola schiavitù, un governo del popolo è vera libertà”. Riprendiamoci dunque il maltolto con l’andare alle urne e far valere quel diritto sancito dalla nostra Costituzione con il ‘voto’. Altrimenti... neppure i sogni ci salveranno.