Planare come un grande uccello
lungo la strada che ai fianchi
proteggono alberi alti e silenziosi
come fantasmi grigi.
Cacciare il vento, l’aria e l’acqua,
cacciare i versi come suoni nascosti
in casse di risonanza oscura.
Presenziare al reale come una nota mistica
e battere il ritmo della radice
che affonda nel terreno
mentre la tempesta infuria
e saltano i punti cardinali
come in un campo minato,
scaraventati nello spazio e liberi.
Legarsi agli atomi del bosco,
del fiume e degli aironi.
Riposarsi su quei nidi alti.
Non sapere altro. Questo farsi bastare
per oggi e sempre.
Cambiare pelle in una sequenza
di squame, e poi scattare.
Mutare definizione.
Restare incolume.
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