I
(Mimì - segaligno tanto che il suo sorriso leggero occupa lo spazio tra due parentesi sulle guance - ha il piede poggiato sul primo scalino mentre altri quattro salgono e non si fermano al pianerottolo sul quale veglia una fessura stretta, tanto stretta che il buio della casa non esce. Lì dentro vive il freddo, e gli abbracci sotto coperta. Mentre entra la luce col suo vestito filato altrove, Rosa raccoglie le stoviglie della sera. Le sistema con l’animo raccolto. Sgocciola il prensile, i piatti ripuliscono così il timore dei morsi che la tavola ha procurato in un giorno.)
Ha mangiato tutto e bevuto vino rosso
fino a smenbrare le tempie. Perché
non mi ha raggiunto per sollevarmi dalle coperte?
La notte è una lingua di ghiaccio sulla pelle: chi ama
una stella vede cose dell’altro mondo che non può trattenere.
La notte è decubito indifferente di tensioni. Lo scheletro
sporge dove si poggia il pensiero e massacra l’ansia.
(La serenità ammattisce nel lavello come stregato da un panno assorbente. L’umido parla una lingua che ricorda la liquidità maschile delle affermazioni di questo genere: una donna si rispetta a prescindere dalla femminilità.)
Mimì non è venuto. Perché torni cosa dovrà accadere?
Basta sapere che si è amati per tornare a noi? Ah!, questo
bicchiere vuoto. La sete compie lo scempio della gola. La sete
di te grossolanamente rigurgita la liquidità del nome. Il tuo nome
libera rotolacampi nel silenzio e nel deserto
delle stanze sempre le stesse briciole si raccolgono
e si spostano. Oh, sono tre soffitti opprimenti che si alzavano
quando sopra di me i tuoi occhi erano Vega e il Sole,
e l’intera massa del cielo prendeva il tuo viso all’oscuro.
(Lei mormora sistemando la voce sui gesti. Ripone una pentola dai manici e l’accento del nome scompare in un soffio.)
Mimì, sei uscito non visto e stai qui intoccabile.
Finché potrò non romperò il bicchiere
superfluo. Terrò il piatto e lo colmerò
a volte, starà al centro e prenderà parti per te.
A te toccherà la salvietta immacolata: che ne è stato
della tua bocca piena, che ha lasciato segni indelebili
anche sulla corolla dei capezzoli?
(La figura sulla scala è sorniona quanto un ramo nudo. Trattiene dentro il germoglio, consapevole che l’atmosfera gentile è solo un addendo in un conto di eventi sui quali la radice deve meditare. Si allontana dalla scala con una giravolta repentina, manco fosse in una milonga. La brezza nel vicolo intanto tormenta, come il rimorso, solo le stoffe leggere.)
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