I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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Affranca
Parliamo della bellezza che fiorisce intrepida e solenne facendo tesoro dell’ingiuria dell’inverno. Franca Figliolini - Hanami Le influenze vengono adontate eppure diffondono orecchie che si espongono da capo. Perché non ci sentiamo? C’è un dolore che non si può lavare tra i neuroni; e paura che ci appaia. Anche se ti tuffi a capofitto nel groviglio, non li scrosti più di tarlo. La memoria è uno smalto o pure tartaro, per entrambi non c’è diluente che faccia in tempo a cancellare i tronchi depredati. Che tu abbia o meno il cuore abraso, fibrilli da susino a marzo e infiori i santi tali del tuo calendario. Usi, allora, il passaggio dei condotti che lasciano tracce sollevati in virtù di quella vecchia arte acquisita respirando, nel labbrosario che cura la parola selvaggia - perché è chiaro che apre il dialogo al buio più che i soli orientati.
Id: 70314 Data: 16/03/2024 14:44:08
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Vivo perché ho letto
E tu, incuneato nello sguardo, avevi un occhio di riguardo per l’altro, per i visitatori con terre finite nelle orbite e documenti senza un'ombra di riconoscimento. Ci presentò la doglia; ed una pozza si liberò dell’acqua sotto i nostri piedi: quanto bastava per dire “scusami” insieme tremuli e margherite strette al vento. Ossia, i petali congiunti esistono meglio, ma lo stelo della lingua regge dell’altro. (a F.F. - alive)
Id: 69908 Data: 23/01/2024 12:30:20
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Tina
Presa dall’innocenza e portata all’innocenza in un unico soffio. Per un soffio ora ci precedi in quel lievito non lievito che è allontanarsi lasciando agli atti l’eco della tua presenza. Umana perché due precedenti in amore ti hanno posto qui, ma con ben altro ci hai attraversato: dolce composta affabile sorellamica - come posso dire di te più sorella o più amica? Certo, io che ti ho vissuto in un soffio sono abbattuto dal vento adesso che non solo ricordo. (a A.D’A. - RIP)
Id: 69820 Data: 08/01/2024 17:57:06
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Puff of
Sulla sponda il tronco rimbalza con la stessa angolazione di partenza aggiunto il sentimento della connotazione corrente. Quanto respinge? Non tu, certo: meri silenzi non colti, ignoranti muri, no uditi, sentiti sì, frettolosi orgogli di stagione, e: riavendo occasione, vedresti, eh!, oppure: avessi saputo, ma tu a voler dire che distruggiamo la nostra singolarità confrontandoci a piacere, oh! A torto. La corrente sceglie la traiettoria in una marea di altre in cui è immersa ed è la scrittura una vetrina che ti espone a frammenti. Non voglio credere si chiami vita: deve essere un meccanismo che adesso mi sembra minaccioso, ma voltata pagina conterrà le istruzioni per tagliarla come una mela spicchiosa, che non è un bel termine, - per nessuno, dai! -, però evita l’insulto. Cosa proponi, sangue del mio sangue che hai due sangui in vena? In certi momenti sono incerto, per tanti altri le risposte diventano eventi pedissequi che fanno sospetti deduzioni indizi, prova che è tutto falso probabilmente dalla testa ai piedi. Sembra tra noi l’intero spazio un vocabolario da anguille. Una vita così ampia non me l’aspettavo, te lo confesso. Confesso inoltre che ho fatto di tutto per lasciare lo scafo prima dello scheletro e metto la data ad ogni colpo di remi perché la mia acqua ha una memoria sola e come fondo sei posto. A D.M.
Id: 68803 Data: 07/08/2023 11:46:19
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Al tuo buon cuore
Verde aperto o bruno colmo i rami degli occhi che saprebbero dove radicarsi nella tua terra generata dall’iride santo con uno scuotimento autarchico. Le piante vanno sempre dai piedi al gesto che le innalza. Lo fa il cameriere il sabato sera quando è già domenica e deve rifiatare in buon ordine. Lo fa l’opera del chierico a funzione conclusa tra i banchi quando questua gli ultimi centesimi dati per primi, come regolarmente è scritto. Così ti colgo finché il peso non si arrende al muscolo, ma direi con ragione alla volontà di muovermi verso come ti vedo e sento. Diamo conto, io e te per es., alla pianta e al pianto consorte di conoscerci letti quando non è andata come una messa in pratica. A C.S.
Id: 68786 Data: 04/08/2023 11:25:03
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Un uomo indubbiamente
Gli ingranaggi del dubbio sono farraginosi nell’amante e nel padre, mai nel compagno. Ed io che sono trino, come ogni uomo concimato dalla fede, dal vizio e dall'avidità li avverto grevi e gravi, groove nella timbrica del torace o da chiglia urlano a nulla approdo, oppure: è opportuno il bugiardino nella scatola, sai bene quale. Qualcuno ha già detto che il mondo calpestato è sicuramente il nostro primo con vento: è il punto nel quale i guasti spezzano viti in corriera. Il percorso non può essere corretto. Il viaggio ti prende tutto e ovunque non è completo. E poi ti meravigli che la natura si disegni morta? Non la uccidono i pittori ma i vivandieri del consorzio del petrolio e i cucinieri delle brigate dei banchieri. Stanno da dio perchè Dio ha investito nel fondo della mela e c'è chi protegge i morsi e i vissi come mi piaceva. Cioè, inventata la macchina, ha capito che trema quando gli scoppi si susseguono, ma il cammino è preso in giro dai piedi prima che passi. Rifletti su questo: più il popolo attraversa le distese più il suo signore manca alla testa del serpentone. Scomparire continuamente sembra il metodo più opportuno per separare il dubbio dal mittente. Così l’indirizzo del vento è nell’aria indubbiamente preso da una rosa inesistente: ma che risposte dai?
Id: 68738 Data: 28/07/2023 12:53:16
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Che capisco del dato
Non sono maturato abbastanza: il raccolto più che moltiplicarmi ha prodotto una somma di aneddoti invece di un racconto di successo. Da quando i netturbini raccoglievano i rifiuti acconsentendo piano a piano ai sacchi di tela ruvida come l’orgoglio ma capienti da capire perché, sono sulla terra a riempire la mia anagrafe di resti. Da allora dalle zolle si vede già una parte di polvere e una parte di cedimento strutturale. Come sarebbe una frana se non avesse un torace di sedimenti? Non temo la sabbia, sacerdotessa dell’incoerenza: la sabbia che non ha un cognome di ferro, ma un futuro al vento. Questo è l’unico argomento. I fatti, in quanto tali, non possono rifarsi, scivolano uno sull’altro, sovrapponendosi agli spazi, normalmente confini di parola. Nella trama i solchi sono declivi e tono. Come tradurlo ad una duna? Soprattutto, vox clamantis in deserto, quel granello tratta col vento per fare la spiaggia libera superato l'oceano. Mi venne dato l’oceano necessario e gli strumenti per farmi spazio. Non stella, nè faro o altro marchingegno. Solo insegna di un deposito di corallo che sbarca il lunario, come un sacco mi pare.
Id: 68696 Data: 17/07/2023 17:06:16
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Da che a fondo
Che davvero cantare storie sia un salvacondotto per l’eternità è un fatto, benché né agli idraulici imperiali né ai turnisti di Assuan, fu possibile con le loro condotte segnarsi nelle fonti che a memoria fanno i fatti… I fatti! Di tutti i generi! Non appena figlia interesse, la mente li sposa con quel sangue misto di eco e grandeur. Ma i fatti sono potenti, al loro passaggio scuotono i presenti. E se in questa stanza i ripiani a sbalzo reggono parole che sono fatti in grado di costruire espressioni, o balconi o finestre di condomini di versi, riunite in questa pagina, le mani si comportano da sole; e giustappunto un uomo accarezza l’idea di un testo a mezzo rigo, rimanendo nell’ombra, nell’ombra a fondo.
Id: 68581 Data: 25/06/2023 12:37:08
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Un profilo di periferia
La periferia è ridotta a peste e corna e troviamo coraggio solo al centro commerciale che ignora quanto sia grossolana la polvere miracolosa che trasforma il cemento in vita. Il cuore va di corsa dagli occhi all’abbandono: una botta e via, ma l’emozione resta per quanto era terra e arbusti e camporella. Questo luogo è quello spazio in cui fermarsi richiede offerte votive, come il deputato si dice. Ho visto qualche dissanguamento salvifico. Ho sentito la mia buona vena ritirarsi finché lo spirito non l’ha saldata alla cassa. È il tempo questo in cui si consuma la tasca prima delle suole: l’inverso è già passato. Arancina, la mente gatta, è rimasta a casa e a farmi le fusa è l’inserviente dei panini. Ma una micia è una micia e il panino è a un pasto da me e dà mordente in luogo del ricordo più friabile a cose fatte.
Id: 68537 Data: 20/06/2023 11:40:20
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Di chi per che
La notte abbassa una palpebra e come orba la luna traccia con pipì lucente la messa in onda. Ti segue un rivolo di lucciole riflessive, frusta la pianta d’acqua a fronda riunioni ai consanguinei che mancano dove sale lì, ma un po’ più bretella che cinta all’orizzonte. Chissà chi o che affranca Gil dalle perplessità e dal pallore, dimodoché la nuova occupazione fa lui solitario a rivo o per che in vento una velata promessa. Come dire: viaggerai da corpo a corpo in quanto tutti in un’altra creta si trattengono per sempre. Isola o non isola il passato che torna? Mangia a scrocco lo schiocco animale quando ficca il nasello in questa rete di spero.
Id: 68483 Data: 14/06/2023 12:09:41
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Ti eseguo amore
Ragionando sulle consonanti mente e finestra stanno all’unisono, direi che ti avverto dichiaratamente imposta da me per il mio bene. Già la finestra paga il suo scuotimento vento a terra nella corrente sonorità del locale DUM a ripetizione. Il battito è un viandante sotto melliflue spoglie: dice che siamo in corso ma nasconde il bivio e il crocicchio dove i segnali anticipano le informazioni. La mente è la mia porzione del mondo o la sua pozione quotidiana. Se ne sbatte l’anta come l’alfabeto diventi un campo di malesseri: è in noi un maggese secondo la pratica delle scarpe grosse. Il cervello fino riposa mosso in superficie dove la bocca ara sacrifica i nessi o li dissangua. In noi la percezione è nel senso fai da te: lì ti dirigi, lì ti eseguo in canto.
Id: 68459 Data: 11/06/2023 17:55:55
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Quando a pena ci vede
Sto quasi per tagliare il nastro delle date seduto sulla balaustra del lungomare. Ho provato a dirgli: “riavvolgiti in tempo!” Niente da fare… Il numero fa la formica e segue la scia della prima che passa e manda messaggi la lingua chimica e mi ha sale il rimpianto. Come non dire quanto avrei fatto: camminare sulle acque. Tra me e l’oceano un ponte con le campate a vela. Per la gonfia maestra questo avrei fatto: attraversare i mari con passo incontinente, a più non posso, caudato da molo a molo. Mi ha beccato prima che a riva la vanagloria; e l’uccello ha fatto nido sulla costa dove la ginestra macchia la locanda dei pesci. Ho bevuto tanto, ma - per carità! - mi è rimasta la lingua asciutta ed ora sono scalmo, come si vede, ma remo in circolo: un club salato ed esclusivo. Così camminando sulle acque, per la partitura della musica celeste che svapora nel sacro, tra cadute di vento e uragani che alzano maree di plancton come lune a mollo, avrei affrontato i miei leviatani a parole, piuttosto che nel dialetto locale. Questo avrei fatto per l’anguilla che guizza nelle vene e va al sargasso tra le tempie. E lo avrei fatto per quella ragione di fondo che le orme sono conigli e la Terra è il cilindro del mago Universo. E anche questo avrei fatto: dire ti amo come passi all’orizzonte quando appena ci vede.
Id: 68397 Data: 30/05/2023 14:53:37
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Disvelamento della carezza
La carezza va sul corpo da uno sguardo. E' uno snodo dei muscoli a tempo debito – come quelle ginocchia che assediano, più che la schiena, le feritoie. Si raccontano ladre come gazze le dita. Accettano anch'esse le regole del gioco: amare è accedere al lucernaio degli occhi per possedere un’altra altezza: amare è liberare i piedi dai pioli. Cederebbero se non altrimenti retti con labbra grandi; nella sua immensa gola la lingua stretta saliva franca. Ora, sulla schiena: rifinita nelle spalle, lenta, stesa, svela attrazioni in serie.
Id: 68320 Data: 20/05/2023 10:07:40
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Se non piove il cielo chi lo vede
Volare è cadere anche per poco, ma io spesso lascio le nuvole di corsa e molto resta in sospeso intorno all’occhio che si apre in cielo. Ossia, se l’amore sparisce dalla vista, come manteniamo il miraggio che ci mette in luce? Sveglia e cammino sono collaudi del sogno; e questo formidabile gioco prende la vita per quanta concessa al corpo che rincasa in tempi stretti dall'attico al seminterrato polveroso. Per i prossimi giorni, invisibili adesso, saremo percorsi a memoria. Banalmente vivendo non ci accorgiamo di lasciare orme proprio di resti a chi resta, e i successivi noi già in piedi adesso non potranno che tornare indietro, avanzando in fretta.
Id: 66964 Data: 19/10/2022 18:05:19
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Che si alza da terra
Serve il tepore adesso come prestarti attenzione a corto raggio per ricevere gratitudine immediata da un piccolo segno di rossetto sulle labbra capaci di fare la differenza con la lingua coinvolta. Ti chiedo di perdonare anni alla mano, stagioni alle rughe, ricorrenze ai tremori, qualche volta una carezza di troppo è per un giorno una diga che non cede per carattere come i tipografi di Kiev che stampano BASTA nello stesso corpo di GUERRA. Ma è in noi il primo campo di battaglia e che lo si ammetta: il sangue ribelle va per trincee anche tradotte in vena. Il cuore dà quei colpi solo per certi bersagli.
Id: 66935 Data: 17/10/2022 16:49:53
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In che senso aspetto
E' evidente che la stagione porta il verbo cambiare dove si deve. Il fervore si adatta all’esterno riducendo i passi al solo pensiero che siano riverberi. Penso a cottimo, faccio la fronda ai segni. Viene alla finestra la malinconia nel modo delle sentinelle. Il guardaroba ha un aspetto da furiere, ma già uno sparuto ordine di capi chiama la guardia al freddo. Sentinelle: chi va là nella foschia che mette a muro il vetro? Il blazer bleu esce di sera ed è fuori luogo se una carezza attenua la distanza dal calore in ferma breve. Sì, perchè la stagione trasforma la gioia in speranza ma la leggerezza si congeda come un civile senso di attesa.
Id: 66896 Data: 13/10/2022 16:18:04
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Navi partiranno dalla sponda azzurra
Prendiamo ad es. il primo vascello. Era di tutt’altro genere: nodi enormi, scheletri di fendenti, una ciurma di insetti, ecc. Prendiamo - solo per farci un’idea - la vela che non c’era: foglie o volumi di legno battenti l’aria che spingeva. Le braccia si facevano rotte alla buonora. Era l’ignoto orizzonte bandiera chiglia e tolda di un albero vero. Facciamo adesso che sia atmosfera il molo velleitario dal quale agitare il fazzoletto di terra. Diciamo saluto lo sventolio del sogno sotto la tesa del cappello azzurro con l’umido in pectore. A noi tocca il bagaglio in uno spazio risicato - in pianto stabile - e il necessario in memoria. Saremo l’orologio del cosmo con le stesse lancette di Colombo. Ora fate magie vergini intese.
Id: 66677 Data: 16/09/2022 10:49:20
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Dove porta il vento di nostra conoscenza
Credo sia un buon artigiano il vento che modella suppellettili inamovibili e accumula i rifiuti dove crede. Se dovessero fare a pugni con il pavimento fai finta di non vederli. Siamo la razza che atterra per molto meno. Apri pure altre pagine, scolla i nessi dalle cordature; e ficcatelo in testa: arricchiscono solo chi li ha introdotti nelle citazioni dentro la carta con le stelle. Ho letto di un nuovo astro che pulsa a ritmo blando, ma costante. Avulso dai congegni della fisica del caos, previsto ma inarrivabile dalla carne a norma di legge: non fa mistero del suo pendolo a reazione. Si è manifestato nell’onda di fondo con un segnale ciclico e fuoribondo perché era lì da prima che lo fermassero con un obiettivo preciso: trasformare la luce in un metro contagioso, più o meno per prendere le distanze dai rifiuti delle stelle. Si può dire che siamo al tappeto, anzi sotto.
Id: 66650 Data: 13/09/2022 12:19:36
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Gli dissi
Sei qui perché la rosa ti ha fatto da madre riducendo gli aculei con le mattane di marzo. Riccio così a riva, crespo, infine filando dagli sguardi possibilmente altro, che so io, risacca sulla madre perla. Levighi il volume che ti richiama, voce di chi la voce non hai preso: voce attraente dell’assente cui rispondi al largo abbraccio con uno stretto dialetto familiare, che so io, tipicamente della regione del padre e seguenti. Stai su questa terra nel modo che il maggese interroga semi analfabeti scoprendo che la loro preparazione frutta l’altezza e la resistenza. E per via loro ti muovi nel turno degli amici o, che so io, vai tra la folla spampanando i passi a mola, limando uno stabile ufficio oppure riformulando i sogni per impieghi migliori. Ricordi l’universo in apparenza fermo e mellifluo, benché da poco in giro si dica mosso e terribile. Temo l’idea che al di fuori di me chi ti coltiva venga con la falce.
Id: 65523 Data: 07/04/2022 13:58:26
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Buon sangue
Gil è come una ruberia di frutti. L’impulso irrefrenabile di addentare la carne ocra e bruna fino al nocciolo, prende dalla bocca dello stomaco le labbra. Un padre ha già divorato il figlio, dicono. Io non ci credo, ho risposto loro. L’ho piantato più volte, ma ancora ancora sempre è cresciuto. Mutante per la marea di stimoli, invaso marino che si modella a fondo fino a cogliere l’umanità fuori dal suo giro, Gil è l’unica residenza che ho costruito in vita.
Id: 65386 Data: 17/03/2022 11:36:31
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Con che cura
Vengono i tuoi cent’anni, piccola Carmela. Di che roccia hai preso il posto e lo mantieni alterata dalla manovalanza dei minuti? Dimmi la cura che ti ha spigolata con tanta misura per un secolo sostenuto a forza di natura e sotto il frontespizio consumato le pagine che non sfogli più. Nell’indice un santo fa bisogno di celia.
Id: 65070 Data: 27/01/2022 15:14:54
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Fa lena persa
Ricca di luce e sarabande, come per una o mille cornucopie, la città ha sete di splendore e beve dalle luminarie a filate - quello che non si sospetta si fa vedere. La notte usa una lingua arrogante, la luna la sua bocca famelica: è così che la luce da terra rovescia il firmamento e i produttori di cera riposano i mestieri. I candelieri definitivamente privati di segnali di fumo, parlano ai fari di sperate polluzioni. Prego, vedete? P.S.: per il 2022, a lungo auguri a tutti.
Id: 64877 Data: 27/12/2021 18:21:36
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Lontani i più vicini
I (Mimì - segaligno tanto che il suo sorriso leggero occupa lo spazio tra due parentesi sulle guance - ha il piede poggiato sul primo scalino mentre altri quattro salgono e non si fermano al pianerottolo sul quale veglia una fessura stretta, tanto stretta che il buio della casa non esce. Lì dentro vive il freddo, e gli abbracci sotto coperta. Mentre entra la luce col suo vestito filato altrove, Rosa raccoglie le stoviglie della sera. Le sistema con l’animo raccolto. Sgocciola il prensile, i piatti ripuliscono così il timore dei morsi che la tavola ha procurato in un giorno.) Ha mangiato tutto e bevuto vino rosso fino a smenbrare le tempie. Perché non mi ha raggiunto per sollevarmi dalle coperte? La notte è una lingua di ghiaccio sulla pelle: chi ama una stella vede cose dell’altro mondo che non può trattenere. La notte è decubito indifferente di tensioni. Lo scheletro sporge dove si poggia il pensiero e massacra l’ansia. (La serenità ammattisce nel lavello come stregato da un panno assorbente. L’umido parla una lingua che ricorda la liquidità maschile delle affermazioni di questo genere: una donna si rispetta a prescindere dalla femminilità.) Mimì non è venuto. Perché torni cosa dovrà accadere? Basta sapere che si è amati per tornare a noi? Ah!, questo bicchiere vuoto. La sete compie lo scempio della gola. La sete di te grossolanamente rigurgita la liquidità del nome. Il tuo nome libera rotolacampi nel silenzio e nel deserto delle stanze sempre le stesse briciole si raccolgono e si spostano. Oh, sono tre soffitti opprimenti che si alzavano quando sopra di me i tuoi occhi erano Vega e il Sole, e l’intera massa del cielo prendeva il tuo viso all’oscuro. (Lei mormora sistemando la voce sui gesti. Ripone una pentola dai manici e l’accento del nome scompare in un soffio.) Mimì, sei uscito non visto e stai qui intoccabile. Finché potrò non romperò il bicchiere superfluo. Terrò il piatto e lo colmerò a volte, starà al centro e prenderà parti per te. A te toccherà la salvietta immacolata: che ne è stato della tua bocca piena, che ha lasciato segni indelebili anche sulla corolla dei capezzoli? (La figura sulla scala è sorniona quanto un ramo nudo. Trattiene dentro il germoglio, consapevole che l’atmosfera gentile è solo un addendo in un conto di eventi sui quali la radice deve meditare. Si allontana dalla scala con una giravolta repentina, manco fosse in una milonga. La brezza nel vicolo intanto tormenta, come il rimorso, solo le stoffe leggere.)
Id: 64685 Data: 24/11/2021 23:55:49
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Quando il profumo si dissolve
Uno sciame usa molta attenzione per mettere il miele in cella: ritratto così il nettare è in prigione; e come si scatena la dolcezza quando non sta nella pelle ma è già in fiore! Sia protetto il suo torace esagonale che - per ora - segue i battiti del cuore. Tuttavia, il cuore è solo una macchina di ematologia complessa con la vena da nacchera e il passo ancora in gamba, che non disturba. Ma più che il cuore, è la mente una leva, un martinetto, la saldatura: difficile educarla a tanta gente perché agisca come uno sciame maturo. Il nuvolo d’insetti ronza, si fonde; riduce la buona idea e arrotonda le sagome. Sagome! Chi disse: è la pelle che incorpora vere delizie? Un dolce richiede manutenzione: limi i contenuti, insabbi gli occhi, calmi se imbroncia; claveline sono le labbra i capelli l’indice che mette all’angolo gli spigoli; le labbra soprattutto mostrano tirature limitate ma pieghe che si diffondono. E, forse, trovano segni per un’altra corsa.
Id: 63274 Data: 25/05/2021 13:26:13
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Come scomparse a venire
Ho visto la réclame dei morti pro fondi. News ridotte all'osso o scomparse a venire, morti al futuro. Qualcuno le sostiene per intercessione dell’Eterno e del Luogo, dell’Indefinibile e della sua Polvere. Penso Dio come un migrante di mondo. Ma un migrante non è un'idea; l’idea è diversamente abile, lo si vede da noi. Chiuso lo spot, è comunque scontato in media almeno un gesto d’amore. Le immagini per coerenza passano in tempo ai fiori; i fiori consumano il tempo in riproduzioni e l’idiozia del tempo è che basta arrivare prima per vedere passare il dolore. Nel senso che spendiamo il fiato in fumo ma la lingua cura la papilla data per il solo gusto che consuma. Domani questi morti latenti saranno marea per quanto costa diventare punti fermi dell’entroterra.
Id: 63152 Data: 12/05/2021 10:10:27
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Coabitazione in oggetto
Le cose si popolano di spettri diventando cittadine perfette e tutte per ognuno prendono fattezze che dicono altro, ma a ben vedere si lasciano andare alle stesse osservazioni. Sì, ci vuole lo spirito giusto per fissarle a lungo. Le guardi di traverso e le attraversi perché si facciano conoscere. Non tutte, dici non tutte. Le inattese cosano molto ma non ricordi. Glisso sul divano così vuoto da sembrare futuro dove è certo coabitano spettri imprevisti e si aggiungono inserzioni nuove da angoli inesistenti, in modo tale che un oggetto come la fede sia: stato cerimonia coronamento e malvolentieri freno. Non sempre, mormori sempre. Al termine del loro percorso le mani avranno sfogliato parte del mondo con arti ridodanti ma una sola impronta avrei voluto mi toccasse come indice del terreno.
Id: 63064 Data: 03/05/2021 16:41:44
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Ti auguro di essere
Breton urlava a squarciagola di questo ministero primordiale. Brado quanto il serpente. Antecedente la mela nelle procedure divine. Fisico fino al punto di annotarsi al bacio e alla lingua, contemporanee del ventre, mentre si sa vennero col morso e con la fuoriuscita dal succo proibito. Oppure, il nocciolo di tutto, amica mia, è il tuo fondo angelico.
Id: 63003 Data: 27/04/2021 13:39:41
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L’angolo della bocca
Guarda quest’esile filo come poggia tra le quinte della sera il copione di altri soli: - è un bacio tra tenuto e dato. Ascolto la tua voce roca mentre cala la pelle tesa già da prima: - ricaviamo le bocche a scena aperta.
Id: 62933 Data: 20/04/2021 14:28:54
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Come di passaggio
Vieni nello scialle dei capelli quasi nuda alle spalle dei glicini di cinta con le paturnie della notte in luce. Verso te si muovono gli uomini del turno diurno senza smettere il riposo. Mostrano quei loro morsi ai fianchi e l’angolo delle labbra tirato come per altro il ghigno volitivo. E di là tu passi a memoria.
Id: 62882 Data: 14/04/2021 10:23:01
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FG+L (federico garcia, morto lorca)
Avevo il foro della bocca sulla sua camiseta. Altezza diaframma, tra palissandro e cedro. Entravano respiri appallottolati, come conversi. La sua bocca veniva giù dal pozzo stratosferico dove solo poche corde possono ascoltarsi bene. Tutto il chiaro possibile è lì e scende trasparente. Avevo la bocca vuota, il morso inesistente. Scrivevo alle donne con il mio fanciulletto tra i denti. Di pene e di attese. Si stava tesi a capirne il duende, poste le lingue circonflesse come accenti perchè meglio le gocce fluiscono in gola meglio sale il ghibli dal petto e deserta granelli assecondati da sillabe superstiti.
Id: 62660 Data: 25/03/2021 10:37:31
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Mi disseti, come si sente
A ben pensarci, Luì, ti trovo mano a mano in prima classe già che mi ordinano a ripetizione per il valore che ora avrebbe chi t'accompagna?
A pranzo stentati; o per quel passatempo raccontato a letto, unico orologio a ritroso. Perciò raccolgo il riso che mi prende, - la risata, ti ricordo, con cui iniziò la convivenza tra elementi diversi. Esplosivo in principio come un ahahah da niente. Di sollievo, diresti per fare luce a più riprese. E riderei, Luì, padre per bene. Quando mi hai dato terra era la tua che prendevo e ho fatto l’ape per restare in serto al sogno; ed ancora mi porti al limite nel ritrovo - e ti ritroverò, al limite. Analizzo questa parte: in realtà calpestavi la terra seguendo il mare. Ma chi segue l’onda si dice adesso, è conformato. Con la speranza delle reti: che ne sapevo di doverle tenere per me? Zolle incontentabili ti forgiavano i piedi: tanto plastiche che la sabbia non le manteneva. Certo, ne è passata acqua! e tanta ne ho avuta per bermi tutta la vita, ma che inarrivabili labbra hai usato! Luì, volto fraudolento, bello come non ti dico, morto oltre i capelli con tre o quattro o mille di essi consenzienti alla ginestra, fatti di buon vento. Ora mi disseti, come si sente.
Id: 62592 Data: 20/03/2021 12:04:43
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In luogo della vista
Chiedo mi colpisca una pallottola di luce come un’occhiata dura, di riprovazione. Verrà dal calpestìo, perché siamo terra, terra pregiudizievole. Da te. Ora non stato in quanto arma al portatore, sulla quale si avvita il mio silenziatore. Ma il frastuono coglie il bersaglio, centrato con un soffio da quell’aria giudiziosa che riempe il vuoto di sospensioni. Ecco, ora rimescolo l’ascolto al tuo già sentito. Ho ancora una mira e tu non ne possiedi, altrove se menti. Hai un profilo di percussore dopo uno scambio con il crisma dell’utopia. Mi piace quando mi provochi e sei assente, piuttosto che un richiamo mancato o una formale congettura sui riflessi dell’amore congenito. Dove speculerei, e decadrei altrimenti? In tanto esce dal cono della mente il tuo nome gelato eppure la rapidità dei bollori lo liquefa. Diventa un bacino per navigarti con la bocca a vela. Benché privato guancia a guancia riprende la fluidità vocale. Ora è un flusso che romba e appena il suo viaggio comincia nella gola l’occhio sgambetta l’illusione e cede di peso.
Id: 62493 Data: 12/03/2021 12:16:32
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Il miracolo dei pesci e dei piani
Fuorviante legarsi il cielo al dito, disse l’altissimo in piena crisi, sordo ai diversi nomi ma non al ruolo di vela lungimirata luminosa fatalmente inesistente da qui, dalla spiaggia distesa da dio. Era Cetara un imbuto di spume, una sponda sulla quale il Tirreno rimbalza nelle termiche più salaci tornate plastiche. Allora io: Prenditela con noi per il detrimento dei saluti, chiunque ti dia salute; prendi la roccia per le maree, portala via mentre già si allontana ogni giorno di un decimo di millimetro come chi svuota con la bocca i tre più due oceani e i mari interni con le coste a giro vita. Hai mai visto i tonni prendere per la collottola il mare dietro una femmina come per metterla in cima all’ormeggio? Poi rompiamo le scatole a chi si è perso.
Id: 62390 Data: 02/03/2021 12:19:59
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Tante in una sola muta
Quando ti attraversa il miracolo lascia un indirizzo cui risalire. Avrei doluto visitarlo. Il Sacro Cuore in Piazza Ferrovia è una santa pala per le fondamenta. E qui scavare, vedi, è farsi un attico. Da anni pubblico in coscienza e tengo alle scritture: il tasto batte dove la lingua è messa in riga. Mi riconosco ora dagli ebook, ora nella navata con le panche a posto: tante h in una sola muta. Il miracolo è sul foglio: scontroso pieno di aree coriacee alla comprensione che non svelano l’avvento al lettore. Ma è qui il piacere delle pulsioni, potrei dire, come se il contenuto in un calice carnivoro cercasse appigli nei termini convenuti. Mi pare giusto il tremito che mi coglie in questo lieve prodigio; continuo per la stella e per me fiammella, direi fiammifero buono per il fumo che non smetto. Eppure, vedi, questo spiega il miracolo in Piazza Ferrovia come altrove sta alla volta impenetrabile.
Id: 62257 Data: 18/02/2021 13:58:52
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Ti vedo incurata
In una casa sola, ho una stanza sola. Tra una parete e l’altra c’è abbastanza spazio per il corpo non per la mente malamente corre dove il corpo non reggerebbe. La finestra si rivolge a nord-est denigrando il mezzogiorno appena adesso. Il mezzogiorno è per ora solo un punto del panorama. Qui la punta della pena scrive la sua pagina di conseguenza. La posizione ingombrante vizia il fabbricato e lo lega alla sua età come dovrebbe un uomo maturo ai suoi piedi. La loro vita si regge sulle pietre alla faccia del sole quando vi pioggia a sbafo. Da bambino credevo di udirle gemere nelle mura a mezzogiorno. È una debolezza che ritrovo in ogni solitudine. La stanza nella casa nel condominio nel quartiere nuvolo dove la luna si mostra a pezzi e talvolta neppure, si lamenta. I mobili vibrano se in soprassalto indovino la porta ed esco in pensiero: siamo uomini, accidenti, non solo spiritosi ma corpulenti. Ti vedo incurata, cittadina che non sei di aiuto ai ruderi rimasti, e qui, a cadere.
Id: 61892 Data: 21/01/2021 14:53:21
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Come definirlo di nuovo
Se la terra è un ritorno, tutta la vita va per aria. È una nota personale, ma la prendo male. Il coro è escluso, l’attore inscena l’ombra impettita. Questa nota è a fiato: fa caduto che si definisce. Più dello stomaco la soglia del torace è attraversata da battelli a vele nati. Tra vasi di bile e barattoli ikea, il mio barbiere usa una tosatrice a mano più antica del mio medico - a quanto ne so. Abbiate cura di me dentro e fuori i sentimenti che mi infestano: sono inadeguati come i tempi morti; e se i meridiani energetici sono elementi da prima che fossimo fatti, il dottore sa come sospendere il dolore con una buona pressione. A modo loro, sono poeti sublimi. Per dirlo con una pillola, la gravità curva il vizio col terrore, mentre la malattia curva lo spirito anche in assenza di gravità. Se fossimo punti luce, saremmo gobbi. Così le diagnosi hanno radici negli strumenti e basta? No, siamo una selva di fermenti del campo privati, ora.
Id: 61412 Data: 19/12/2020 17:23:57
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Che mi perdo
I luoghi che attraverso mi attraversano e chiedono ad una voce: ti ricordi di me? Davvero i luoghi anche se non chiamati si girano. Gridano alle suole ciò che all’orecchio duole. Io so che i luoghi mantengono viva la memoria, benché l’asfalto si lasci tormentare dai passaggi. E l’asfalto è costato, il cuore mezzeria con il suo tirabaci; una buca usa la voce vizza vagabonda con intere frasi prese da sobbalzi sulle sospensioni intanto che i passi già distorti allontanano la comprensione: ti ricordi di me? E dicono l’età: è evidente che sento poco: o l’udito è saturo di timori oppure i timori fioriscono ora. Sui rami torti, sfogliano i loro complementi. A volte, questa volta, la rotula dell’acqua sbatte cade e lascia il segno, così che la laringe della terra di sotto possa farsi riconoscere come sirena in piena odissea.
Id: 61336 Data: 13/12/2020 19:23:51
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Il terrore del bacio
Mi rifugio spesso nel tronco in un punto intercostale preso di mira dal battito. Battito apotropaico che tiene a distanza il contagio della distanza. È indispensabile l’abbraccio che ripari la buona vena attraversata dalla birra sul davanzale. Se usi bere altro, il testo non avrà la chiarezza necessaria. Ugualmente se l’autunno non ti sfoglia col rito delle domande cadute come frutto disfatto. Oltre il primo ramo della famiglia, raccolgo qualche sillaba dalla chioma del cognome. Forse chiamo qualcuno, forse i nomi confondono gli echi con torti: per intero in terra non basta il beneamato tronco. In questo ricovero ancora viene il tremito a portare rigurgiti di buon sonno, il domino dei bambini.
Id: 61201 Data: 03/12/2020 18:20:27
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Per una volta niente ancora
Ciao, marinaio alato nel secolo scorso mentre ti guardo in un altro tempo affondato. Benvenuto, pescatore del circolo solare eclissato in questo traffico di pianeti conniventi con le stelle della muffa universale e imbattibile da idee che non si stancano di guidarli al macero come si offrivano a te da strumenti di bordo. Salve, ah! salve, mitragliere puntatore scelto colpito dalla tua terra più o meno presa di mira dall’instancabile viragonia dei miseri che li miete e li combina peggio e tu salvato dal basso ventre solo se dall’acqua santa ti hanno tratto per i capelli. So di essere tu per niente ancora. Intanto, in che giro sono finito?
Id: 61029 Data: 20/11/2020 15:19:09
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Tornano tutte qui
Sto sul margine di un golfo scalmanato convinto che la sua superficie agitata sia una grossolana bugia legata alle ciarle per aria che nessuna pinna contiene. Tuttavia, lo scalpello dell’acqua sbatte la verità sommersa sulla riva: così si riduce quel che trasmette il suo delfino, l'onda. Qui l'universo si affaccia con una maschera indaco fino al setto del promontorio che tira il fiato ma ciò che vedi o calpesti o raccogli, sono residui scagliati da millenni nei condomini delle sue narici altezzose. E sono le loro ombre che danno espressione ai marmi; è la flessuosità delle lische che fa giacenza di fondo nel blocco in forme. Senza dubbio ogni roccia contiene la maestria della vita che attraversa lo scalpello con generosità. Del genio che non mi viene in mente perché nella mia bocca manca il suo strumento tale per cui qui è solo l’artefatto che improvvisa corse sui gambi delle lettere: consonanti per uomini messi all’asta dalle vocali perentorie del porto - oè, oè, iiiih. E tutta la punteggiatura che procura balbettio e mugugno nelle vene dove scorrono queste parole reflue e, ve lo giuro, tornate tutte qui dalla paura.
Id: 60915 Data: 12/11/2020 10:39:33
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Metto mano al buio
L’intimità è una piega che veste bene. La prima a distendersi quando le camicie si svuotano. Può diventare patibolo o podio, patio, palestra o peso, porto, ponte o pilastro, addirittura parto: c’è la nascita di un nuovo gesto in ogni stropicciamento: stiamo in una sottigliezza. È nello spazio, ma non si raggiunge con vettori spaziali: sappi che il cosmo è alieno alla confidenza. Gli astri in pieno lockdown sono stepping stores. Tuttavia, Rossella si staglia sottopelle ma sopra scaglia il suo segreto come il fiume che scartabelli le pieghe recondite della corrente fino a prenderne esempio. Nell’intimità le stepping store mi stanno bene, ma che ne dici se ti indico chiaramente dove il pensiero mette mano al buio? Al buio scrivo perché sia fatta luce sulla mia luce eretta.
Id: 60846 Data: 05/11/2020 13:12:30
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Man and drake
Fai per uscire ma il portento è che ti tengo a mente; e come per tutti i riferimenti è solo a mente che restano immutati. Sulla rena cellulosa di una scena di passaggio attribuito dalla sintesi delle orme sei il più esemplare camminamento dell’arcipelago - tu, isola maggiore, popolata di mostri che la pellicola mi ha fatto toccare con gusto palatino - eri l’ultima isola rimasta a galla precedente l’affondo verso un nuovo luogo da mandare a memoria. Mi ricordi l’inattendibilità delle narrazioni da proscenio e la ribalta dell’ipnosi autentica per le mani alla rinfusa. Una era la magia che dava la tua statura di pontiere tra le maschere l’altra la mappatura della voce in ogni direzione. Profonda come si vede, a più non puoi, a meno che tu offra ancora suoni a ripetizione da tanto lontano dove sei permesso all’eterno inoppugnabile per capirci.
Id: 60826 Data: 03/11/2020 13:06:16
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Mantenere a distanza
La luce mente. Questione di misure inappuntabili. Al punto che l’osservatore col cuore in mano teme spazi mai visti. E sono sguardi che sgranano gli occhi! Sicché seminiamo immagini che in seguito saranno sfollate. Ma la vista calcola il raggio per affermarsi nel vano. Da lontano le rughe arrivano meno rughe, le mani meno mani; per starti intorno i passanti si confondono alle maschere con le occhiaie. La strada ti circonda fino alle spalle. La luce inganna: i sette nanosecondi che permisero all’ape di saggiare il nettare, portano la notizia con ritardo però le ali battevano all’epoca in fiore. Vieni a fior di labbra per essere contemporanea. Non è mai adesso, per capirci. Questa luce raggira e lo sguardo è il suo imbroglio per diverso tempo.
Id: 60757 Data: 29/10/2020 18:02:00
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Dotati di giro
Avrò il coraggio di proiettare in tempo - questo tempo che non esiste ma è determinato ad essere mio perché la memoria è una lancetta e il solenoide del cuore la ingrana - l’immagine del mio ventre che resta senza parole sul tuo? E schiacciava, ti sentivo dire, l’età tanto distante tra di loro. Si vedeva da come te ne uscivi (questo fanno gli scomparsi ai presenti: fioriscono in diversi apprezzamenti). E non i defunti, ma i nostri ancora in giro. Ora, e per ora come allora, ti mantengo in questo stallo vizioso in vetta agli anni stilizzata sulla roccia cui la pelle non fa difetto; in una grotta, sulla parete villosa che si osserva se poni a capo il cuore. Siamo una mappa di luoghi articolati dai nomi sovrapposti, sconfinati dai pittogrammi in una cavità umida.
Id: 60675 Data: 22/10/2020 15:08:22
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Che dici se ti suono
La musica presa dalle sue note non bada a quanto sei stato un suo strumento. Così tutto va per aria, ma la musica sa farsi strada e porta nei meandri almeno un segno da lasciare ai battenti. Così niente va perso, ossia il lavoro dei battiti muove con passione, poi si dirige dove può. Tuttavia, mette la gola alle strette assegnandole un gesto precedente la razza: l’ascolto. Le acrobazie dell’udito insegnano a cucire i lembi delle ombre alle orme. Ecco le asole della memoria che attaccano bottone con nomi dolorosi ecco le pieghe che prendono le parole ecco che ti rammendo come ricordo per questo motivo, allora.
Id: 60633 Data: 18/10/2020 11:16:29
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Tempo autunnato come si deve
Questa stanza consuma ad occhio l’universo fuori dalla sua orbita. Colpisce sotto la cintura dei muri opportunamente fabbricati per venirne a capo. Ma la stanza deperisce benché si nutra della sua porzione di spazio con secchi colpi di finestra e con almeno una parte di me la più contornata attraversa il resto. Resto per lei che giura sulla meta - appunto dov’è: alla pompa di emo-gasolina che versa come dico. Rossa che ogni altro rosso avanza e autunna la fronte e le fronde alle rogge autunnano anche la potente acqua. Sono quel che mi ha nutrito o quel che ho dato, in somma, al dente. Più esattamente lavoro ad un rinvenimento del fuoco: alla luce del sole vorrei dire qualcosa.
Id: 60592 Data: 14/10/2020 15:50:14
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Questo era tutto il mondo
Quello che non vedo è perché non me l’ha mai detto mio padre. Che non parlava molto, per dire di altri padri. Tuttavia mi indicò in quale scena le nuvole fanno comparsa con la regia della pioggia - su per giù dai Lattari. Lui guardava le stesse coste - per altro. Il ballatoio con un cotto d’epoca - orme dei predecessori a carico. Quattro stanze, quattro scalini, un cancello con quattro spilungoni di ghisa che davano strada a volerne per quattro vite - grame di quella grana di pescatore cui le reti fanno il filo. E senza coste inopportune - quasi che il mare tornasse a casa. E la casa è una costa, talvolta posseduta - da qualche sgombro. Ma la costa è dove occorre sia la tua parte nel frangente - e resta l'unica al limite. Non io, seguace della corbelleria, fuggito in un altro racconto che ancora vado facendo dell’armonia che sciabordava sulla scala a nome suo. Questo era TUTTOILMONDO - a cinque anni dal saperne di più sul calendario.
Id: 60156 Data: 10/09/2020 15:36:22
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Mimì, daltra parte sei
“Non è un angolo prudente la palestra dell’anima” (Odisseas Elitis)
Nato ad arte per metterti all'opera letteralmente a lungo sai. Ti trovo preparato per questo e, gesù! ,
come la tua isola cammini sulla bianca cresta dei fogli. Irrighi da mare l’arte alla gola, disteso su rene quanto quei tori salaci che spiaggiano dove sei. La stessa voce rossa e pungente viene dal corallo che ti rimpolpa; e dimora in luogo il fior fiore lunato. Ricordi yakamoz se parli e, se taci, la coperta liquida sulle creste traversate porti − parola che consente nuovi risvolti all’astro in effetti a cappella. Da acino ad acino come per le malvasìe è ovunque l'estro solare ciò che da te frutta in canto.
Id: 60075 Data: 04/09/2020 14:41:34
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Anamorfosi del castello in aria con giunzioni esposte
Mi sembrava di volare. E, anzi: ero certo di non poggiare i piedi a terra. Una egrette walcottiana, un cognome senza tempo. E tanta aria di colpo spezza la schiena come ad una fronda il peso del maestrale. E più la Terra faceva per avvicinarsi a me, più mi allontanavo puntando il naso nell’unica direzione possibile: l’azzurro inesistente di rayleigh spiegato da sè. E, pure, ero fermo al modo in cui un orologio solare indica tra buio e luce il luogo in cui questi nascono mentre più lontano è esatto il suo definitivo abbandono. È un carassio dorato, l’abbandono, con due sillabe caudali che rivelano un sacco sgonfio. E fino alla fine la mia meridiana ha un’ombra che funziona da freno. E non sono per lei un pensiero. E comunque volavo, finalmente volavo; sicuro: volavo! e l’unico punto di vista per accorgermene era guardare le palpebre che dall’oscuro si facevano grate. E così ancora mi sveglio senza esserlo.
Id: 59931 Data: 25/08/2020 13:45:23
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Coretto del secolo scarso
È stata un’epoca cromata a breve termine presa da terra come un pugno di mosche. Ci è crostata l’ira di dio diluvi poi altre sciagure tra le pieghe bibliche. Come raccontare quel che venne a notte? E portato alla luce è poi cambiato? Questo monologo è certo più straniante nel metodo strasberg e le parole sono equivoci complici. Consiglio di leggere senza seguire il rigo fino ad un punto morto lasciando al carattere l’illuminazione. “Bastone e carota...”, disse lui con l’intonazione cavernosa e raschiata da selce. Un regista che dirigeva gli amori secondo il metodo del fare buon viso al cattivo giogo. Come fossero in condominio anima e mente nel solstizio della memoria. Talmente distante dalla troupe che se non pagava il sabato la domenica era indotto a più miti legioni.
Id: 59877 Data: 20/08/2020 11:33:26
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Contaminazione del forse
L’ultimo raggio prima della serie si diffonde, briglie sciolte, a cavallo dei conti; e già che cala la botte con le stalle carenti monta una volta sola. Alte le selle date al cielo cavalcavia innumerevoli, sollevano l’orizzonte con un colpo alla cerchia ed uno alla notte. Quale funzione annunciano in piena luce ora che sono protagonisti i satelliti? Bussole finite in disuso, disossate, paillettes, stelle soltanto per i cristofori sul resto degli oceani - dal topico del cancro al tipico delle cancrene.
Id: 59823 Data: 15/08/2020 14:42:59
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Raso al sole
Prendi il rasoio - ecco, lo impugno. E la schiuma. Bagnati il viso - è umido di suo. Sembrano squame diamantine - un po’ di sconforto. Esci dal fondo e mettitti in luce - quanta ne occorre? A volte tutto il sole possibile. A volte un lumicino - qual è il mio caso? Passaci sopra. Ricorda l’infanzia - sta tutta in un giorno. Allora usa l’esperienza - ho poca memoria. Uh! ti perdi in un niente - niente mi indica meglio. Devi crederci. Taglia la barba: chi non ce l’ha è divino - se non è rasa al suolo.
Id: 59785 Data: 11/08/2020 20:04:55
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A più non posto
Mi sono svegliato solo e controverso. Non pensavo di scrivere questo. Cercavo i calzini e gli slip a tono. Nel solito cassetto, allo stesso modo di un sentiero che segna niente ma disordina le idee. Tra l'ultima matilde e il terzo plenilunio del duemilasette, c’era il fuoco sopito. La terza luna che il mio cielo non aveva compreso allo stesso tempo. Spesso ci prendono folate d'ansia come la piega del giunco che finirà nella stuoia per riformarsi. E non si capisce bene perché le mani resistano nella storia che le ha inchiodate. C’era la busta, il cui primo messaggio per gli occhi è la rabbia ancora accartocciata. Questo non mi bastava. Una busta come pane raffermo preso da muffa industriata per rifarsi: ciò che nell’esistere è il desiderio incomprensibile più che la fame irrisolta. Poco altro colpisce la tenerezza come il passato manifesto delle cose che possono raccontarci un vuoto. Così smisi di ascoltare l’uomo e la voce seguente indossò i calzini.
Id: 59737 Data: 07/08/2020 16:59:03
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Tra le foglie del te
Il bottone ha trovato l’asola nelle mie mani e mentre agosto slaccia i primi due, l'ultimo sotto s’invaghisce tra le dita. Da esploratore curioso la lingua esalava gli umori mentre saliva; e giù conta l’amore, diceva lei, la vita impanata da stagioni. L’uomo si ritrova se i nei sono nello specchio e non si spostano. Si perde quando riflette tutt’altro. Ho risposto con argomenti coperti per evitare la tempesta ormonale che non mi ha raggiunto. Lenta ammaino la camicia dall'albero della schiena, dritto come va il sabato nella domenica, inqualificabile spasa di ore in sosta. Da lì in basso, è naturale che il ginocchio appaia come un promontorio di limoneti per la mancata concitazione della coscia catarifrangente. Che aria tira nella luce la bianchezza che sventola?
Id: 59708 Data: 04/08/2020 11:29:32
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Cari Voi
Voi presi nei luoghi comuni, immagino siate in formati per bene su quel che accade a chi prende il mare contro corrente. Li hanno colpiti appena tornati davanti alla porta della speranza mentre fuggivano da un lager di sabbia con la pelle a granelli spaventati non dalla morte ma dalla loro vita a ritroso. Chi erano? Presi di mira, l’esistenza è un pugno di mosche intorno - credo - il rifiuto dietro una duna per liberarsi dell’aldilà. E l’Alto là è persino più secco del miraggio alle spalle. Una macula che le allaga finché il buco non separa il battuto dalla realtà. Come lui, altri hanno impresso la convessità del viso nella sabbia. Come lui, troppi calcano orme a naso.
Id: 59635 Data: 29/07/2020 18:00:22
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In quel senso riverso
A F.B. Se un uomo scrive una poesia e loda una poesia di un collega avrà un’amante bellissima. Se un uomo scrive una poesia e loda all’eccesso una poesia di un collega, allontanerà da sé l’amante. (Mark Strand - Il nuovo manuale di poesia) Spesso mi guardo le labbra: rinsecchiscono come ceppi ardenti (mi pare possa dirlo benchè gli incisivi si consumino più per la lingua che per i morsi a piacere) ed insieme - tu nel vano della lettura ed io nel vano tentativo di attrarti ancora - notiamo che le parole stentano a rinnovarsi quando usate per lo stretto necessario: siamo lamenti e lemmi lemmi nemmeno bastiamo per spogliarci completamente. La nudità è ora piegata; ed è il mondo che segna il breve alterco in tempo; ed è una monofonia (qui addirittura un verso da cardine strid’ente - vedi come il suffisso avoriato ci prenda in contrasto pur apostrofandolo non da devoto?) La nudità scompare in quanto seduta collettiva di frasi mozze, sbrecciate in fine silenzio che sentenzia le perdite e, perché no, incapaci del passato che avemmo a letto. Così anche il libro del ventre si mette all’indice in quel senso riverso.
Id: 59512 Data: 18/07/2020 19:23:36
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Come va il rapporto
Il mio rapporto con il mare è in frantumi. Troppi scogli tra noi (questo elemento è irragionevole per sua natura ma anche l’attrazione accasa dove ha riva). E, nel rapporto, il sole la fa da padrone, fino ad un certo punto. Poi, la nostra intimità è andata a fondo. Sappiate che tutto ciò che è esposto si deteriora. La luce sbianca le tinte più accese, l’intenso calore secca la fonte dell’inestimabile anemone: e svuota la spinta; e riaffiora l’abisso a bordo. Si è deteriorato a causa del sole. Ormai non facciamo che vederci nell’ombra e per tenerlo tenero gli racconto come calpesto la terra. Oh, per carità!, evito prudentemente di affrontare l’argomento, d’altr’onde. Si direbbe un modo stupido per avvicinarlo all’essere vivente, ma è più sciocco come ho ridotto la sua vastità nel perimetro dello scafo all’orizzonte. E lì si arenano gli occhi.
Id: 59496 Data: 17/07/2020 15:37:40
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Addosso più che vicini
Il lungomare travasa sulle mani una guarnigione di dita: truppe sull’unghia, tante lunule esatte e capaci di conquistare le vicinanze all’alma bianca quando notte e giorno una sola ci suda. Sublime, certo, l’umidore dei palmi: toglie grigiori dall’incubo delle pendule affusolate e sembrano utili gli indici per l’approdo dei ciao come va? I pollici lasciano i dorsi inoculandogli paure (la paura è animale domesticato: si strofina contro e guarda in alto supplichevole; se l’accarezzi non ti lascia, così marca). Come sia possibile che gli anulari si svuotino è la domanda di certe catene, o del mistèrio delle fedi convertite dagli occhi in altra sede. Ma la linea della vita passa di mano in mano come sempre breve è stato calibrarci coi gomiti.
Id: 59397 Data: 10/07/2020 13:10:47
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Quei percorsi introvabili in tempo
Odio via Clark per la sua forma: non è plausibile sia tanto dritta da prendere in giro la costa. Ma le curve sarebbero costate più del necessario, se fossero state decise dagli strapiombi salati. Mi fa male che sia illeso il rifiuto tra i platani, più che composto quello in una siepe di gelsomino, sopra i masselli che si sollevano e vanno ripresi come le orme che lasciano il marciapiede. C’è di peggio, ma serve alla sopravvivenza di millepiedi, formiche, eccetera, e seguenti. In questo tratto di via Clark torna il dolore per non più di 100, 120 passi, che sommano circa tre, quattro ricordi, pieni di congiuntivi che seccano il mare quando parla a memoria e improvvisa ad ondate sciami di didascalie insonni. Come sbadiglia stirando la sabbia per le rive baciate (odi?) e porta la notte in un cantuccio, una nenia rosa. Continua la città con una teoria di unghie, modellate dalla lingua oscura in modo sorprendente. E lampioni che offrono manciate di splendore disposti ad inscrivere i soliti in simili a caduti. Niente più e niente meno che sfuggiti, lo sguardo sollevato, così l’anima torna sopra le righe.
Id: 58412 Data: 04/05/2020 18:14:04
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Resistenza al vuoto e carenza di pieni
Resistenti e carenti si erano visti prima, perché i visti sopravvivono ai monitor - almeno quanto le statue alle loro teste cadute. Intanto, al fronte, i combattenti ricoverano i proiettili con la loro impronta. Capisco chi ha imposto le trincee a noi: somigliano a quei ghirigori sul bloc-notes del telefono quando già ti assilla la febbre da pieno. Pieno? Sì: pieni scavati da corpi andati a vuoto: ne ignori l’ultimo aspetto, ma aspetti segni da te. E se i migratori tardano, l’incubo volteggia nell’aria: una poiana fila in città come nuda. Sulla linea di fuoco tanti in grado salgono i gradoni dalla vita in su: meglio del grano è il giuramento di Ippocrate. A difesa del loro volo, per dirla con il cuore, non c’è soltanto un battito d’ali ma pure la qualità della cera messa a disposizione. Per i soli scomparsi la leva del ricordo fa fulcro sul futuro. Poggeremo con sollievo il dito sulla data dell’anno corrente lungo il venturo; tra l’uno e l’altro - come in un guado flusso debole e il piede scandaglio - si forma l’orma sulla spoglia sponda. Non è tortuoso questo passaggio della storia? Da che il mondo è questo mondo, la vecchia croce è presa per il nuovo ma ridotta a poco dai numeri riassunti in cielo.
Id: 57981 Data: 11/04/2020 12:08:41
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Vi prego
a Pietro Roversi(*) un poeta all'estero Si potrebbe pensare che mi sia organizzato. Generalmente da umano. Segnalo la parola umano quale finestra in grata. Dal prato prendo dieci passi nella stanza 4x3 e solo due minuti ogni ora, ma il tempo non vola. Platone è meglio del Prozac richiede lenti e lente lente ripetizioni. Leggo ciò che serve in primavera ai semi indipendenti ma la gemma ansima quando occorrebbe verve. Ansima sul basilico, presa dai suoi nervi. Toccherà ai semi occuparsi di fare meglio: da sempre è questa la speranza dei tronchi - che fa battere il legno e lo tiene sveglio - prima che il fulmine li stronchi. o l’occhio del ciclone li abbranchi. Toglie il respiro il numero enorme dei morti inguardabili, infiammabili da soli. Chi saprà mai in noi quale parte informe immunizza da quel fuoco? Non è deducibile né dal dolore né dal conto indicibile dei corpi. Lasciamo alla cenere la dignità di ritorno. Adesso mi resta tempo per viaggiare nei siti che fanno rumore. So nascondermi di giorno, invoco la sonorità della strada e il suo rito quotidiano. Che ansia! Anche il mito infetta! Da uomo immobile mi muovo in un goffo qi gong. C’è abbastanza metodo in questa pratica di rinnovo? Ansia da resurrezione, penso. O demenza delle pratiche officinali per l’emergenza. Eppure, sulle ossa nude della nazione, la polpa sono i santi che si espongono. Avranno ceri e la medaglia di uno stentato giorno di memoria. Io sento la colpa. Questa salvezza - che m’invaghisce - è la loro taglia. Ma ognuno come può affronta la battaglia: chi con la bocca coperta vuol mordere il leone, chi, conoscendo la secca, sta manovrando il timone. (*)Lecturer @NatSciUoL and Research Fellow @LeicStructBio. Rescuing secretion of glycoproteins in rare disease. Ma, soprattutto, Poeta di straordinaria sensibilità.
Id: 57806 Data: 03/04/2020 18:49:09
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Se capitasse ora in un secondo
La morte è una fondina al fianco se ti comporti da pistola; ed io l’ho fatto. Non abituatevi a me, non all’individuo delle notti seriali, nè alla serialità del verbo sono, o alla sonorità del corto e con torto, ah!, vivo ancora, vivo ah! E presumo di essere inarrivabile quando accadrà il nulla evento, che è avvento da nulla. Quindi cercatemi oggi, se ancora vi attrae il gesto di cogliere la manciata di grano che germoglia nel cerchio della mia tesa. Per quanto lontano il fatto, oh!, vi prego di considerare questo aspetto: non ho lasciti che finiranno in terra. Cenere al portatore, mi sento; una sigaretta, un torto al vento, ah! Ho vuotato le bottiglie, ho lo stomaco vuoto e vuoto l’intimo adesso. Mi svuota l’attesa, perciò ditemi che riempie l’uscita dal tempo - beninteso il mio tempo sgocciola, pendola. Se quella porta introduce un serio integerrimo, o se - e ovunque - il futuro adesso è più di un'ora dal secondo intransigente, ah! Secondo me somiglia alla lucciola nella sera: intermittenze rivelano come si presenta l’angusto credito che continua a boicottare il buio. Dite che è dura, ma che la terra è fredda benché, congenito, abbia un fuoco dentro intabarrato nella pelle dei continenti oceani. Parliamo d’altro: "se davvero hai deciso di affrontare / il viaggio per Atlantide sappi / che per quest’anno solo la Nave / dei Folli salperà per quella rotta / e poiché si prevedono tempeste / d’insolita violenza disponiti / a comportamenti assurdi".(*) (*) Atlantide - W.H.Auden (trad. del tutto pers.)
Id: 57300 Data: 09/03/2020 13:15:18
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Il racconto di Oh!
Più vicine di noi, vocale e consonante stanno a meraviglia. Oh! la donna - la chiamo Oh! - si stupisce di averlo pronunciato alla rinfusa. Le sillabe della pendola, più grevi, categoriche, iniziano l’alba con il repertorio difatti apparentemente nugolo di oh! - le sue mani si prendono in grembo amiche dalla prima ora. Le muove lentamente come una funivia. Oh! le dita passeggere! Garze ladre sui femori, attratte dall'opale rotuleo che appunta il divano. Un ciclamino ancora, mi sento. Non metto bocca perché non ne ho per metterla. Oh! raddrizza la schiena come la memoria del corpo meglio consente, e Oh! ripiega chiude le palpebre per prendere visioni sotto una nuova luce: tavoli sedie volti lunghi o ampi luoghi utili inutili persone sapienti confusi panorami legati dallo stesso nome - il nome meno in voga, ma più richiesto Oh! le gambe - un palio - strette sotto le mani che si comprendono; come due viticci cercano appigli e sanno che bisogna aggrapparsi, anche se non c'è niente da prendere, tranne lo spirito Oh! Oh! prende i sensi a caso. Li ricovera con un pretesto; nel silenzio fanno incetta di risonanze, ma è nel rumore che i sensi si trovano a piacere. Il piacere che qui appare fuori contesto, ora. C’è, ed è come l’osso spossato: debolezza non leva le tende sia ricordi che vento. Il vento è meno di un respiro. Il respiro ha fretta, esce dalla trincea del sonno in uno sbadiglio armato dalla stanza concava, la stanza coglie i denti a nudo, è ignoto dove si colloca un sorriso e dove porta chiusa. Sotto il tappeto a tinte cupe levita il pavimento terreo e appena si distingue il cielo dalla strada: aperta parentesi, semplicemente, Oh!, sente la distanza manifestarsi in tempo. La solitudine è un modo per arenare il battello udito sulla affiorante distopia di talune voci a venire. Oh! è terribile che un ciclamino non possa mettere bocca in quel senso.
Id: 55747 Data: 13/12/2019 13:27:11
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I geni sono la risacca dell’era
Avrei voluto essere il gene d’uomo che cancella le bestemmie e allunga i monconi e riempie le narici con un buon odore. E salda i debiti con il passato, non con l’oro. Purtroppo per loro, non sono una fonte miracolosa. Sono acqua al settantapercento, torva. Limo fino ai piedi che monto a pelo. Un rivolo pieno di batteri coprofili: credo vizi; esalazioni, credo, di un reagente organico; fatemorgane dalle parole a vapore: chi glielo ha detto di farsi gioco dei pensieri? Questa ipotesi sulla lingua è una gratitudine rivolta al genere fesso: il mio. Quando ero fanciullo, o ruscello, non come adesso che riporto resti, c’era qualcosa che alimentava con buona ragione un corso, un letto di portata maggiore. Era il gene d’uomo “che doveva essere trasmesso” - disse il professore Lardo che aveva letto il mio diario a tentoni. Un diario a tamburo, caricato a salve.
Id: 55189 Data: 31/10/2019 12:10:11
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E state per essere
Non fissare l'onda al mare. I chiodi sono liquidi, schizzati pare; sono aculei nello stesso senso vs. Rotta contro piedi la corrente arriva a sanare un principio di fondo. Qui ha inizio il sale e compare la sirena lancinante. La sirena avverte la doppia mandata dell’onda. Viene e ritorna. Non è fissata ma ci tiene. Ci sono pesci che si scagliano a bordo. Questa linea è tipica di chi è preso in parola e si spoglia per quel breve luccicore prima di infilarsi in bocca. Scontiamo la supremazia della sabbia sulla sdraio ma possiamo attenuare l’afa con uffa. Serve meno dell’agitazione, eppure un ventaglio ricorda la capasanta come fai tu con la medusa. Graziosa trinità, tu lei l’altra in uno solo. A molo ancora finché verranno a rompere nuove onde.
Id: 54526 Data: 28/08/2019 09:18:58
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La radio fuori onda
Quando cominciò era un gran bel tempo. Il microfono con il profilo da piazzista piantato sul mixer come un cardo - feroce e mellifluo quanto una lettera dell’agenzia delle entrate, segnatamente la i. Gli roteavano intorno sillabe concitate (queste aquile annidano nella cavità orale). Un alfabeto rapace si lanciava nel cielo più basso, con la cadenza locale delle frane. Una pratica durata 30 anni, che ho nel tempo abbandonato. Andati in fumo, perché la raucedine gracchiava ma poteva farti passare per aria, anzi, doveva impastarti. Dediche a parte, c’erano numeri da circa come quei giochi privi di conoscenza non di meno rincorsi per sapere a casa. Il monocolo del disco mostrava un occhio di riguardo al giro richiesto - più graffiante lo scratch sul vinile che l’uscita dal solco digitale. Comunque, la musica è una presa d’acqua e spesso non si afferra; attraversa i continenti ma non tutte le pelli. A darle corda, l’udito abbocca, perché l’esca è l’orizzonte popolare con una certa frequenza, da promessa in onda. Ancora nessuna nuvola, ma di solito piove avendo tempo.
Id: 54374 Data: 09/08/2019 13:35:09
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Per dire la gioia
Proprio ora venni al tempo del seno in seno alla mia amata. Era una tipa in fuga da un mondo vecchio e duro e partii da lei con lei di fianco. Su di noi contava la Terra per una parte solida e per tre parti d’acqua costose. Come me e lei, voi tutti: continenti in cui un ponte passato non equivale a un guado futuro e il letto traversato è assolutamente a cura del piacere. Del viaggio ricordo la corriera - significa mia madre in corsa unica - che pativa le vene a gomito. Il sangue in cuor suo legava gli urti dei pubi ai figli venturi come ai sogni teneri. Non seppi cosa fosse finché rimasi nel luogo delle pulsazioni, ma poi i tessuti cedettero mano a mano e prese piede il congiuntivo della vita: ti porti bene uscirne e ti sia dono il suo favore. Purtroppo, lo sapete, il desiderio è quella parte gelatinosa che cola sulle lenzuola - se non altro - e lascia un girasole mai al sole tranne per la mistura di gonfiori ed incassi chiamata respirazione. Della sua bocca che saliva, chiara della canizie dei gigli, ho detto la magia di darmi gioia per come io la vedo ancora, ma.
Id: 54217 Data: 20/07/2019 15:49:54
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Per bacco o oh
Pieno questo bicchiere con parti di voci antiche di spirito d’acqua e certamente cielo terra legno - in forma ineguale all’origine - scivolando da porpora sacra cala in gola il bene da dio. Uno due tre: viene fuori sbronza, talmente stronza da riconoscersi con altro nome, come barcolla. Dai raspi che affrontano la morte affondando nel suo miele fatto barbera per l’esattezza novello. Mancano in piedi, detti da mille radici - piantati in terra con vento. Sacerdotali fino al seme non dato. Mancano i rocamboleschi segni delle pedate, le pressioni avute, gli schiacciamenti aviti; evito la danza a mezza botte e, benché il succo del gesto resti a bocca amara, si sposa con un credito di grazie che pare venga dalle ultime gocce carezzate da sete.
Id: 54150 Data: 14/07/2019 20:00:09
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