Sin da quand’ero piccola,
nelle sere autunnali (quando fa scuro prima)
o nelle mattine d’inverno (quando fa chiaro tardi),
o quando mi affacciavo alla finestra per vedere
l’auto di mio padre che tornava,
o negli anni più avanti,
centuplicata con il miracolo dei figli,
una nota profonda di basso mi cattura
e non si allontana mai.
Qualcosa tra la terra e il cielo
che mi corrode l’anima,
che riga come vetro graffiato le risate,
che appesantisce greve i fili d’erba,
che lacera la trama della vita
come una pietra aguzza che passa sulla tela.
E sono ostaggio
della dolente stella polare della perdita,
che preme sui giorni e sulle notti,
come un silenzio che mi rimbomba addosso,
oscuro e confuso, immobile e incessante.
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