Vita dopo vita
confezionai l'abito più bello
per il momento che avevo sempre atteso
e quando giunse mi vestii di cielo.
Indossai una camicia dai riflessi di luna,
presi un raggio di sole
e lo annodai come cravatta,
scelsi le stelle più belle
e ne feci bottoni,
calzai scarpe di nuvole,
un arcobaleno come sorriso
e il fiore della vita nel taschino.
Attesi,
con indosso l'abito migliore,
come uno sposo sulla soglia di un sogno
con in mano il bouquet dell'eternità,
invano,
finché l'abito si sgualcì,
consumandosi fino a disfarsi.
Brandelli di cielo caddero,
i riflessi si oscurarono,
il raggio di sole divenne un cappio,
le stelle si spensero,
i calzari divennero nubi di tempesta
in cui ruggisce ancora la folgore del silenzio e dell'abbandono,
l'arcobaleno svanì
e l'eternità appassì.
Adesso, figlio della notte,
vesto di cenci e stracci,
ciò che rimane di quell'abito,
e come un reietto mi aggiro in vicoli bui,
dove ogni andito conduce
a vicoli ancora più stretti e bui.
Quando la sera sfuma
mi rifugio in antri oscuri
e giaccio con la fiera che si aggira
fra le ferite della mia anima.
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