La voce
Nonostante siano passati anni
dalla fine della guerra, mi sveglio
di soprassalto nella notte, preso
da quella stessa voce che mi spinge,
ogni giorno, a costruire una diga
al male che deflagra, all’esplosione.
Le luci del mare
Nel mare non c’è una madre che vada
a parlare, a portare le sue cure
ad un figlio travolto dalle onde.
Il piano sommerso vive nel buio,
è un abisso profondo, rischiarato
da chi fa sosta pensando lo sfondo.
A Donato
Fuori si è scatenato un temporale.
Lo sento nella notte come anche
il maestrale che agita la valle,
lo stesso vento, la furia del cielo
quando eravamo al turno di vedetta,
di guardia, ad osservare le scintille
della ciminiera, la prora fiera
sfidare il mare e le sue strade oscure,
un destino che ora vaga nell’acqua.
Dal fondo delle onde sembravano
scaturire le forme di esseri neri,
quelli che venivano a darci il cambio,
come lo davo anch’io a te nella stanza
dei radiotelegrafisti, cedendo
la cuffia alle tue mani, agli occhi gonfi
di sonno il brogliaccio, la sicurezza
della rotta su uno sfondo di lampi.
Il canto di Capodanno
Il danno dell’affanno sembra torni
al punto di partenza, nell’angolo
della casa accanto dove c’è scritto,
sulla porta: «Ieri».
Intorno al fuoco
aspettiamo l’istante che riporti
il tempo nei locali del granaio,
così capiente: i fiori dal fioraio.
[ da L’apocrifo nel baule, Michele Brancale, Passigli Poesia ]