“Quante persone, quanti affetti, quanti amori, ricordi e storie mi sono lasciato alle spalle, troppe, sì forse troppe”.
Questo lacerto tratto dal romanzo di Massimo Pacetti rappresenta il giusto approccio alla lettura di “Fuga da Firenze”.
L’autore ci pone davanti ad un “excursus” personale, attraverso il quale, come in un film, si sviluppa la personale biografia, in alcuni momenti speculare alla nostra, muovendosi tra episodi vissuti o stati d’animo provati.
L’approccio a cui prima facevo riferimento unisce narrazione e riflessione.
Immediatamente si entra in contatto con l’io narrante: un guerriero stanco della vita di città, oppresso dal desiderio del rifugio nell’amore verso la terra,lasciata, ma mai dimenticata, una vita semplice, un percorso rivissuto con orgoglio e rivisto ora con la maturità che gli anni conferiscono.
Forte e dettagliata è la descrittiva iniziale del luogo natale, non solo paesaggistica, ma colma di abitudini familiari, care all’autore che riportano alla mancanza delle comodità odierne, ma che offrivano in compenso tanta purezza e semplicità nei rapporti interpersonali, densi di umanità e di valori impressi nel cuore adolescente.
I dettagli sono minuziosi, tanto da essere proiettati nello sguardo del lettore: sentire profumi, visionare luoghi, un vero canto alla natura, di genere pascoliniano.
Federico, questo il nome del protagonista, avverte, a volte in modo lacerante,la sensazione disagevole di non voler condividere il calendario quotidiano, piuttosto scegliere la via dell’isolamento nel passaggio, come egli stesso definisce “ all’orlo della memoria”.
L’autore vuole prendere e assaporare ciò che vive, sfruttando l’elemento ricordo, già menzionato e lo fa con queste parole “Erano i giorni in cui si pensava che dormire fosse tempo sprecato, c’era l’ansia di stare svegli, di vivere, vivere intensamente ogni minuto senza fermarsi mai, di fare, fare tutto, provare tutto per essere presenti in tutto”.
Appare evidente e riscontrabile negli esseri umani la smania giovanile che va sfumando con l’inevitabile passaggio del tempo.
Da questo pensiero si susseguono i vari flash-back, complici della spensieratezza del “vissuto”.
Riporto di seguito un pensiero del grande drammaturgo Luigi Pirandello, perché mi sembra giunga veramente ad “hoc”: E l’amore guardò il tempo e rise perché sapeva di non averne bisogno.
Finse di morire per un giorno e di rifiorire alla sera, senza leggi da rispettare. Si addormentò in un angolo di cuore per un tempo che non esisteva.
Fuggì senza allontanarsi, ritornò senza essere partito, il tempo moriva e lui restava”.
La sopravvivenza libera da ombre, sembra ascoltare il rumore della macchine in gara di notte, e i bicchieri di birra scolati dal vincitore e ancora l’unione della comitiva, i baci rubati con la complicità del buio.
Poi le donne...Morena, Mariella, Luana, Costanza, un carosello di nomi, scie di storie diverse, che non riescono a trascinare Federico nella stabilità di un’unione.
Non manca nel percorso del romanzo l’elemento “storico”. L’autore si sofferma sul ricordo del rapimento dell’onorevole Aldo Moro: lo stupore, la rabbia e la paura che sveste i valori di un paese, come l’l’Italia, violentata dal malessere comune e che reagisce usando l’arma estrema: il delitto.
Il pensiero in quel momento corre alle guerre mondiali rubate ora dai libri di storia che le rende immortali e indimenticabili, dando a Federico l’opportunità di un’ulteriore riflessione, sul presente e sul futuro, come fosse carta carbone ancora da consumare.
In poche parole, un altro scorcio di vita chi ci accomuna, ci ha accomunato e lo fa tutt’ora, in un ritorno all’aggressività.
Il riferimento alla nascita durante gli anni ‘ 60 della Televisione, che porta nelle case suoni, voci e notizie che appassionano e che fanno riunire persone nei bar, per chi non può ancora permettersi un televisore, rappresenta una piacevole parentesi che indossa il sorriso giusto.
Il viaggio di Federico continua in modo catartico: molteplici sono i riferimenti ad incontri con personaggi singolari: un palestinese da accompagnare a Bologna, un incontro con Gabriella, una volontaria ritrovata da Federico, per desiderio di un padre disperato: nulla rimane nel limbo del pensiero dell’autore.
Sono episodi che lasciano trapelare un’umanità profonda e sincera, un rifiuto netto alla non -violenza un indirizzo verso la sensibilità del protagonista di essere comunque sempre disponibile, sebbene subentri il rammarico che involve e coinvolge le delusioni subite.
La ribellione insieme all’analisi dell’esistenza, è perennemente presente nello scrittore e scivola sottile nel riattraversare istante dopo istante il suo trascorso.
Qual’è dunque il nucleo centrale di questo romanzo? Risponderei “nostalgia” unita alla ricerca del recupero affettivo delle origini.
Il sentiero di Federico continua con l’incontro-scontro con altri personaggi, il testo ne è affollato, alcuni di questi interpretano la crudeltà come ragione di vita.
È forse questo appagante? Si chiede lo scrittore. Torna a fasi alterne il senso della natura come rifugio nelle luce del sole che illumina i passi del protagonista.
Prepotente e perentoria si riapre la voglia di fuggire dall’amarezza, che lascia il posto ad un animo aperto e intelligente nella deduzione appassionata di altre verità disconosciute.
L’autore non può fare a meno di farsi prendere da una domanda che incessante vive dentro di sé: Queste sono le persone che rappresentano il nostro futuro?
Giunge inevitabile il momento di scelta e di selettività nei confronti di amici, i quali, dopo aver fatto promesse e giuramenti di “eterna amicizia dichiarata”, si allontanano volutamente.
Sono quegli individui che infilzano il tallone d’Achille del cuore, del cervello e della vita privata.
Esistenza da vivere, dunque nella sua completa interezza. Tutto sembra saltare: la via dell’invidia, della gelosia e della vendetta che tocchi con mano senza guanti, per questo bruci le energie e volti le spalle al mondo che noi stessi abbiamo costruito, travolti da “insolite bassezze”, quel mondo che volge in tempesta e manda in orbita la decisione di cambiare.
“Cambiare” non è rompere con ciò che si è stato, né rinnegare il proprio passato remoto.
L’autore, infatti ribadisce che sia necessario sbagliare per capire la giusta strada, gustando la gioia della scelta, se ancora si è in tempo e volenterosi di farlo.
Solo nelle ultime pagine avremo il piacere di conoscere la scelta di Federico e le sue attendibili motivazioni.
Non ci sono chiavi o intenti diversi nella lettura di questo testo.
C’è solo un uomo, la sua o parte della nostra voce dentro la voce del chiaro-scuro, del dolce e dell’amaro dell’esistenza.