Allora attraversiamo per i campi
senza lamentele
verso le colline accoglienti. Avessi l'accoglienza dell'erba
il suo dire di foltezza essenziale. Il colorato delle vigne. La sostanza.
Allora ti calpesto in semplicità
enciclopedica tribù di gambi mentre scoloro dentro nubi.
E ti sfioro nel verdeggiante: tu che tieni in grembo
i tuoi fiori, le gramigne. Infine ti onoro antica morbidezza,
antica sacerdotessa del crescere.
Tagliamo per i campi allora
senza cautele
a respirare il largo e il vasto del prato; l'erba ci chiama
a raccolta al nuovo vanto di primavera. Noi lemuri
nel massimo sole d'inverno. Allora
poniamo gli scheletri nella terra umida
nella goccia espansiva che sgorga alla pozza affiorante.
Nello scrigno originario. Ritorniamo dunque a essa
specchiandosi nel nostro essere sequenza corrotta.
Immoliamo le lunghe barbe bianche
per acclamazione.
Le chincaglie
i moti rivoluzionari dei pianeti
le spine dorsali rattrappite. Le anticaglie.
Con la gentilezza in mano, in equilibrio aneliamo.
Alla semplice erba. La saggia.
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