Il tuo occhio caldo come un nido
profuma d’acqua come l’altro,
che è uguale.
Per il tuo compleanno
ti ho chiesto civettuolo quanti errori avevi compiuto
e tu hai riso come chi va in biblioteca.
La strada dal cancello al tuo citofono
è stata bella, apparecchiata di lampioni
come una tovaglia
e tutte attorno le sedie
mansuete curiosavano brucando.
Nuvole di pioggia, non ne venivano
perché forse erano rimaste a secco
per la gioia del tuo vaso di ombrellini rotti,
tali e quali a ciclamini.
Però invece non ti ho detto
di quando ho scarabocchiato fino a fare un’ombra vera
e per questo ho vinto un premio prestigioso
che non ho ancora ritirato di persona
perché non riesco ad indossare una cravatta
senza mettermi a suonarla come una trombetta.
Così fischiavo anche dentro gli uccellini.
Non l’ho detto perché avevi già chiuso le orecchie a chiave,
allungando il passo come l’alfabeto con le lettere straniere,
e io ero come Romeo e Giulietta morta.
È già da un po’ che sto seduto sulla finestra a dondolo,
mi piacerebbe appoggiarmi la testa su una spalla per dormire.
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