Del regno degli alati e degli umani: una libera lettura di Corvi con la museruola, di Sergio Gallo (Lietocolle, 2017), divagazioni su poesia e scienza con testi di Giancarlo Baroni, Fabrizio Bregoli e Roberto Maggiani e traduzioni di quattro Corvi.
C’è una pagina che non c’è, in Corvi con la museruola, che sarebbe veramente straordinaria se ci fosse: in effetti c’è, ma come se fosse conscia della propria straordinarietà, si eclissa e si disperde. lasciando di sé solo la traccia. Si trova oltre l’estremo confine della numerazione delle pagine, ed è l’indice!
Che riporta solo i titoli delle sei sezioni del volume. Lo ricostruisco qui, con la licenza delle parentesi di mia creazione, come a ritrarne gli oggetti su un cartellone illustrativo della flora o della fauna di un parco naturale. Mi limiterò, perché intendo semplicemente fornire un’esemplificazione, all’indice virtuale della seconda sezione, Animalie: Flamingo road (ovvero Del fenicottero), Il rospo e la natrice, L’argironeta, Il ritorno dei guardabuoi, Le urla del riccio, Massaciuccoli (Hic sunt tarabusi, folaghe, cormorani, martin e falchi pescatori e, giocoforza, qualche carpa a rappresentare il pescato), L’invasione (di una coccinella dai sette punti), Bombardamenti (di scoiattoli rossi), Chiocciole, Ardea cinerea, Lepisma saccarina, Salamandra lanzai, Le capre del Mèris, L’uccello dalle ali di farfalla (cioè il picchio muraiolo, l’eletto tra gli altri diciassetti alati considerati), Turdus merula, Solo un piccolo codirosso, Passerotti suicidi. Per ultimo: Corvi con la museruola.
Credo basti e avanzi questo giocoso indice per cominciare a tracciare un invece serio percorso di esplorazione dell’ultimo lavoro di Sergio Gallo, poeta saviglianese, autore che ha già varcato il quarto di secolo di testimonianza poetica, da Pensieri d’amore e di disastro, 1991, fino a Pharmakon edito da Puntoacapo nel 2014. Ma se si volesse proseguire lo stesso divertissemant per le altre Sezioni, sarebbe confermato al di là di ogni superfluo commento la caratteristica principale del poeta, prima ancora che della sua poesia: una vigilissima attenzione e una voracità di sguardo inesausta. Che poi, in questa raccolta, e in parte significativa nelle due precedenti (Canti dell’amore perduto, poderosa raccolta del 2010 e, la già citata, Pharmakon) l’occhio viaggi nei Tre Regni pre-umani della Natura, non sposta questa attitudine all’esplorazione e al viaggio: «attraverso la varie fasi della vita, nella natura, nell’umana sofferenza, alla ricerca di sé, nel silenzio e nella parola, nel microscopico mondo cellulare» ecc, secondo la personale geografia cartografata dallo stesso Autore nella Nota confidenziale, in Canti dell’amore perduto (p. 237) e finanche tra visibile e invisibile, come evidenzia Alessandra Paganardi nella Prefazione, ispirandosi, per l’occasione, al testo-sezione Lo spettro di Broken. Concordo perfettamente con la stessa prefatrice, quando sintetizza ottimamente che: «Come i libri precedenti […] Corvi con la museruola non è “soltanto” una raccolta di poesie. È un’enciclopedia, un trattato filosofico, un diario di viaggio». Sull’asse primariamente visivo, s’inscena, dunque, un catalogo che non è arida tassonomia, ma ricettario del mondo, vista del mondo, ed anche pronuncia delle leggi note e ignote che lo costituiscono e lo governano, dell’intreccio infinitamente complesso tra uomo e natura. Tutto questo avviene grazie ad un’operazione a cui Sergio Gallo sta lavorando da tempo, apportando tecnicamente (ovvero lessicalemnte) un pregevole contributo al non certo nuovo o raro rincorrersi interrogativo, di poesia e natura, celeste («Che fai tu, luna, in ciel?») e terrestre (dalle celebri Correspondances baudelairiane) o al più episodico intreccio di poesia e scienza o tecnologia.
Parlo di ciò che Alessandra Paganardi chiama «la scelta apparentemente bizzarra di scrivere versi in linguaggio tecnico».
§ § §
Qui si aprirebbe un discorso potenzialmente esteso, che, non nego, mi è stato, in certe fasi della mia scrittura molto a cuore e che tutt’ora reputo di estremo interesse e su cui apro un necessariamente breve inciso. Chiaramente andrebbero fatti dei distinguo sulla diversificazione dei metalinguaggi: una cosa è, sulle orme di Linneo, avventurarsi tra generi, famiglie e specie animali latinizzate, un’altra è attingere a quanto, innominato, in quanto “inesistente” ha preteso nominazione all’atto della sua comparsa agli orizzonti delle nuove scienze, tra bosoni, buchi neri e magnetosfere. Ma ci porterebbe troppo lontano. La curvatura gravitazionale del linguaggio a nuove e vecchie, ma ai margini letterari, scienze/tecnologie è certo poco osservata e viene elusa, ma non del tutto.
Ha di certo un’inevitabile ricaduta lessicale anche lo scenario del Realismo terminale, pervicacemente proposto da Guido Oldani ma senza alcuno smarginamento matalinguistico, perché gli oggetti “terminali” sono ormai impiantati ben saldamente nella lingua corrente (petroliere, betoniere, lavatrici, camion). Ma, a parte questo minimo tributo lessicale ad una tecnologia addomesticata, GuidoOldani va in senso opposto a quello di Sergio Gallo e del suo padre ideale Pier Luigi Bacchini (il maggior poeta indagatore del mondo naturale, non a caso di formazione scientifica, come Gallo) quando dice, evidentemente sbagliandosi, almeno in questo caso: «La natura è stata messa ai margini, inghiottita e addomesticata. Nessuna azione ne prevede più l’esistenza […] Gli oggetti occupano tutto lo spazio abitabile» (Manifesto breve del realismo terminale).
Colgo invece, oltre alla esemplare ricerca e riflessione di Sergio Gallo, segni tra i poeti contemporaneissimi, che questo problema del rapporto tra linguaggio (e pensiero) umanisitico e scientifico si sta ponendo con insistenza.
Particolarmente interessante in tal senso sono il pensiero e l’opera di Roberto Maggiani, classe 1968, Fisico Nucleare e divulgatore scientifico che si occupa in particolare del rapporto tra scienza e poesia e che ha dedicato un interessante saggio alla questione Poesia e scienza: una relazione necessaria?, CFR, 2011. Commentato su Poesia 2.0 (sic!), da Maurizio Soldini (altro medico, ma di parola nitida e classica) Maggiani argomenta come «non solo che la liason tra poesia e scienza sia necessaria, ma ancor più che è indifferibile ed ineludibile», fino alla «poetizzare la scienza», Coerentemente, nella sua già ampia produzione poetica, Maggiani attinge con frequenza ad espressioni del linguaggio scientifico («universo metastabile», «risonanze elettromagnetiche»). Questo brano sembra fungere da personale manifesto:
Il rapporto tra poesia e scienza,
[…] Dove appoggi il tuo piede
la sua forma crea labirinti
e pozzi imperfetti e amari
dove i poeti
cadono spersi,
ma non io che non sono poeta ma scienziato
e ti parlo per tua gioia
di quel mondo così piccolo
o così lontano –
di atomi o stelle.
(da Scienza aleatoria, Lietocolle, 2010)
Un altro giovane e talentuoso poeta di formazione scientifica che ha recentemente contribuito ad irrorare il linguaggio poetico con apporti plurilinguistici, senza perdere un atomo di letterarietà (sostenuta anche da un maturo endecasillabo) e di potenza comunicativa è Fabrizio Bregoli, ingegnere elettronico lombardo del 1972. La sua opera prima, Il senso della neve (puntoacapo, 2015, prefatto da Ivan Fedeli e con postfazione di Tomaso Kemeny) è un esempio di «compenetrazione di termini tecnici […], o della tradizione, di neologismi impreziositi dalle forti cesure», dove viene adattato «il plurilinguismo a un qualsivoglia dettato comunicativo» (I. Fedeli). Una breve sezione, Compendio di fisica applicata, o forse un solo testo o anche solo qualche verso, dicono sull’uso del linguaggio naturale-scientifico in poesia, ben più di quanto io abbia finora detto in questo scritto:
Complementi di fisica
Si sdipanasse in uno scioglilingua
l’appallottolata mappa del cosmo
- elettromagnetismo gravità
interazione forte forza debole -
si stanerebbe forse la ricerca
del cocktail squinternato che ci inebria
l’equilibrismo cronico del vivere
fra sponde contrapposte, sabbie mobili.
Quella corrente insana sotto pelle
di stimoli indizioni potenziali
che ci rabbrividisce di sorpresa,
unita all’ancoraggio insopprimibile
dell’attrazione antica per la terra
il suo farsi sostanza, esser radice
alla levitazione del pensiero,
imbrigliarlo al reticolo del cuore
avvilupparlo stretto, con tenacia
a quel sedimentato vecchio amore
e rianimarlo, non gettarlo a mare,
sorreggersi al precario delle gambe
a volubilità di cartilagini
all’innata debolezza delle ossa,
il loro sfarinarsi, svaporare
è il nucleo d’unità che ci affratella,
sintesi spiccia di quest’azzardata
teoria del campo unificato.
Genesi
Mulina attesa nel laboratorio
l’energia del fascio d’ha d’accrescere
a disgregare scindere collidere
sempre più minuti più esili più
più pargoli tasselli d’elementari e
più primordiali esotici pulviscoli
in più sottili opalescenti lamine
esponenziale vertice del nulla.
Gluoni bosoni
neutrini tachioni
barioni fermioni
quark ora pro nobis.
Neutrino muonico
protone barionico
leptone elettronico
miserere nobis.
Così l’ottavo giorno
l’uomo scomodò Dio
in surroga d’incrollabile scienza.
Amen.
Un’altra scrittura che usa come strumenti precipui l’occhio che reperta e la penna che registra è quella di Giancarlo Baroni, parmense, almeno nelle sue ultimi due opere edite: il pregevole Le anime di Marco Polo (Book Editore, 2015) e I merli del giardino di San Paolo e altri uccelli, edito da Mobydick nel 2009 e ripubblicato nel 2016. Infatti, sia che volga la sua attenzione alla Storia (luoghi, vicende e soprattutto viaggi e viaggiatori), sia alla Natura (nella sua rappresentanza alata e pennuta) lo scandaglio di Baroni esplora territori non privilegiati dalla scrittura poetica e, quel che qui più interessa, lo fa redigendo repertori inclusivi e attingendo a famiglie di res e nomina inconsueti, per erigere i pilastri delle raccolte. Nel nucleo eponimo Federico II e i merli del giardino di San Paolo, i due territori, storico e ornitologico, coesistono e i linguaggi in osmosi delineano tutta la peculiarità di questo volume.
Il fatto che l’opera,già edita nel 2009 sia stata riproposta e ampliata nel 2016, e accolta con buon interesse dalla critica, può testimoniare il bisogno di nutrimento della poesia attuale con lieviti e sostanze da ampi settori o almeno il beneficio che da questi apporti ne riceve il linguaggio. Ottime puntualizzazioni sulla «modalità di fare poesia», «giocata su un codice sostanzialmente denotativa», che mi sento di poter estendere anche a Le anime di Marco Polo, sono contenute nella Prefazione alla Seconda parte di Fabrizio Azzali: «La cifra realistica, a tratti scientifica […] proprio per il suo carattere “fisiologico”, nomenclatore, quasi lenticolare con cui vengono esibiti e studiati i più comuni attori della scena, raggiunge un effetto di straniamento […] e ci porta in una dimensione iperrealistica, diremmo di metafisica immanente». (Quanto di questa considerazione è esportabile anche a I corvi… di Sergio Gallo? Molto, a mio modo di vedere lo è spirito delle opere, ferme restando le differenze di stile e tono il diverso peso delle molecole di morale, raggrumate in Gallo e più aeree in Baroni.)
Anche in questa operazione aviaria ideale Nume tutelare è Pier Luigi Bacchini, che non a caso porge la sua delicata Prefazione all’edizione del 2009, dove rileva, tra l’altro, come tutta la «precisione ornitologia» utilizzata da Baroni non sia fine a se stessa e come l’osservazione del poeta prediliga un tono di distaccata ironia.
Non potendo, per brevità, soffermarmi sulle tante caratteristiche dei pennuti e, soprattutto, su quelle dello sguardo del poeta, mi limiterò a un'altra elencazione, didascalicamente utile. Così troviamo che (quando non in gabbia) transitano e vociano (tra ippocastani, querce, faggi, castagni, pioppi, cespugli d’erba selvatica e di sambuco ecc) passeri, fringuelli e pettirossi, gazze e cornacchie, merli e merli, storni, colombi e pavoni, quaglie, tacchini e fagiani, rondini e rondoni, anatre e morette, falchi pecchiaioli e pescatori, allocchi e civette, aironi, tarabusini e ibis, avocette e chiurli, beccaccini, pinguini, colibrì e altre livree senza nome, descritte o raffigurate nelle illustrazioni di Vania Bellosi e Alberto Zannoni (sì, c’è anche una montaliana upupa). Spesso si descrivono comportamenti o caratteristiche dei sottintesi attori pennuti i quali, non di rado, si trasfigurano, a specchio, negli umani che osservano e che li stanno osservando.
(Merli)
La melanina che scurisce il corpo
e ci rende simili a fantasmi
fa paura all’allocco.
Allora gonfiamo il petto
gli gridiamo te l’abbiamo fatta
un’altra volta, gioiamo
ma piano
come avessimo in gola dell’ovatta.
Airone
[…]
*
Da predatore a preda
il passo è breve
basta solo una svista. La mossa
del nemico che ti spiazza
impàri e la fai tua.
Da quassù
[…]
*
Dicono discendiamo
da un dinosauro immenso
ma i suoi figli risultano
piatti più della terra
a noi che li osserviamo
oggi dal cielo.
§ § §
Ma torniamo a Corvi con la museruola, perché, detto dello spirito enciclopedico e dell’operazione linguistica, altri aspetti meritano di essere notati.
La raccolta è composta da sei Sezioni: Dendrologie (ovvero “discorso sugli alberi”), Animalie, di cui si è già detto, Il bruco e la formica, altro corposo repertorio zoologico ed entomologico. Seguono tre sillogi più brevi: L’abisso e la sapienza, dove l’autore si fa viaggiatore ed esploratore alpino, Lo spettro di Broken, dedicata al fenomeno di illusione ottica ben noto ai frequentatori di quelle realtà tra magia (prima) e (ora) scienza; l’ultima sezione Antropocene, più composita, compendia molti degli elementi dell’intera raccolta, ed estende l’attenzione al Quarto Regno e alla condizione umana nella sua forse breve avventura, tra prime selci e «rischio d’estinzione», avventura della quale «resterà/ solo/ la poesia», verso che chiude il volume e che pare riconoscere sia la soggettiva necessità dell’Autore, sia il potere al tempo stesso demiurgico e testimoniale della parola.
Mi pare una questione significativa il fatto che il poeta compia questo suo personale viaggio nei Quattro Regni, nella loro remotissima origine utilizzando un estensione lessicale spinta fino al tecnicismo scientifico contemporaneo, ma incida epigrafi alle sezioni di ispirazione classica e sapienziale. Così vengono citati Aristofane (da Gli uccelli) e Seneca, brani Vedantici o Buddisti, Sure coraniche (XXVII, Le formiche), il Siracide e il poema persiano di Farīd Ad-Dīn ‘Attār, Il verbo degli uccelli, quello del Simurgh, per capirci (a cui Robero Mussapi ha dedicato bei versi e il titolo della sua ultima raccolta La piuma del Simorgh, il «grande uccello/ che fece nascere la vita nel mondo/ e il regno degli alati e degli umani/ con una remigante dell’ala sinistra», p. 9).
Si potrebbe leggere in questa trama l’esplicito pensiero o la criptica coscienza che la nostra umana osservazione transeunte può aggiungere una goccia all’oceano delle ere e del divenire, ma che questa immensità ci precede e ci seguirà. Un respiro macrocosmico e un microcosmo popolato di ragni e ammoniti!
La primazia del contenuto non induca, però, a trascurare gli aspetti stilistico-formali dell’ultimo Sergio Gallo. Mi soffermerò solo su un paio di questi (ché altri saranno immediatamente evidenti nei testi che seguiranno, come l’uso di un verso libero con prevalente bassa tonalità musicale, più narrativo che lirico, o la ricorrenza in chiusura di componimento di asserzioni gnomiche di valenza morale). Il primo è l’uso talora ellittico della proposizione, arginata da una severa punteggiatura, dove il verbo è a volte assente o riecheggiato da strofe adiacenti o può essere reso all’infinito:
«Appollaiati su pali/ al centro della laguna/ o dispersi sui rami/ d’un grosso albero morto.», p. 47
«Seguire le orme/ lasciate nella polvere/ da una coccinella/ dai sette punti», p. 48
Va ancora notato come l’arco lessicale sia sobrio e opportunamente calibrato per poter accogliere, senza frizioni e stridori la terminologia di settore, che già pretende attenzione, e come l’Autore solo in rari casi ceda alla tentazione di un’aggettivazione superflua, così che nell’ampiezza della raccolta i testi si mostrano asciutti e governati e mantengono molte delle suggestioni che la narrazione promette. Beppe Mariano, a ragione, sottolinea l’«accresciuta compattezza formale» di quest’ultima raccolta e come fortunatamente alla «precisione scientifica» si accompagni l’«emozione poetica». (Il Saviglianese, 11.3.2017)
Alcuni testi, isolatamente, si fanno particolarmente apprezzare per inventiva, originalità e sensibilità, ma è l’insieme dell’opera – a questo punto direi delle opere, coinvolgendo le precedenti – che merita attenzioni. In questo tempo di dispersione stilistica e disseminazione di poetiche, prendo atto che quella di Sergio Gallo è messaggera di fondamentali istanze.
Alfredo Rienzi, aprile 2017
Poesie tratte da Corvi con la museruola (“Crows with the muzzle on”)
Traduzione di Dario Rivarossa (il Tassista Marino website).
Da Pinus cembra(nel millenario bosco dell'Alevè)
2.
È il cirmolo all’apparenza
ombroso e impenetrabile,
in realtà un savio dall’indole
mite, dall’esperienza secolare.
Capace di opporre resistenza
a persistenti siccità, a venti
siberiani, piegare i rami
sotto il peso di forti nevicate.
Un re dal taumaturgico potere,
il cui legno assai ricercato
al contempo docile e compatto
non conosce corruzione di tarlo.
Ancestrale sciamanico contatto
di prezioso effluvio balsamico…
Squame di corteccia resinosa
adagiate sul palmo, tra le dita
il rosario di verde-azzurri aghi
raccolti in fascetti di cinque;
sotto i polpastrelli i noduli
dei germogli ancora silenti
nella quiescenza invernale.
Formidabili radici s’innervano
nelle profondità del terreno
al suolo saldamente ancorate;
bramose di sostanze minerali,
di nuove sorprendenti simbiosi.
Barbe di licheni ricoprono i
rami, indice di buona salute.
Pinus cembra
2.
[…]
A Swiss stone pine appears
shadowy and inscrutable,
actually a sage whose nature
is meek, experience age-long.
Able to offer resistance to
persistent droughts, Siberian
winds, to bend its branches
under the weight of snow.
A king with a healing power,
whose wood––in great demand––
easily worked however solid
can ignore the wormʼs decay.
Ancestral shamanistic contact
with a rare balmy exhalation…
Scales of resinous rind lying
on your palm, on your fingers
the rosary of blue-green needles
in little bundles of five; under
your fingertips the nodules
of shoots still silent in
their quiescence of winter.
Tremendous roots innerved
down in the terrainʼs depths,
strongly anchored to the soil,
they long for minerals
for new surprising symbioses.
Branches covered by lichen
barbs, a sign of good health.
Flamingo road
Tutto mi sarei aspettato
quella tersa mattina di marzo
in via Cappuccini a Milano
che in un sontuoso giardino
tra esplosioni di magnolie
sorprendere immobili
un gruppo di fenicotteri
intenti a sonnecchiare.
Il dominante trampoliere
fulmineo capace d’estendere
il lungo e sproporzionato collo
per emettere dal becco curvo
grottesco e possente
uno stridente grido di protesta
come di tromba maldestra
al molesto passaggio d’un aereo.
L’intero stormo tra cacofonie
ridestarsi ma invece di prendere il volo
verso ancestrali rotte migratorie,
elegantemente ripiegare il collo
sulla nuvola rosa delle piume
e, celando la testa
sotto le ali color cremisi,
armoniosamente
riprendere a dormire.
Così altrettanti
avvezzi alla cattività
vivono incapaci di spiegare le ali.
Flamingo Road
Anything I expected
in that clear March morning
in Capuchins Street, Milan,
rather than, in a luxurious garden
among magnolia explosions,
catching a motionless
flock of flamingos
devoting themselves to dozing:
the imposing stilt-bird
capable of suddenly stretching
its long, disproportionate neck
to utter, out of its curved,
grotesque, powerful beak,
a shrill cry of protest
as with a clumsy trumpet
against one annoying airplane.
Lo! the whole flock cacophonically
wakes up, but, instead of taking off
towards ancestral migratory routes,
they elegantly fold their necks
on the rosy cloud of their feathers
and, hiding their heads
under their crimson wings,
harmoniously
go back to bye-byes.
As many as them,
accustomed to captivity,
live unable to spread their wings.
Lepisma saccharina
È in quel tuo apparire effimero
veloce lampo argenteo
di notturna creatura
che esposta all'improvvisa luce
fugge in cerca di riparo
o nell'argentea tua traccia
di sottili scaglie metalliche
lasciate sulle dita di chi
invano tenta di catturarti;
nel continuo inanellare di mute
che accompagnano da neanide
diafana a sfuggente imago
l'intera tua esistenza fragile
l'essenza dell'essere lepisma.
Quello stesso spirito
che sin dal tardo Siluriano
animava i tuoi illustri antenati,
tra i primi insetti
a colonizzare la terraferma.
Con cosa banchetterai oggi
zigzagando tra i detriti:
farina, forfora o francobolli?
Scaglie di pelle, fibre d'arazzi
rilegature di libri polverosi?
Avrai per dessert colla
a strati, inusitati
carboidrati o la tua stessa
dismessa esuvia?
È in quella strana danza d'amore
per attirare le femmine fino
al sericeo bozzolo di sperma,
la tua vita oltre la vita,
la tua vita oltre la morte.
Fuggendo ragni, millepiedi, forficule
a differenza d'estinte lucciole, cervi
volanti, sempre più rari lepidotteri... tu sì
che ci sopravviverai, insieme forse
a qualche robusto ratto delle cloache.
Silverfish
In appearing ephemeral
swift silvery flash
of a daughter of night
who suddenly enlightened
flees for a shelter
or in that silver strip
of thin metallic scales
left on the fingers that
tried to catch you, in vain;
in that chain of moults
that - from diaphanous neanis
to shifty imago - accompany
the whole of your frail life
is the essence of silverfishness:
the very same spirit
that from late Silurian
animated your great ancestors,
insects among the first
who colonized dry land.
What about your banquet today
zigzagging among debris:
flour, dandruff, post stamps?
Skin scales, tapestry fibres,
the binding of dusty books?
And, your dessert? Layer
glue or, just for a change,
carbohydrates or your
own cast-off exuviae?
In that strange love dance
to attract females towards
your silky sperm cocoon
lies your life beyond life
your life beyond death.
By escaping spiders earwigs millipedes -
unlike extinguished fireflies, stag-beetles,
rarer and rarer butterflies - you will
survive us, perhaps together with
a bunch of brawny sewer rats.
Gli amanti di Valdaro
Vi è un segreto tra gli amanti che non è possibile spiegare.
Né la penna né le parole lo hanno raccontato alle creature
As-Sulamî da Introduzione al Sufismo
Stimmi di zafferano
color sangue di bue
rosso oro dall’odor di miele
che solo delicate esperte mani
all’alba sanno raccogliere
e finemente lavorare…
Così di rubino le imenee strie
miste a rugiada di sudore
tra i corpi albini
parevano brillare
e sugli acerbi organi sessuali.
Lei dolce gli sorrise
ai primi raggi di luce,
la nuca carezzandogli.
Così mi piace immaginarli
e nel museo di Mantova
i loro scheletri politi
ancora poter ammirare:
da seimila anni giacciono
teneramente aggomitolati.
La zolla che li accoglie
al contempo è alcova
e neolitica tomba.
Sepolti nella necropoli
uno di fronte all’altra
le gambe intrecciate e raccolte
in posizione fetale; le mani
di lei sulle di lui spalle,
quelle di lui sul collo di lei
in un abbraccio eterno e mortale.
Mistero su cosa li abbia uccisi
se freddo, fame, malattia
o una morte volontaria
per astio, atto sacrificale
dissidi tra clan rivali, parole
sprezzanti come punte di silice.
Primevi Romeo e Giulietta
in un’epoca negletta,
avida di simboli d’amore
per noi vigliacchi e sensibili
ora riportati alla luce.
The Valdaro Lovers
Saffron stigmas
ox-blood-colored
red gold, smelling honey,
that only skilled gentle hands
can gather at daybreak
and work delicately…
So the ruby hymen stripes
mixed with a sweat dew
between their albino bodies
seemed to shine––on
their immature sex organs.
She sweetly smiled to him
in the first light rays while
caressing his nape.
This way envisaging them,
in that Mantuan museum
their polished skeletons
I still succeed in observing,
for six thousand years lying
tenderly curled up.
The clump containing both
is the alcove and at the same
time the Neolithic tomb.
In the necropolis buried
in front of each other
their legs intertwined folded
in fetal position, her hands
resting on his shoulders
his hands on her neck for
an eternal death embrace.
A riddle, what killed them
whether cold, hunger, illness
or a voluntary death out of
hate, a sacrificial action,
wars between clans, words
as sharp as the flint points.
Primordial Romeo and Juliet
of a forgotten era
longing for love symbols,
for us cowardly and sensible
brought back to light.
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