Chiedo mi colpisca una pallottola di luce
come un’occhiata dura, di riprovazione.
Verrà dal calpestìo, perché siamo terra, terra pregiudizievole.
Da te. Ora non stato in quanto
arma al portatore, sulla quale si avvita
il mio silenziatore.
Ma il frastuono coglie il bersaglio, centrato
con un soffio da quell’aria giudiziosa
che riempe il vuoto di sospensioni.
Ecco, ora rimescolo l’ascolto al tuo
già sentito. Ho ancora una mira
e tu non ne possiedi, altrove se menti.
Hai un profilo di percussore dopo uno scambio
con il crisma dell’utopia.
Mi piace quando mi provochi e sei assente,
piuttosto che un richiamo mancato o
una formale congettura
sui riflessi dell’amore congenito.
Dove speculerei, e decadrei altrimenti?
In tanto esce dal cono della mente
il tuo nome gelato eppure
la rapidità dei bollori lo liquefa. Diventa un bacino
per navigarti con la bocca a vela.
Benché privato guancia a guancia
riprende la fluidità vocale.
Ora è un flusso che romba
e appena il suo viaggio comincia nella gola
l’occhio sgambetta l’illusione
e cede di peso.
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