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il primo d’ottobre l’ombra della luna sorvolò
l’Oriente dell’Europa scivolando dal Sud della Polonia,
oltre la Lusazia, la Boemia e il Meclemburgo,
e Grünewald, che più volte ad Aschaffenburg
ebbe contatti con l’astrologo di corte Johann
Indagine,
partì per assistere all’epocale evento
dell’eclissi solare, da molti attesa
con supremo terrore, e fu testimone
dell’arcano illanguidirsi d’un mondo
in cui la sera, che calava spettrale,
si riversò in pieno giorno come un deliquio,
e nella volta del cielo
oltre i banchi di nebbia e le pareti
di nuvole, oltre un azzurro freddo e greve,
si levò un rosso ardente e, scintillanti,
vagavano i colori quali mai occhio vide
né mai da quel giorno
al pittore uscirono di mente.
Si dispiegano come il rovescio
dello spettro in un’altra consistenza
dell’etere, il cui vuoto senza ossigeno,
tradito dal respiro affannoso delle figure
sul pannello centrale dell’altare di Isenheim,
preannuncia morte per asfissia, e poi ecco
il paesaggio montagnoso del Compianto,
nel quale, con patetico sguardo sul domani,
Grünewald ha raffigurato un calcinoso
pianeta, affatto sconosciuto,
dietro il fiume nerobluastro.
Qui è dipinta in uno stato di erosione grave
e di abbandono l’eredità del logoramento
che alla fine divora anche le pietre.
A tale vista mi sovvengono
l’età glaciale, le cime turrite
di bianco scintillanti
nel riquadro superiore della Tentazione,
l’edificio di una metafisica,
e un niveo miracolo,
come quello dell’anno 352,
quando nel pieno dell’estate
a Roma,
sul colle dell’Esquilino,
nevicò.
[ da Secondo natura. Un poema degli elementari, W.G. Sebald, Adelphi, traduzione di Ada Vigliani ]