La nostra specie è fuori fabbrica
e non emetterà un grido.
Sculacciata al rovescio,
cianotico tentativo
su un nodo Houdini.
Siamo testardi, impagliati
dopo la stagione dei riversamenti.
La nostra specie non ha lasciti,
eredità, conteggi e macchinosi
ingranaggi/ pozioni
con cui prevedere
o prevenire colore di occhi e forma
di labbra; non nabbiamo bisogno
di tentativi, tantomeno di cure,
di ridicole supposizioni,
al bando ogni trattamento!
Nemmeno ci assilleranno
l'altezza delle pareti,
la divisione dei compiti
e la destinazione delle stanze.
Perchè noi finiamo con noi,
siamo il cerchio/ recinto,
il raggio è la bestia
senz'aria, il sussulto
di un varo che non diventerà
trotto, di un boccone che
è vigilia di inedia.
Eppure sorridiamo,
noi e la nostra specie
contratta quanto un punto tuffato
di testa sullo scoglio/foglio
e da quell'affronto-
incidente di seppia
è nato un mestruo catrame,
una vita da ritentare,
risucchiata all'origine,
un seme di scarto,
inadatto scafo
e senza frutto.
Ma questo è il nostro talento:
amarci fino a consumare
al fondo il pozzo,
inventare una foce.
Un'orbita botola
che ci lusinga
con la promessa di un affaccio
e noi di rimando ancora
innamorati di questo boato d'inferno,
facciamo spiccare le corde,
una felicità implume
dall'intestino di un precipizio.
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