I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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Emi 8
La nostra specie è fuori fabbrica e non emetterà un grido. Sculacciata al rovescio, cianotico tentativo su un nodo Houdini. Siamo testardi, impagliati dopo la stagione dei riversamenti. La nostra specie non ha lasciti, eredità, conteggi e macchinosi ingranaggi/ pozioni con cui prevedere o prevenire colore di occhi e forma di labbra; non nabbiamo bisogno di tentativi, tantomeno di cure, di ridicole supposizioni, al bando ogni trattamento! Nemmeno ci assilleranno l'altezza delle pareti, la divisione dei compiti e la destinazione delle stanze. Perchè noi finiamo con noi, siamo il cerchio/ recinto, il raggio è la bestia senz'aria, il sussulto di un varo che non diventerà trotto, di un boccone che è vigilia di inedia. Eppure sorridiamo, noi e la nostra specie contratta quanto un punto tuffato di testa sullo scoglio/foglio e da quell'affronto- incidente di seppia è nato un mestruo catrame, una vita da ritentare, risucchiata all'origine, un seme di scarto, inadatto scafo e senza frutto. Ma questo è il nostro talento: amarci fino a consumare al fondo il pozzo, inventare una foce. Un'orbita botola che ci lusinga con la promessa di un affaccio e noi di rimando ancora innamorati di questo boato d'inferno, facciamo spiccare le corde, una felicità implume dall'intestino di un precipizio.
Id: 61545 Data: 29/12/2020 11:17:17
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Emi 6
Così trascorrerai l'abitudine: dalle campane partirà la festa e neri mandriani oscuri correranno fianco a fianco, il dorso è notte. Mentre tintinnano le tavole solleticate dal battaglio della fame e ognuno è al posto di comando per il lavoro commissionato, una maestranza di ricordi e ingiustizie sfogherà la furia negli angoli dei piatti, tra i gusci ripassati fino alla nausea. Sappi che in tutte le mie vicende sono conficcati il tuo nome, la dosata malta caucasica del tuo mento e ogni giuntura. Proveranno acute manovre di disincaglio, il tentativo di disostruzione e purificazione ripetuto ad intervalli regolari, una prece sgrassa - confessione. Si aspetteranno dal mio sterno e dalle labbra sviluppare eiezioni, gli invocati scoli di un salasso a cui far seguire un amen. Ma più mi rivolteranno, più mi imberrò di te. Mi sorrideranno credendo deviato in cicatrice il desiderio, ed è proprio lì che mi allaga.
Id: 61543 Data: 29/12/2020 09:04:38
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Emi 7
Non so più baciare e il camminare mi è ignoto da quando so che esistono le tue mani e che da qualche parte compi gli anni, fai le valigie e disfi il letto con fare magistrale mentre le stanze mandano il tuo odore di forza e partenze. Non so più guardare ciò che mi appartiene senza volerti cedere in resa costante: ossa, dita, respiro, la corda che si apre nel seno e mi tira giù al ventre con un lampo subacqueo, un tuono seppellito fino all'inguine e più in basso, in una regione che hai battezzato con gli estremi silenziosi di una figlia segreta. Non so più amare se non posso sfiorarti dalla mia distanza e fingere fino allo spasmo; non c'è più modo di guarire e di affidare ad una voce la liquida soma di tutto il tempo che cade. Una punizione di dettagli e cose, di orari e desiderio che monta la furia in una tempesta su cui soffiano direzioni avverse. E niente ricaccia in tana la bestia insolente se non il nostro richiamo: l'esca è furba se penzola asciutta sul miele/ abisso.
Id: 61542 Data: 29/12/2020 09:00:03
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Due Mila e uno
Sono stata triste per molto anni. Ho guardato i balconi, inviato gli occhi a spiare le vite altrui, le palme, l'onestà e la correttezza di questo o quel lungomare. Per molti anni ho versato di me sangue ed ossa, e questo in ceste già piene o forate irreparabilmente; un tessuto malato, rappezzato dal principio, lascia sempre al fondo una cancrena, un morire silenzioso. Oggi sono un giullare, sono giocoliere e fantasista, sono mago e comico. Ma non più una marionetta. Tirati i fili e spezzati, fui accasciata e spinata, disossata, spiumata. Sono stata triste per molti anni. Quelli che ho consacrato e issato, credendo di vincere la fossa con la bandiera. Ma oggi so che non è più mio questo allunaggio se sono ancora un volo, uno spillo nell'orbita, la ciglia estratta, sorte d'autunno, che si inventa ago. E pungola fastidiosa la culla che prima ombreggiava.
Id: 47229 Data: 15/02/2018 11:24:17
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Due mila
Poi verrà il tempo dei maiali, dell'alloro spruzzato di sangue. Dai terrazzamenti salirà l'acido grido scannato, i rosei San Pietro ammainati senza porto su argani adusi. Intorno danzeranno con il fumo nero dei grassi castagni, gli adulti affaccendati, le case recinto in festa, sadiche levatrici boia, con i bambini che fregano la scuola. Sarà così. Con le tavole imbandite ed il fuoco recente del sacrificio. Le stagioni che vanno sono stazioni: quando ci issano al Golgota e la curiosità sana aspetta che guariamo. O che spiri in un osanna la nostra follia.
Id: 46772 Data: 24/01/2018 11:25:01
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Due Mila Uno
Il tuo dolore è perfetto. Perfetto come la tua mano, quando sale il declivio da cui non vennero mai germogli, nè sputarono i capelli, o vesciche opulenti, con il genere messo a vista, girino o stella; vasche di cellule generosamente sdoppiate. Questo getto imploso, mi ristagna in grembo, il rosso costante del rinnego, la grammatura, un geranio eposto ogni agosto, e dal pistillo insano; uno zoo messo in carcere e, se conti i tentativi, le due parole si somigliano, se non fosse per i versi selvaggi dei primi, e la disperazione sillabata che va ai secondi. Tante notti fa calibrammo il gesto, migliorammo assuefatti il tiro. Solo che non ti aspettavo, amore rimandato e maledetto. E credevo che tutto il mondo facesse così: una prova in silenzio.
Id: 44163 Data: 11/09/2017 18:14:09
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Due mila
Oggi è stato il nostro giorno. Un anniversario di pochi minuti: non credo i serpenti sappiano fare meglio, aggrovigliati tubicini velenosi, intestini rivoltanti. Sbrigarsi ed accontentarsi con la nostra identica scaltrezza surrogata; o le api batterci quando scodinzolano festanti sulla bocca carnosa del fiore che ha alzato la gonna. Degli altri non so che dire: difficilmente mi fermo a rubare l'amore con lo sguardo. Oggi è stato il nostro giorno. Quello delle tue spalle che mi hanno distolta da vincoli e lenzuola di flanella, dai tappi accumulati a iosa nella pancia sbeccata di un dono di mia madre. Lei si aspetta che indossi ancora il velo, che lo esponga, come il suo piatto verde mela, dote frutto di incrocio fra vetro e vetro, razza soprammobile. Credo che a volte provi anche a spiarmi. Per capire se è intatto. Se fra i capelli ho ancora tempo per accomodarmi il suo bianco.
Id: 43832 Data: 17/08/2017 16:19:35
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Mille e quarantasette
Ancora mettono segni, apostrofano il marmoreo con saluti, avvicinano la bocca al cemento pensando di scavargli una risposta. Mentre sorridono e fanno un passo avanti la vita, con i piedi ed il busto eretti sopra dove riposi, perpendicolare senza linfa, ma con i nodi giusti per l'intaso mortale, mentre giocano, ti credono in mezzo, con la disinvolta franchezza distratta di un partecipante annoiato. Bisognerebbe dirglielo, e calciargli via l'ardire , smanicargli la voglia inopportuna di raccontarti cose che andavano dette prima. Intanto qui è freddo nuovamente: al cielo sembra sfuggire la sorte della primavera. Così come gli sono sfuggiti gli anelli delle tue ossa, tronco ancora tenero, in espansione. O una via di esonero per tanto, inutile strepito. Ed ha pensato così, sempre lui, cielo e boia, d'un tratto, di liquefarti il capo, sbordarti la resistenza, sfilacciarti fino all'ultimo dai gomiti, dai tarsi e dalle nocche. Come se spurgasse un giovane, gustoso carapace.
Id: 42467 Data: 18/04/2017 17:08:32
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Massimiliano
Dalle pendici la cresta del monte è un vano al contrario, un utero disinvolto e sbeccato, imbuto cieco. E micidiale. Un water di borborigmi potenti quanto la peste, solo più caldi. Là sotto te ne sei stato buono, fra i filari velenosi e i pomodori in accidia, fra la pista chilometrica dei citofoni ed il traffico degli ascensori. Un buio/ faraone fai da te: non un bracciante ad issarti obelischi, non un operaio operoso quanto un'apetta a contribuire in sudore al mausoleo post mortem. Ci hai lasciati senza soluzione: abbiamo cercato fino all'ultima pagina, quella dove rimandano rebus e sfingi. Ma nulla. C'era solo un mostruoso ingorgo nero. Un orco incubato.
Id: 42371 Data: 12/04/2017 20:57:15
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Mille e quarantasei
Quello che siamo stati è risultanza da cantiere, polverume asciutto ed urticante che, ammassandosi, infastidisce i gatti e fa le suole parlantine. Quello che siamo stati è rimasuglio, cordoglio, scarto, un disordine di spiagge miste a rovi, la perizia con cui alla vividezza di un trancio di carne e rosso, viene spurgata la bianca, grassa bordatura con la smorfia di un difetto, di una disabilità immangiabile. Quello che siamo stati, sarà scritto dovunque non potrà essere letto: un'affissione simpatica, allegra quanto un codice indecifrabile, abracadabra luciferino, accoppiata di formule e divari. Quattro gambe che insieme dovevano, se non fosse stato per quel veto, capitato con la ferocia di un guaio mortale, e l'improvvisazione di un incidente. Solo che noi venivamo via felici da quel contrasto, come da una festa.
Id: 41863 Data: 08/03/2017 20:24:10
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Mille e quarantacinque
E' venuta già l'ora delle farfalle. Si, dei lepidotteri in picchiata, dei ronzii. E dello smielare. L'ora che il mare avvampa in cerchi di schiusa a riva, e le gambe smettono l'inverno. Tre o quattro volte ho sentito già cambiarsi il cielo e le montagne, con la faccia che hanno le cose quando sanno arrivare un conto diverso. E tutto respira senza affanno. Dalla luna, invece, vengono tue notizie, del tuo svernare, che un po' mi appartenne, setaccio di un letargo strano, gelato e lieve, lento e micidiale. Ti ho immaginato incastrato fra due rocce, un utero senza gentilezza, a dormire i giorni che ci hanno appaiati, noi venuti da un corredo opposto. E poi, d'improvviso, svelato. Un'agitazione di bozzolo, una fermentazione primaverile. Senza più una sola forzatura, una catena. Come quando alzi il bicchiere sotto cui tenevi prigioniere due ali, non importa la fattura. E dall'apnea, campana di morte momentanea, incubatrice inversa, fai venire finalmente via il battaglio/ Icaro che hai provato a fare terrestre.
Id: 41800 Data: 04/03/2017 14:02:59
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Mille e quarantaquattro
Primo giorno. Il taglio è in forma, sguaiato da parto improvviso e necessario, lo svitato. E' sano come il bambino della vicina, ma non è un bambino; ancora lucido di lama, eccitato dall'incisione. Certo non poteva essere spurgato naturalmente, eruttato il malefico lapillo, esploso dopo giusto, pio, devoto ravvedimento. No! Doveva essere acciaccato, leso, fatto a metà: dall'una all'altra sponda, come si squarciano certe arance, libro dal carnoso segnalibro, canyon nel quale entrerebbe perfetta la tua mano. Là sta tutto quello che siamo stati: a che ora arrivi? Mi manchi. Ed il trofeo tornanti, montagna, palco, paura, pomeriggio, meglio sera che fu corredino al più sventurato dei nascituri. Primo giorno. Sono brava. Mi porto bene addosso la punizione, il raggiro, il doveroso contegno. Mentre ti infili in auto, e le tue gambe hanno già un'altra porta, mentre dimentico che ho più del tuo nome che del mio, mi curvo e covo l'inutile ovuletto/ acino. Stagno di sangue: ciglia aggrottata. Una rossa.
Id: 41662 Data: 23/02/2017 17:08:49
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Mille e quarantatre
Tutte le cose hanno un nome. Lei li ha presi tutti. Non è megera, nemmeno angelica, ma muove le pedine con sapienza; nel favo ha più carte, e smiela; tutto quello che rapprende si appiccica a me con un doloroso salasso. Forse sapeva dei nostri lunedì, ha fatto quadrato con una sfera: pesce rotondo, un occhio di vetro. Forse ti riprenderebbe in casa, con il vecchio divano , ed un televisore da buona occasione. Ha ancora sulla schiena il tuo addio, rigoroso come un lutto, e nella pancia un paio di nodi, a cui hai contribuito. Le teste mollicce, dei foruncoli: mai tirati fuori, mai battezzati. Gettati via ancora crudi.
Id: 41539 Data: 15/02/2017 19:31:11
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Mille e quarantadue
Non ci saranno più occasioni: le case sono lapidi, le tende mummie, ossei nastri riavvolti, larve di un orrido, sconosciuto insetto; ed il tuo viso stinge come il colore sul quale passa distratto un dorso di mano. Non ci saranno più occasioni. E non mi importano le stelle, e quanti figli potremo comunque avere, con i corpicini ancora caldi sormontati da teste che non ci appartengono. Quando li scuoteranno, stappandoli al viscido torpore, io non sarò esausta e stesa a cercare il calco del tuo naso. E tu non mi ringrazierai.
Id: 41483 Data: 11/02/2017 20:26:30
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Mille e quarantuno
Tu non verrai. Ho irrorato il corpo con le migliori intenzioni, un po' come si fa con certe portate, cosparse di erbe aizza sapore. Ma tu non verrai, e questa triste, inutile, selvaggia aspersione, è un banchetto già marcescente. A piedi e passi, ho raggiunto la solita piazza, ravvivato il sorriso, guardato a destra, poi a sinistra; una volta le stelle erano amiche, e sembrava si fondessero in uno scudo, per accompagnarci fino all'abbraccio. Ma tu non verrai: e pioggia e sole, e afa e rose, e steli e ricci, e neve, è presto. O forse domani. I miei capelli, le dita, amore, una casa, due bimbi. Esagera! La storia, le ossa: sono loro i morti, se tu non verrai.
Id: 41472 Data: 10/02/2017 20:22:20
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Mille e quaranta
Torneranno le gite, la piazza madida di stagnole; il fischio del vigile, è cotone invisibile. Mi destreggerò nella fila ascelle e palloni, calzoncini e tono nord. Saprò dai loro brufoli che è primavera, dagli ormoni in visita guidata. Torneranno le gite, nei giardini sbiglietteranno di lena ed ai fiori verrà dato un nuovo incarico; lo scatarrare degli autobus sulle vie sarà Dio, ma non duplicherà le costole. Torneranno gli assenti: la casa sfitta sarà obesa, le ringhiere svecchiate, incisivi resuscitati dalla nuova igiene. In questo appello di inizio stagione, mancheranno solo le tue gambe, e la schiena, testo sacro. Sto cercando un modo per appassire velocemente, sganciare ciò che ancora punge, e poi spunta. Fanno così i boccioli prima di essere. Ed i bambini, sollevati in tempo opportuno all'acquosa comare espugnata.
Id: 41469 Data: 10/02/2017 17:29:42
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Mille e trentanove
Ci hanno dato questi giorni: alterni, singhiozzi, un po' come le buche sulle strade, zoppicante intermittenza, come i pali per forare la nebbia dalla pancia, e non scoprirci assassini. Col paraurti inzuppato dall'ammasso di una volpe. Li avevano contati, già stabilito quanti martedì e quante ferie, quali parole, risa e discussioni. Tenevano nella stessa busta le direzioni, gli orari e i modi per incrociarci: tu qui, più a destra, lei dall'angolo, sopra, adesso. Boom. Ma ci hanno dato questi giorni, con le feste ed i disastri, dall'afa siamo infuriati in neve. Ho avuto solo questi giorni, durati quanto una casa, la scelta del cane giusto, e l'urlo sguscia spinta.
Id: 41422 Data: 07/02/2017 14:16:51
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MIlle e trentotto
Ciao Isola del Liri, ciao acquitrini. L'auto sfiamma dopo ore di cammino, gli incroci hanno un'indifferenza/ tungsteno, e la marmitta sfarfalla il chilometrico amplesso, rilasciando tossine. Ciao alle portate, ai negozi con il saldo amico, al pane e alle tovaglie di carta. Di una strada che ha più botteghe che presunzione, delle more appaiate sui cespugli verso le abbazie, dei loro giochi, ho nausea e fame. A volte penso che sei venuto a farmi vivere come gli altri, con le ossa tribolate dall'incostanza, e la mia pelle che in bocca ti durerà forse una stagione. Comunque, ciao Isola del Liri, ciao fossette ed avvallamenti, ciao sensi unici, viva i distratti. Se lo fossi stata io, quella notte/ giorno, adesso saresti già in salita, oltre il lungomare. Con il sorriso lanciato alla prima dose di gambe e circostanze.
Id: 41419 Data: 07/02/2017 09:18:56
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Mille e trentasette
Mi piaceva Venafro. Di sera era un gatto, razza grigia e melangiata, l'innesto barbarico di troppi amplessi. Una costola asciutta, così, per passare il tempo estivo. La cosa buffa era che non ci somigliava, se non per quella fantastica abitudine di sentirci addosso un altro accento. E qualche errore stava pure là: nei segnali stradali, nel bar adunco come un gomito, e nelle pozzanghere. Mi piaceva Venafro, di sera. Sembrava mi guardassi davvero: che sulle mie caviglie fosse sollevata la fine del mondo, per proporzioni e possibilità. Che ci volessi le zampe di una casa.
Id: 41392 Data: 05/02/2017 14:49:56
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Mille e trentasei
La domenica è più difficile: non c'è il cordoglio del lunedì, e le trattorie baluginano con la ghiottoneria di un cappio per totani rossicci. Certo, non sei di queste parti. Quindi ti sfugge l'acne notturna che, a maggio, luccica il mare , da ileo ad ileo. Sono uccisi in teneri atteggiamenti, certo non puoi saperlo. Che corrisponde a quell'orrore una festa di barche, una processione sputata a largo dalle rocce. Ed è anche la sera che i licei chiudono la bocca con danze e parapiglia. E ai ragazzi viene la maggiore età. Come una malattia. Vorrei averti urlato tra le braccia allora, con le gambe inginocchiate a riva. Quando ero sconosciuta a cento carezze.
Id: 41391 Data: 05/02/2017 14:25:33
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Mille e trentacinque
Tutte le volte mi insegni qualcosa di nuovo. Gestione ammirevole, grande padronanza, expertise favoloso. Smonti e rimonti, sono sul tuo ponte da mesi: ma ho un innesco fasullo! E l'ingranaggio dai modi disonesti. Sembra funzioni come riuscì all'ultima bella incanalata sulle tue dita: lei di facile impiego, stanabile quanto una bocca di latta quando tiri il lembo ed è solo da versare. Con il contenuto a giorno e la mossa giusta. Si, forse ti appaio rigenerabile quanto il suo fare, l'ingresso corrotto da cattivo utilizzo. Ma il mio osanna dura solo qualche secondo: hai fatto caso che non oso contare? Che le mie ossa hanno più forse di altre.
Id: 41390 Data: 05/02/2017 14:04:57
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Mille e trentaquattro
Roma è in tuta e gabbiani: i tetti/ baffi intiepidiscono rosa, dopo l'ultima arroventata. E' il pomeriggio in cui l'attore è entrato in metro e nelle fontane è primavera blu stinto. Il mio letto vede il Gianicolo, ha lenzuola giovani di lavanderia: oltre il fianco degli alberi stanno mura, stanno ipotesi e mascelle latine. Hai frugato più volte nel mio ventre, credevo per riattaccare il filo alla foce da cui prende l'elettrica mansione. Invece è stato come spostare il divano per vedere se piace alla parete avversa, se da quell'urto può nascere una storia. Ma la camera è la stessa: occlusa cervice senza sguardo.
Id: 41389 Data: 05/02/2017 13:37:10
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Mille e trentatrč
E va bene. E' ora di cena: va accomodata la tavola. Ma noi non abbiamo una culla. E tutte le volte che provi, manopole e stelle, il madido biliardo, esito partita con preghiera, tutte le volte, c'è un temporale che spezza la schiena al girino, nella mia acqua/ cemento. E va bene. E' ora di famiglia. Di quelle cose che si fanno in due. Ma il tuo portone reca il nome di un'altra, la vicina forse ricorda il modo in cui ti allacciavi le scarpe. Ed il tuo ombrello sta ancora infilato da qualche parte, tra un cognome e una scala. Come l'arma sfitta di un Vlad impalatore.
Id: 41381 Data: 04/02/2017 21:12:09
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Mille e trentadue
Mi vogliono ècru, ritta sul piatto della doccia, con la schiena in pari, e i bottoni della giacca ricongiunti alle asole. Mi vogliono affacciata alle diciassette, quando la campana manda in tilt il silenzio, e raccoglie le donne come riso scuro. Compatta come le cose montate bene, la frusta nella boule maneggiata a mo' di scettro. Loro non sanno che amare è questa spina, è il sangue ed il suo invaso. Che per te ho dimenticato i monti, ed il ponte sbieco, e la farina sul bancone del vecchio pastificio. Un pomeriggio che il sole era una macina, e puntava la neve per cavarle l'anima.
Id: 41366 Data: 04/02/2017 08:59:48
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Mille e trentuno
Tu vieni dalle strade delle palme, dallo scirocco che scala i palazzi con un alito quindici gradi. Conosci come sgomberano i parcheggi, l'odore dell'ora di punta, gli ammiccamenti robotici dei semafori, la litania delle file, coda di animale immondo che rintana. Gigantesca lumaca ritratta. Ma quando vieni a me, e visiti il mio silenzio, so che mi strappi. Alle gole e ai giardini, alle cose che erano i miei cinque anni, al terrazzo con le maioliche, all'elastico ed al chewin gum, al tappeto di fiori nel giorno del Corpus Domini. E dove sono contusa, dove sono lacera, è là che va la nostra casa. Con le finestre/ bozzolo schiuse e la toppa ancora vergine.
Id: 41365 Data: 04/02/2017 08:57:28
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Mille e trenta
Tu somigli al bastione che chiude questa Costa. Non so quante volte hai attraversato la mia terra al tramonto, quando i vassoi sanno di arance, e i giardini smielano con l'afa un'eccitazione lenta e soddisfatta. Quando alle colombaie chic di cento alberghi, rintanano le mani oro dei turisti, e Capri è, a favor di cielo, un cammello annegato. Io su quella strada, l'ombelico ceramiche e liutaio, esofago terrazzamenti e pescatori, salamoia mare/monti, avevo sempre diciotto anni, una corda nel petto ed il cuore ad una sola uscita. Se mi avessi avuta allora! Se ti avessi avuto allora, con la frenesia delle lucciole al collo di Furore, con il profumo che ha maggio quando giugno è ancora lontano. Tu somigli al bastione che chiude questa Costa, la cortina accasciata sulle acque a dire dove ristagna al paradiso la voglia d'inferno. Non so quante volte ci saremmo potuti trovare spalla a spalla ai tavoli di un bar, accalcati nella folla marina del Patrono più gettonato, nel solletico degli scogli velati da gambe, bambù e corpi. Eppure mi piace questo tempo in cui posso raccontarti chi sono stata, i nodi dei miei pini, il precipitarsi maiolica delle rocce. Il ripetuto tentativo di morte e rinnegato: il nostro Abramo a mezz'asta sulla gola di Isacco.
Id: 41085 Data: 17/01/2017 13:05:29
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Mille e ventinove
Conosco il nome del tuo cane. Un'anafora con l'accento, anatra senza becco, con più denti di uno squalo e i tacchi di tua madre come sentinella, rocchetti salva equilibrio, colonne/ capezzoli di sirena mostruosa quando prende il largo sul pavimento, verso l'uscita. Conosco la voce delle tue chiavi: una ti tiene in caldo il rifugio, l'altra è la sagrestia da cui sei partito, la terza la chiami sera, la chiami festa, con il nome più lungo del mio, volant ed atteggiamenti, la chioma fluente ed un odore di parlantina. Conosco come sorridi, e l'abracadabra dei tuoi occhi, gli andirivieni tra androni e cortili, le giacche che indossi e i maglioni che svesti. Devo aver fatto qualcosa di terribile per non meritare di sedermi di fronte alla tua stanchezza e sversarti il desiderio. Certo, dopo aver assicurato alla porta ogni distanza.
Id: 41081 Data: 17/01/2017 12:33:29
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Mille e ventotto
Il nostro amore merita una fine che somigli all'inizio. Orario imprevisto, la luna issata come l'escrescenza dell'unicorno, patena senza frutto, globulo ed albume, saliva santa. La gente, fastidiosa e di rumore, è assiepata nei letti sbalzati dall'afa, ma dove si fa l'amore le coperte scalciano volentieri. Altrove, un bambino struscia il capo acquitrino fra le lenzuola, poi respira. Tic è il verso dell'uccello/ orologio al capezzale di ogni casa. Il nostro amore meriterebbe un giorno di agosto per finire, possibilmente a metà tronco, dove è più molle e promettente il tracciato, dove si aspettano miracoli. Ecco: un cesareo preciso quanto un destro, dritto al ventre dell'estate, perchè è così che mi sei venuto. Come un figlio, come uno sposo. Io non ho mai detto si, mai detto dolore, illibata e sporca, sono consumata senza dare cera. Ma mi hai sposata in una notte.
Id: 41074 Data: 16/01/2017 19:49:36
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Mille e ventisette
Il mio tempio è detonato. Fin dentro le budella sale la stagione brillata. L'innesco fu perfetto e di talento, un aggeggio d'altri tempi. Giacca buona e bel sorriso. Boom. Ovunque adesso risuona il boato delle cose esplose in tuo onore, la parata di macerie che ti reca in calce. Sono scampata a me stessa tante volte. La foggia delle superstite era il mio clown: poi il tuo congegno, diabolico rebus e tridimensionale, ha preso il sopravvento. E mentre fuggo, ancora ti cerco: curo la miccia dal suo calore, soffiandole sul capo. Prima o poi si addormenterà questa ferita verticale: l'assassina è spenta.
Id: 41060 Data: 16/01/2017 11:19:27
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Mille e venticinque
Io non sarò sempre fioritura. Un giorno ai campi verrà meno il turgore, e sotto le semenze eccitate, si genereranno pigrizie ed affaticamenti imprevisti. Ti sorprenderai della muta, del letargo più ostinato, di carni assiepate come l'erba che va congedata, spurgata dalle lame con la dedizione lugubre dei monatti. Vince chi riconosce nelle sterpaglie, nello stelo ingobbito, nella radice slabbrata, la prima messe.
Id: 41057 Data: 16/01/2017 11:16:07
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Mille e ventiquattro
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