Non so più baciare
e il camminare mi è ignoto
da quando so che esistono
le tue mani e che da qualche parte
compi gli anni, fai le valigie
e disfi il letto con fare magistrale
mentre le stanze mandano il tuo
odore di forza e partenze.
Non so più guardare ciò che
mi appartiene senza volerti cedere
in resa costante:
ossa, dita, respiro, la corda
che si apre nel seno e mi tira giù
al ventre con un lampo subacqueo,
un tuono seppellito fino all'inguine
e più in basso, in una regione che
hai battezzato con gli estremi
silenziosi di una figlia segreta.
Non so più amare se
non posso sfiorarti dalla mia distanza
e fingere fino allo spasmo;
non c'è più modo di guarire
e di affidare ad una voce
la liquida soma
di tutto il tempo che cade.
Una punizione di dettagli e cose,
di orari e desiderio
che monta la furia in una tempesta
su cui soffiano direzioni avverse.
E niente ricaccia in tana
la bestia insolente
se non il nostro richiamo:
l'esca è furba
se penzola asciutta sul miele/ abisso.
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