Fauci di coniglio, masticano degli embrici la proda;
sostano al nettare dell'arnia, paternità invendute,
le parole degli stolti, sono macchia nel roseto,
una luce brilla asciutta, nella piccola basilica;
la piazzza a quest'ora brulica di pandemica desolazione,
rannicchiata nei secoli che l'hanno vista bella,
fotografata in pagine di storia, che non portano l'affanno,
ma passi di primizie d'argento e d'oro;
e in questo tempo morto alle sue iadi,
tutto appare distorto, confusionario e instabile,
laddove ti misura il metro che separa e divide,
distanzia e scompone il vulnus tra scenari;
fauci di coniglio, brucano l'erba di un prato nero,
nell'insipiente grembo dell'aquila notturna,
l'estasi del giorno frana, da se stessa autorizzata,
travolta e soffocata da una toppa sulla bocca.
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