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Cupo tempo gentile

Romanzo

Umberto Piersanti
Marcos y Marcos

Recensione di Maurizio Soldini
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Pubblicato il 17/08/2012 12:00:00

“Andrea continuava a guardare gli ippocastani: tra loro e i vetri adesso sfrecciavano rondoni neri e luminosi, maggio splendeva in tutta la sua gloria come nei versi di A Silvia. Sì, lui non pensava alla rivoluzione culturale, ma ai versi di Leopardi e poi ai giorni della sua infanzia”: in questo quinto capoverso del capitolo Due c’è un po’ tutta l’essenza della comprensione di Andrea, il protagonista del romanzo di Umberto Piersanti, Cupo tempo gentile. Siamo in pieno Sessantotto nel fervore della contestazione studentesca in una delle tante università italiane, quella di Urbino, nelle quali si cominciava allora a fare Movimento, tra contestazione e radicalizzazione di costumi culturali sociali economici politici e quant’altro. Ma spesso con tanta confusione e con idee talora poco chiare, mentre imperavano al posto delle idee le ideologie. Ideologie che avrebbero condotto anche a prese di posizione violente, che a loro volta avrebbero condotto in molti casi a giustificare le dittature, i soprusi, le uccisioni da parte di regimi politici e non solo. E che anche nei paesi democratici avrebbero condotto nell’ambito degli esponenti di movimenti politici ai contraltari dei revisionismi, ovvero ad una lotta con aspirazioni rivoluzionarie e alla violenza, che si sarebbe fatta violenza armata e avrebbe nel futuro portato anche al terrorismo. Andrea è di Urbino, è studente di Lettere e fa parte del Movimento. Crede fermamente che molte cose debbano essere cambiate, in qualche modo pensa che qualche rivoluzione o meglio evoluzione debba pure avvenire, ma non ama la violenza, crede in valori che debbono rimanere fermi, come è convinto che non si possa fare violenza gratuita su altri uomini e soprattutto è convinto che non si possa uccidere. Ama la sua terra, con la sua gente, con i suoi valori, con quel retroterra culturale e civile che ritiene che in qualche punto debba essere cambiato, modificato, ma che non può essere annichilito e bruciato tutto d’un colpo. Aveva ragione Nietzsche: Dio è morto, ma adesso saranno in grado gli uomini a sostituirLo? Andrea non vuole la morte di Dio, non vuole ucciderLo, liquidarLo, e neppure vuole che sia ucciso, liqui-dato ogni essere umano, sia pure un nemico politico. Spesso Andrea si rifugia nelle chiese, ad ammirare la santità e la bellezza del luogo e dell’arte. A respirare gli ultimi bagliori di una spiritualità,  non idealista ma realista, concreta, tutta legata alla corporeità alla matericità di una esistenza davvero reale. Nelle ultime battute del romanzo leggiamo: “… ma quando c’è di mezzo la vita umana…, sì, sì, bisogna riconoscere che quelli dell’Azione Cattolica … non avrebbero mai cercato di bruciare dei nemici politici”. Andrea non vuole uccidere Dio e non vuole che si uccidano gli uomini. Non si è battuto nel Movimento per il nulla, ma per l’essere, per le cose buone e per quelle giuste. Per i cambiamenti, là dove occorrono, ci vuole tempo, pazienza. Ecco perché Andrea non è ben visto dai capi del Movimento: è considerato un revisionista, non un rivoluzionario. Ma quando si tratta di far passare in assemblea una mozione contro l’invasione dei carri armati sovietici a Praga, Andrea predomina sui capi, con l’appoggio di tanti studenti, tra cui ci sono anche due suore… Andrea è costretto in qualche modo ad abbandonare il Movimento. È troppo sensibile. Non si trova in una mentalità scabra materialista nichilista ideologicamente fine a se stessa. Andrea ama gli uomini, l’umanità, con i suoi pregi e i suoi difetti, in particolare subisce il fascino femminile, ha diverse storie d’amore. Così come ama la sua terra, con il suo paesaggio, descritto così minuziosamente nel romanzo, con la sua fauna e soprattutto la sua flora. Ama la sua famiglia, con quel lessico famigliare e quelle usanze, non da ultimo quelle delle feste comandate come il Natale con le sue tradizioni anche culinarie, da cui è bene sì prendere le distanze, ma senza mai abbandonale del tutto, anzi ogni tanto ritornandoci, come Andrea fa con sentimento e piacere e gioia. Andrea ama la cultura e predilige soprattutto la poesia, con i suoi autori, Pascoli, Carducci, D’Annunzio, il conterraneo Giacomo Leopardi. E quindi Eugenio Montale, sul quale Andrea discuterà la sua tesi di laurea, che lo traghetterà nel mondo del lavoro a insegnare a trasmettere a sua volta di tramando i valori in cui ha creduto e crede. Valori che si trovano nelle voci liriche e nello stesso tempo civili di “Montale e anche oltre, Luzi, Sereni, Caproni, Bertolucci”. Ma non nell’avanguardia letteraria e poetica: “ma l’avanguardia no, quella con lui (con Andrea) non c’entrava niente”. Mentre molto si respira della poetica e delle idee di Pierpaolo Pasolini che pervadono l’intera opera. Romanzo di formazione e di memoria e di nostalgia ma senza rimpianti, se non fosse per la nostalgia del tempo che passa, sicuramente con una forte impronta autobiografica, dove emergono in modo forte la Weltanschauung e la poetica dell’autore, Umberto Piersanti, oltre che romanziere, scrittore e saggista, soprattutto poeta di fama. Caratteristiche che ritroviamo appieno nella sua vasta opera poetica. Poetica e Weltanschauung che ad un certo punto del romanzo possiamo cogliere nelle parole di Andrea: “… una poesia… può raccontare la mia emozione più lontana e segreta, il passaggio di una nuvola, un fiore che viene su dalla terra. L’arte può raccontare tutto, essa è al di sopra e al di là della lotta di classe”. Come dire che l’unica cosa che potrà salvare l’uomo e fargli compiere la vera e propria rivoluzione è quella che si compie nell’anima, in interiore homine, attraverso il pensiero del cuore e attraverso il linguaggio della poesia. Del resto non siamo lontani da quando Heidegger sosteneva: “Ormai solo un Dio ci può salvare”. Quel Dio che fa sì che la vita continui ancora oggi ad avere un senso e che l’uomo, pastore dell’essere, custodisca e ogni tanto tenti di portare allo svelamento attraverso il linguaggio della poesia. Poesia che accede a quel mistero di verità spesso insondabile che pure esiste. E che ci consente in qualche modo di compiere quella metanoia che fa sì che si possa compiere una vera e propria rivoluzione o meglio evoluzione sul piano ontologico e su quello assiologico.



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