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Macerie

Poesia

Francesco Onirige
Progetto cultura

Recensione di Roberto Raieli
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Pubblicato il 29/06/2012 12:00:00


Note sulle ‘macerie’

(Francesco Onirige, Macerie, Progetto cultura, 2009)

 

È stata davvero una buona scelta, quella della Redazione della rivista «línfera», di portare tra i finalisti della prima edizione del suo premio di poesia la raccolta n. 27, rigorosamente anonima, che poi la Giuria, presieduta da Maria Luisa Spaziani e composta da Dante Maffia, Salvatore Martino, Elio Pecora e Angelo Sagnelli, ha scelto come vincitrice per la pubblicazione nella collana Quaderni di línfera di Edizioni Progetto Cultura. Pubblicata la raccolta con il titolo Macerie, Francesco Onirige è poi arrivato tra i finalisti del premio Luzi e del premio Laurentum, andando avanti sempre con il solo appoggio delle parole di cui ha voluto servirsi, e con la loro solidacostruzione all’interno di ogni componimento e nell’architettura di tutto il libro.

Spaziani scrive nella prefazione che «una storia universale delle macerie sarebbe altrettanto densa che una storia dell’arte», e cita trale altre cose la Bibbia, Eliot, Montale… Le Macerie di Onirige hanno il vantaggio di poter essere spalate via in ogni momento, per ricostruire dove è crollato, per catastrofe o per scelta, un edificio precedente. Se ci sono ancora le fondamenta, e sono robuste, possono anche essere rialzate, la nuova costruzione non biasimerà la debolezza della precedente, o non piangerà eccessivamente nel caso di un crollo inatteso e nonvoluto. Questo è il messaggio che si coglie nella scrittura di Francesco, nella dedicatoria per Arianna, nel continuo riferirsi ai «punti» da unire, ai «ponteggi», ai cantieri, alle «trame», pur nell’«elogio dei crolli» e nella continua lotta degli «opposti».

         

          Questa volta accorri tu a farmi damusa,

Arianna astuta,

fanciulla della tessitura,

tu che indichi la direzione del cammino

che fai coincidere l’ingresso con l’uscita

[…]

 

Sempre Spaziani, poi, conclude che «in tempi di minimalismo o di orizzontale acquiescenza ai fenomeni più visibili della quotidianità e del costume sentimentale omogeneizzato, versi in cui ad apertura si ipotizza e si invoca il filo di Arianna, fanno intravedere uno spiraglio fra i giovani che troppo sovente ci sembrano guardare altrove». Questa è la vera innovazione a cui sono chiamate le generazioni che vogliono esprimersi attualmente, che non sta nel fare per forza qualcosa che non si è mai visto prima, ma nello scrivere bene e con consapevolezza, anche riferendosi a miti o esempi classici, infusi di nuova linfa vitale e richiamati per costruire anziché ‘ristrutturare’ imitando. E questo libro innova rispetto alla scrittura poetica genericamente diffusa, proponendoci una serie di ben disposte rime, valide assonanze, ma anche variazioni di ritmi imprevedibili, pause e riprese del climax, immagini significative ed ellissi semantiche non confusionarie.

 

E per davvero ancora ti sorprendono

le scogliere che si sgretolano in mare

le pietraie che incombono e precipitano

dal fianco di falesie a perpendicolo

sul tramestio dell’acqua, sul rovinoso

perpetuo moto ondoso

[…]

         

Nel fare tutto questo, la poesia di Francesco si articola continuamente nella pur contrastante alternanza da un lato di immagini di demolizione, di frana, di frammentazione, e dall’altro di compattezza, di integrità, di ordine, che portino a un parallelo recupero di quanto è finito in frantumi, o almeno tendano verso un eroico, o anche eroicomico, tentativo di recupero. Il poeta e il suo linguaggio, quindi, si palesano nella propria umanissima contraddittorietà, autodestituendosi e ripromuovendosi, con tono a volte rassegnato o angosciato, come dimostra la serie I convitati assenti:

 

Parlo di voi a voi che non ci siete;

e se anche foste stati

sareste voltati come sempre.

Quindi, fiero, parlo alle vostre spalle

affinché sembri un utile sollievo

sapervi eternamente assenti

esclusi dal fastoso mio convito.

         

e poi con altro tono, ironico e beffardo, come nella serie delle dodici metapoetiche Dozzinali:

 

Eccola qui a fatica,

la prima, l’esordiente

pronta a fingere sopra i suoi trascorsi.

Ecco che inizia

la produzione in serie

del filato.

 

La scrittura di Onirige, dunque, non può non divenire strumento di oggettivazione e comprensione dell’avvicendamento continuo tra pars destruens e pars construens, nella continua ricerca di un filo che dia senso e significato ai pensieri, alle azioni, alle cose e ai loro mutamenti:

 

Non ti stupire, se leggi ad una pagina

che tutto è perso, che tutto è frammentato

e all’improvviso, in quella che la segue

che corre un filo, che certo c’è un tracciato.

 

«La poesia è la testimonianza di una residualità destinataa ricomporsi», dice Francesco stesso raccontando il suo progetto, piano che tenta di esplicitare al lettore anche ricorrendo a legittimi espedienti tipografici. Così, girando le pagine del libro, dai testi scritti solo sul recto del foglio alcune parole ‘cadono’, ma si imprimono come «traccia» perenne nel successivo foglio bianco, come detriti o rimanenze che sono, poi, tutti raccolti e ricostruiti nella composizione conclusiva, fatta proprio con le parole uscite dalle poesie precedenti, e in cui l’assenza diviene presenza, il caos ritorna cosmos. Non manca una linea ‘sociologica’ autoironica, per cui la costruzione finale, arrivo e soluzione di molte delle perdite e cadute dalla coscienza e dal testo, è una costruzione, come denuncia il suo titolo, «abusiva»:

 

Tutto è in pezzi, tutto è frammentato:

adesso che ne parlo, si compone.

La tessitura traccia furtiva un nesso

dopo la frana, dopo l’esplosione.

 

Continuamente riorganizzati tra movimenti sismici e antisismici, i versi di Francesco suggeriscono, allora, come la cifra della condizione umana si possa riassumere in una sorta di «abusivismo esistenziale»,che addensa i propri materiali in attesa di nuovi crolli e di imminenti ricostruzioni, e che non si rassegna, ribellandosi, non solo civilmente, contro qualunque rischio di un suo azzeramento. Lo spirito di questa concreta attività, tra le cose e le parole, di validazione, scelta, distruzione e ricostruzione, non può non piacere a chi crede nella lunga linea della poesia, a chi crede nel continuo abbattere e spalare i resti, prima di avventurarsi nella costruzione dell’avvenire non solo letterario della società.

 

E tutto il mondo, visto nell'insieme

oggi è un cantiere di demolizioni,

anzi nemmeno; ché manca allo sguardo

un unitario quadro di visione.

 

Di là dalla fin troppo elaborata strutturazione della raccolta, a cui dispetto i componimenti hanno spesso un linguaggio piano e ben comprensibile, il libro parla, infine, della storia di una vita umana, ma ovviamente non la narra, la poetizza, e non poetizza più di tanto gli eventi esterni, il passare degli anni, gli incontri, gli amici, i luoghi, quanto gli accadimenti interiori, gli sviluppi di una coscienza nei suoi rapporti con un mondo, esterno, altro, però riconducibile a sé: in una parola, ricostruibile.

 

Unendo i punti da uno a ventiquattro

vedi che qualche cosa si compone

certo non l’intero, la porzione

quella che basta a giustificarci.

 

Prega i numi, i celesti indifferenti

di serbarti memoria e associazione,

altro no. Ché gli uomini son fatti

solo per riaccostare pezzi sparsi.

 



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