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Francesco Onirige - Poesia - Progetto cultura
Macerie
Note sulle ‘macerie’ (Francesco Onirige, Macerie, Progetto cultura, 2009) È stata davvero una buona scelta, quella della Redazione della rivista «línfera», di portare tra i finalisti della prima edizione del suo premio di poesia la raccolta n. 27, rigorosamente anonima, che poi la Giuria, presieduta da Maria Luisa Spaziani e composta da Dante Maffia, Salvatore Martino, Elio Pecora e Angelo Sagnelli, ha scelto come vincitrice per la pubblicazione nella collana Quaderni di línfera di Edizioni Progetto Cultura. Pubblicata la raccolta con il titolo Macerie, Francesco Onirige è poi arrivato tra i finalisti del premio Luzi e del premio Laurentum, andando avanti sempre con il solo appoggio delle parole di cui ha voluto servirsi, e con la loro solidacostruzione all’interno di ogni componimento e nell’architettura di tutto il libro. Spaziani scrive nella prefazione che «una storia universale delle macerie sarebbe altrettanto densa che una storia dell’arte», e cita trale altre cose la Bibbia, Eliot, Montale… Le Macerie di Onirige hanno il vantaggio di poter essere spalate via in ogni momento, per ricostruire dove è crollato, per catastrofe o per scelta, un edificio precedente. Se ci sono ancora le fondamenta, e sono robuste, possono anche essere rialzate, la nuova costruzione non biasimerà la debolezza della precedente, o non piangerà eccessivamente nel caso di un crollo inatteso e nonvoluto. Questo è il messaggio che si coglie nella scrittura di Francesco, nella dedicatoria per Arianna, nel continuo riferirsi ai «punti» da unire, ai «ponteggi», ai cantieri, alle «trame», pur nell’«elogio dei crolli» e nella continua lotta degli «opposti». Questa volta accorri tu a farmi damusa, Arianna astuta, fanciulla della tessitura, tu che indichi la direzione del cammino che fai coincidere l’ingresso con l’uscita […] Sempre Spaziani, poi, conclude che «in tempi di minimalismo o di orizzontale acquiescenza ai fenomeni più visibili della quotidianità e del costume sentimentale omogeneizzato, versi in cui ad apertura si ipotizza e si invoca il filo di Arianna, fanno intravedere uno spiraglio fra i giovani che troppo sovente ci sembrano guardare altrove». Questa è la vera innovazione a cui sono chiamate le generazioni che vogliono esprimersi attualmente, che non sta nel fare per forza qualcosa che non si è mai visto prima, ma nello scrivere bene e con consapevolezza, anche riferendosi a miti o esempi classici, infusi di nuova linfa vitale e richiamati per costruire anziché ‘ristrutturare’ imitando. E questo libro innova rispetto alla scrittura poetica genericamente diffusa, proponendoci una serie di ben disposte rime, valide assonanze, ma anche variazioni di ritmi imprevedibili, pause e riprese del climax, immagini significative ed ellissi semantiche non confusionarie. E per davvero ancora ti sorprendono le scogliere che si sgretolano in mare le pietraie che incombono e precipitano dal fianco di falesie a perpendicolo sul tramestio dell’acqua, sul rovinoso perpetuo moto ondoso […] Nel fare tutto questo, la poesia di Francesco si articola continuamente nella pur contrastante alternanza da un lato di immagini di demolizione, di frana, di frammentazione, e dall’altro di compattezza, di integrità, di ordine, che portino a un parallelo recupero di quanto è finito in frantumi, o almeno tendano verso un eroico, o anche eroicomico, tentativo di recupero. Il poeta e il suo linguaggio, quindi, si palesano nella propria umanissima contraddittorietà, autodestituendosi e ripromuovendosi, con tono a volte rassegnato o angosciato, come dimostra la serie I convitati assenti: Parlo di voi a voi che non ci siete; e se anche foste stati sareste voltati come sempre. Quindi, fiero, parlo alle vostre spalle affinché sembri un utile sollievo sapervi eternamente assenti esclusi dal fastoso mio convito. e poi con altro tono, ironico e beffardo, come nella serie delle dodici metapoetiche Dozzinali: Eccola qui a fatica, la prima, l’esordiente pronta a fingere sopra i suoi trascorsi. Ecco che inizia la produzione in serie del filato. La scrittura di Onirige, dunque, non può non divenire strumento di oggettivazione e comprensione dell’avvicendamento continuo tra pars destruens e pars construens, nella continua ricerca di un filo che dia senso e significato ai pensieri, alle azioni, alle cose e ai loro mutamenti: Non ti stupire, se leggi ad una pagina che tutto è perso, che tutto è frammentato e all’improvviso, in quella che la segue che corre un filo, che certo c’è un tracciato. «La poesia è la testimonianza di una residualità destinataa ricomporsi», dice Francesco stesso raccontando il suo progetto, piano che tenta di esplicitare al lettore anche ricorrendo a legittimi espedienti tipografici. Così, girando le pagine del libro, dai testi scritti solo sul recto del foglio alcune parole ‘cadono’, ma si imprimono come «traccia» perenne nel successivo foglio bianco, come detriti o rimanenze che sono, poi, tutti raccolti e ricostruiti nella composizione conclusiva, fatta proprio con le parole uscite dalle poesie precedenti, e in cui l’assenza diviene presenza, il caos ritorna cosmos. Non manca una linea ‘sociologica’ autoironica, per cui la costruzione finale, arrivo e soluzione di molte delle perdite e cadute dalla coscienza e dal testo, è una costruzione, come denuncia il suo titolo, «abusiva»: Tutto è in pezzi, tutto è frammentato: adesso che ne parlo, si compone. La tessitura traccia furtiva un nesso dopo la frana, dopo l’esplosione. Continuamente riorganizzati tra movimenti sismici e antisismici, i versi di Francesco suggeriscono, allora, come la cifra della condizione umana si possa riassumere in una sorta di «abusivismo esistenziale»,che addensa i propri materiali in attesa di nuovi crolli e di imminenti ricostruzioni, e che non si rassegna, ribellandosi, non solo civilmente, contro qualunque rischio di un suo azzeramento. Lo spirito di questa concreta attività, tra le cose e le parole, di validazione, scelta, distruzione e ricostruzione, non può non piacere a chi crede nella lunga linea della poesia, a chi crede nel continuo abbattere e spalare i resti, prima di avventurarsi nella costruzione dell’avvenire non solo letterario della società. E tutto il mondo, visto nell'insieme oggi è un cantiere di demolizioni, anzi nemmeno; ché manca allo sguardo un unitario quadro di visione. Di là dalla fin troppo elaborata strutturazione della raccolta, a cui dispetto i componimenti hanno spesso un linguaggio piano e ben comprensibile, il libro parla, infine, della storia di una vita umana, ma ovviamente non la narra, la poetizza, e non poetizza più di tanto gli eventi esterni, il passare degli anni, gli incontri, gli amici, i luoghi, quanto gli accadimenti interiori, gli sviluppi di una coscienza nei suoi rapporti con un mondo, esterno, altro, però riconducibile a sé: in una parola, ricostruibile. Unendo i punti da uno a ventiquattro vedi che qualche cosa si compone certo non l’intero, la porzione quella che basta a giustificarci. Prega i numi, i celesti indifferenti di serbarti memoria e associazione, altro no. Ché gli uomini son fatti solo per riaccostare pezzi sparsi.
Id: 594 Data: 29/06/2012 12:00:00
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Maurizio Soldini - Poesia - Ladolfi Editore
La porta sul mondo
‘Non aprite’ quella porta sul mondo Questa nuova opera di Maurizio Soldini è una di quelle che fanno bene alla poesia italiana, e che sono diventate rare. Il messaggio si concretizza negli aspetti ‘vani’ della realtà contemporanea, quella in cui siamo e che abbiamo modo di vivere, ma non per questo scende al loro livello – come invece alcuni credono, ingenuamente, che sia inevitabile. In ogni caso, Maurizio ha già variamente dato prova del suo impegno nel mettere in poesia la vita, e non le immagini distorte o ‘poetesche’ di essa, come testimoniano le sue opere precedenti: Frammenti di un corpo e di un’anima, In controluce, Uomo. Poemetto di bioetica. Ha pure dato prova di saper usare la poesia per scopi anche più ampi di quelli letterari, inserendola nelle sue lezioni universitarie di bioetica, per esempio. Così come ha saputo costruire intorno ai suoi discorsi poetici un coerente ambito di altre pubblicazioni, dalle monografie scientifiche agli editoriali su importanti quotidiani, che diffondono i temi che gli stanno a cuore. Parliamo di La porta sul mondo, adesso. Potremmo dire che si tratta di un poemetto ‘metaironico’? Fa ironia sull’ironia, in quanto è già ironico dedicare la poesia a un centro commerciale (che dovrebbe esserne l’antitesi), e poi la poesia ironizza su se stessa, usando un linguaggio tragicamente serio. Allora, possiamo sommare ironia + ironia + tragico, e concludere = etico? Direi di sì. Il disincanto tragico e la disillusione ironica sono due aspetti di una visione etica del mondo, e l’atteggiamento metaironico assomiglia a quello tragico, quindi tutto si può rimescolare per definire il senso di questo viaggio nel ‘centro commerciale’ della vita. Se il viaggio letterario classicamente inteso è sempre andato da un luogo geografico-coscienziale a un altro, tramite un percorso in grado di coinvolgere spostamenti, esperienze, incontri e meditazioni, qui c’è tutto: XX […] E dentro i bar le pizzerie i fast food Le mense che profumano Di Napoli e Giappone Sono accozzaglie di persone E file su file per ap-pagare Il bisogno di rimpinzare Il vuoto esistenziale. Cosa cambia rispetto al canone più blasonato? Che il viaggio è da casa all’ipermercato, e che il luogo visitato è chiuso in 10-20 mila metri quadrati. È, dunque, un viaggio così poco nobile rispetto agli altri che la poesia ha finora acclamato? Direi di no. Il viaggio è perfettamente adeguato alla realtà che viviamo, in cui i viaggi di scoperta e riflessione si riducono ormai quasi solo a questi, non essendoci né tempo né soldi per altri. Ecco, quindi, con esemplarità quello che ci resta oggi non solo del viaggiare, ma anche del più comune passeggiare: un andare metaironico o, per chi lo preferisce, tragico. IV Canto chi non vorrebbe perder tempo E nonostante si ritrovi Nel gorgo che gorgoglia fino al mento Pur tuttavia ci prova a ri-trovare il senso Perfino dentro il centro commerciale. Le menti attente e ironiche, come quella di Maurizio, sanno fare anche di questo genere ipotrofico di viaggio un’accettabile occasione per meditare, intuire e proporre agli altri alcune radicali riflessioni. III Canto l’eroe che nonostante tutto Naviga in questo mare di vergogna Canto chi cerca la sopravvivenza Il tormento del post-moderno La sopravvenienza dalla nebbia E l’uscita dal foro del non-senso Nell’augurio a se stessi e agli altri che non ci rimanga esclusivamente questo andirivieni, la poesia riesce a parlarci, ancora una volta, di noi e del nostro mondo: IX Ogni giorno comincia l’odissea Che ci riporta ad epiche battaglie A viaggi dove qualche maga Circe È bell’e pronta ad accalappiarti E tu dentro un prosciutto o macinato Ti trovi bel salame o polifemo […] Stiamo attenti, però, a quello che ci dice un autore che potrebbe andare molto più volentieri in mountain-bike per i boschi, o con polo e bermuda in barca a vela, o con gli scarponi tra la neve (cioè un autore che non si ferma qui, che saprebbe bene come diversificare e vivere altri diversi viaggi e viaggetti realizzabili nella realtà odierna): I Canto le stelle i cieli i mari I boschi le montagne i laghi […] Canto il poeta il santo il cavaliere Le intere voluttà di una cultura. Maurizio ci dice di un essere umano affardellato da quello che invece gli è propinato come alleggerimento, convinto a togliere l’ago alla propria bussola per adattarla a viaggiare in un luogo dove nord-ovest e sud-est sono la stessa cosa: VII Ricordi quei negozi sparpagliati Uno a ponente l’altro a meridiana Uno più a nord e l’altro a est o a ovest Tra pioggia vento sole neve e ghiaccio […] Si vive come passeri nati in gabbia, al sicuro dentro un luogo fatto per noi da ‘altri’, che hanno un vantaggio a tenerci là dentro, nutrirci e dominarci (e non è nemmeno una gabbia d’oro). Il centro commerciale si rivela la metafora di un mondo controllato nel quale ci piace stare, dove il controllore non si vede e ci alletta con offerte prodigiose, che in alcuni casi ci tratta come se fossimo noi i padroni e lui l’umile servo. Eppure, fuori di metafora, stare là dentro serve ad arricchire il padrone di tutta l’organizzazione: VIII Adesso è tutto concentrato In uno scatolone Dove il tempo è scandito Da quel televisore Che annuncia le occasioni di giornata E spinge l’avventore alla rinfusa Ad acquistare questa segatura Che fa da bagnasciuga al desiderio. Allo stesso modo, sempre fuori di metafora, stare là dentro anche senza spendere serve comunque ai padroni di altre ampie ‘organizzazioni’: perché si sta buoni buoni, senza andare altrove a rompere le statistiche che ci rendono governabili. Non serve ‘indignarsi’, con questi generici ‘loro’ sconosciuti, senza riuscire a capire che dovremmo prendercela con noi stessi, che è nostra la colpa (consapevole o inconsapevole) di averli fatti arrivare ‘in alto’ e di tenerceli. Tutte queste cose Maurizio le dice in modo armonioso e facile da sentire, con la sua poesia. Roba che potrebbe essere urlata in accesi comizi con parole ed esempi popolari e populisti, o dimostrata in seri convegni con equazioni di paroloni e sentenze, ma sono tutte maniere che – stringi stringi – annoiano. Nel poemetto, invece, siamo sempre tenuti vigili dalla sequenza delle parole, dalla rapidità dei versi, dalla colloquialità espressa nella semplicità e brevità di tutto il componimento. Il ritmo è scandito spesso da endecasillabi e settenari, con incursioni di novenari e di qualche quinario, e si perde raramente al punto di togliere scorrevolezza alla lettura. Un suono generale da opera in rima, che è però sempre dissimulato da assonanze o semplici somiglianze delle parole, molte delle quali appaiono attentamente valutate prima di essere inserite nell’insieme. Questa è la poesia per Maurizio Soldini, e anche di questa si parla nel suo poemetto, vista come è oggigiorno. Sempre ‘salvezza’ dell’animo umano, sempre chiave del mondo, anche la poesia è in ogni caso inscaffalata e ordinata secondo la logica ‘padronale’ di tutto il resto (ammesso che si trovi lo scaffale). XXIV Ti trovi allora immerso nell’odore Di una foresta che ti allieta il cuore Di pagine inchiostrate Sugli scaffali bene allineati Dove comincia la caccia al tuo tesoro. Stessa cosa per la musica, che può abbracciarsi alla poesia, ma sempre dentro la gabbia dell’ipermercato, dove pure le vie di fuga fanno parte del progetto complessivo: XXVI […] Ci amiamo lo sappiamo E non smettiamo mai di dircelo Anche dentro nel centro commerciale. E alla fine sia Feltrinelli sia Arion o sia FNAC Sempre e comunque ci ritroviamo qua. Viene da chiudere con un paradosso (forse): la porta sul mondo del centro commerciale, non saranno le sue tante – e per fortuna obbligatorie – uscite di sicurezza? XXVII […] E con la poesia E la Musica tenti di essere più umano Di certo stra-vagato di certo attorcigliato Di certo assonnato e quindi corri corri Tu corri a perdifiato per ri-tornare a itaca Nella tua isola pensando già al domani… Quando le useremo, tuttavia, queste uscite? Quando tutto sarà avvolto da un disastroso incendio? Quando uno ‘squilibrato’ si infilerà dentro portandosi appresso un borsone gonfio di artiglieria e comincerà a sventagliare su chiunque? Stiamo molto attenti, non è un caso che il secondo film di George Romero sugli zombi sia ambientato proprio in un centro commerciale: quando l’emergenza nell’ipermercato sarà l’invasione degli zombi, sarà inutile uscire su un mondo ormai cadavere.
Id: 571 Data: 20/04/2012 12:00:00
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