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L’uomo Cesare e l’indole valorosa

Argomento: Storia

di Giuseppe Paolo Mazzarello
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Pubblicato il 13/07/2009 22:01:29

L'uomo Cesare e l'indole valorosa.
Del Dr. Giuseppe Paolo Mazzarello

'Sì rade volte, padre, se ne coglie
per triunfare o cesare o poeta,
colpa e vergogna delle umane voglie'
Dante, Par. I, 28-30

Quando Cesare fu nominato dal senato proconsole della Gallia sapeva che sarebbe andato in guerra. Il mandato prevedeva che lui avrebbe operato in certi territori alle prese con certi popoli in armi. Sappiamo che le operazioni ebbero uno sviluppo imprevisto anche per le iniziative del proconsole. Questo uomo fu veramente sanguinario? Si trovò in mezzo al sangue e si trovò a versarne. Tuttavia fu il comandante di un popolo al quale lui stesso apparteneva. Quel popolo, attraverso il suo governo, aveva deciso di fare una guerra. Il suo comandante identificava l'operato ma non lo assumeva in sè. Un calzolaio della suburra era responsabile della morte in battaglia di un guerriero gallo attraverso una serie di passaggi intermedi. Non possiamo ignorare questo principio di causalità storica accingendoci a seguire ancora l'opera di Theodor Mommsen. La materia che vogliamo ora commentare riguarda la storia romana nella epoca successiva al cinquantesimo compleanno di Cesare. Se non si considera l'esordio, non si vede perchè debba essere considerata separatamente dal resto delle vicende di Roma repubblicana. Non si punta il dito contro Scipione l'Africano per gli eccidi in terra cartaginese: si considera la politica di Roma attraverso le dinamiche contrapposte dei popoli. Per la guerra di Gallia taluni sono portati a considerare prevalentemente Cesare quale autore dei programmi e responsabile degli eventi traumatici. A farlo è chi confonde l'operato di un'onnipotente con quello di un autocrate. Chi commette questo errore interpretativo ha le sue buone ragioni ma non ha ragione. Un autocrate pone dei problemi. Emerge da una moltitudine della quale inizia a rifiutare gli stereotipi. Non esprime una condizione propria ineludibile ma non riesce a sfuggire ad una naturale tendenza. Che è quella di rendere individuale quanto fino a poco tempo prima era condiviso. E' la storia che mette insieme gli elementi destinati a sviluppare la reazione. Non è detto che gli stessi elementi si trovino sempre in analoga disposizione nel tempo e nello spazio. Nel corso del cinquantesimo anno della vita di Cesare questi elementi si trovarono disposti in condizione favorevole ad un certo tipo di azione. La guerra Gallica non fu una guerra di aggressione nelle intenzioni del senato né lo divenne in quelle di Cesare. Era stata resa necessaria da ampi movimenti di popoli nell'area del Reno, con ripercussione su alcuni alleati dei Romani, ce n'erano più di quanti oggi si pensi. Cesare ne ampliò le prospettive di movimento e sistemazione ma non fece nulla che non fosse grandiosamente necessario. La necessità esisteva indipendentemente dalle caratteristiche del comandante. Queste offrirono la possibilità, a quanti dei Galli lo vollero, di farsi sottomettere con felice disposizione. A quanti di loro preferirono opporsi, di essere sconfitti e ritrovarsi nella medesima condizione dei loro conterranei più accorti. Sul campo di battaglia di Alesia, ad esito non ancora deciso, i legionari romani tributarono al loro comandante una standing ovation. Cesare tributava ai suoi soldati un bonus. In realtà tributava loro qualcosa di più: un'identità virile. Non è che la cosa valga solo sui campi di battaglia. Cronache del tempo riportano che un centurione catturato dal nemico supì tutti comportandosi come un vincitore. Il prigioniero, a rigore di termini, era sconfitto anche se apparteneva all'esercito vittorioso. Quell'uomo era stato privato della sua libertà ma non del suo valore ed in questo consisteva la sua vittoria. Quel valore esisteva e dal 1° Gennaio dell'anno 49, quando il senato non concesse a Cesare nessun bonus, se ne accorsero tutti. I legionari di Cesare si trovarono privi del soldo perchè il senato non lo considerava più affar suo. Cesare decise di provvedere di tasca sua ed, anche se le realizzò solo parzialmente, dimostrò ottime intenzioni.Le popolazioni Italiche si schierarono al suo fianco, affratellate a quelle della Gallia Italica alle quali il proconsole aveva concesso una controversa cittadinanza. La formazione di un'unica famiglia era nelle pieghe della storia e Cesare si era limitato a registrarla ufficialmente. L'aristocrazia romana non contava più nulla ma, perchè questo avesse delle conseguenze, occorreva che qualcun altro contasse qualcosa. Mettiamo insieme Cesare, i suoi legionari, le popolazioni Italiche e della Gallia e notiamo che i conti iniziano a farsi corposi. Dopo avere attraversato il Rubicone, Cesare discese verso Roma invero con pochissimi soldati ma sostenuto da una tale quantità d'interessi collettivi da determinare il collasso del governo. Gli ottimati potevano riconvertirsi in altri gruppi, cosa che Cesare favorì ampiamente, ma perdevano il loro posto nell'alveo protettivo delle istituzioni. Cesare stava occupandosi già delle nuove istituzioni. La cosa dispiacque ai suoi quadri ufficiali della campagna di Gallia che già si vedevano equiparati a satrapi orientali tra agi e mollezze con le quali confortare i duri anni della guerra. Questi ufficiali avrebbero anche compiuto qualche carneficina locale per vendetta e presa di potere, ma non erano disposti a condividere nuovi destini con quelli delle popolazioni. Cesare sceglie il popolo, anche a costo di correre qualche rischio. Ad osservare che egli rischiava la vita, uno non si sbaglia, ma bisogna considerare emendato tutto il sistema durato fino allora. Contare su di una classe dirigente raffazzonata sarebbe stato più semplice per Cesare, ma non rappresentava una grande idea ed egli vi rinuncia.Nel corso dell'anno 49 Cesare fu eletto console seniore, era cresciuto. Nella foga di attribuirgli le analoghe prerogative di re, imperatore, autocrate, molti si dimenticano che egli fu uno dei due consoli per l'anno 48 punto e basta. Con tale ruolo ebbe il mandato dal senato residuo in Roma di risolvere le pendenze con gli ottimati in armi in giro per il mondo e malamente coordinati da Pompeo. Gli ottimati non avevano voluto restare a Roma non tanto per non assistere al crollo del loro mondo, non avevano tale sensibilità, quanto per l'impossibilità di opporsi alla costituzione di un mondo trasformato. In Spagna Cesare, costruendo ponti sull'Ebro, accerchia i rivali di guerra civile come fanno i bambini che, alla fine del gioco, ne pensano delle nuove tutti insieme acchiappatori ed acchiappati.In Africa il suo luogotenente Curione perde malamente equivocando sull'identificazione col console: le identificazioni vanno bene finchè c'è da raccontare il passato, quando c'è da affrontare il futuro bisogna fare conto sull'ispirazione. Sui mari Cesare fa appena in tempo a trasportare le truppe dove ce n'è bisogno, ma perde tutte le sue navi. Non era persona da piangere sui contenitori perduti, ne costruiva dei nuovi. A Durazzo cerca di perdere una battaglia conto Pompeo, era disperato per i sensi di colpa, come quando uno fa a gara col suo migliore amico e sente di doverlo lasciare un po' vincere. Pompeo era un nobile Piceno ed a Roma fu sempre trattato come un parvenu. In giovinezza aveva appreso dal padre il mestiere delle armi e non ne conobbe mai un altro. Lo esercitò finchè ebbe senso e capì che gli avrebbe offerto possibilità impensabili in altri tempi. Aveva compreso in tempo i limiti degli ottimati ma era consapevole di possederne altrettanti lui stesso. Preferì condividere il corso della storia con quanti avevano sostenuto le sue posizioni piuttosto che sostenerle individualmente. Tuttavia, con le sue basi culturali labilissime, proporzionalmente ottenne più di quanto sia toccato a Cesare che possedeva un'educazione di altissimo livello. Tuttavia in quella guerra che ora si spostava in Tessaglia, a Pompeo l'arte appresa non serviva a nulla. Aveva una forza raccogliticcia, rappresentata da Orientali e fuorusciti in cerca di ventura, espressione di quel costante rifornimento umano del potere decrepito quando non si è capaci di vederne uno valido e nuovo.
*
Quando Cesare vincitore ritornò definitivamente a Roma, erano trascorsi quindici anni dall'inizio della sua personale Odissea. Parte degli anni 48 e 47 fu trascorsa in Egitto, dove era capitato sulle tracce di Pompeo sconfitto e fuggiasco. Gneo Pompeo Magno aveva accondisceso all'escamotage senatoriale che aveva fatto di lui, dall'anno 52 a tutto il 49, console senza collega. La carica era definita da parole contradditorie, essendo i due sostantivi sinonimi. Un termine e la sua negazione non definiscono una nuova entità, registrano la scomparsa di quella precedente. Nell'anno 48 Pompeo fu un uomo senza testa perchè essa venne tagliata per ordine del dignitario eunuco Poteino, un Rasputin rovesciato che aveva insediato sul trono d'Egitto il ragazzo Tolomeo ed allontanata la sorella-moglie Cleopatra.Cesare arrivò sul luogo della tragedia con pochi soldati e finì invischiato in operazioni sul delta del Nilo. Riportò sul trono Cleopatra ma nella loro love story, che sembrò funzionale ai programmi Romani in quella regione del mondo, non notiamo tutta quell'arguzie.Cleopatra era una simpatica pin up e non certo un'irresistibile seduttrice. Nel Romano il limaccioso ambiente aveva destato una sensualità decadente. Tutto lasciava pensare che la faraonica matassa sarebbe passata ad altri e così fu. Il Romano aveva già dovuto sbrogliare fin troppe matasse. Nell'anno 46 fu nominato dittatore a tempo indeterminato. La cosa dovette sembrare sospetta perchè, nell'anno successivo, la durata della carica fu ridotta ad annuale. Finalmente nell'anno 44 la nomina fu a dictator perpetuus ed a quel punto non potevano esserci più dubbi. Il dictator era incaricato per pubbliche calamità , finchè fosse vissuto Cesare, la situazione non avrebbe mai potuto considerarsi stabile. La sua indole valorosa permeava troppo l'ambiente circostante perchè questo non fosse soggetto a continue verifiche. Le conventicole di parassiti del potere non avevano vita facile, come non l'avevano avuta gli ufficiali dei tempi della Gallia. La vicinanza a Cesare comportava doveri maggiori di quelli riservati a soggetti più distanti e meno fortunati. Egli accordò la cittadinanza romana a tutti i medici che esercitavano nella capitale e la nostra categoria dovrebbe imparare a nutrire riconoscenza verso le autorità soprattutto quando la meritano. Ai collaboratori Cesare riservava la disciplina che aveva imposto a sé stesso e questo maggiore senso di giustizia costituiva una possibile fonte di conflitto. Il nobiluomo Romano non voleva cedere una parte della sua autorità morale per dotarsi dei supporti tecnici che i despoti di tutto il mondo hanno sempre utilizzato fin dalla notte dei tempi. Portò al grado estremo la sua liberalità come ogni altra qualità che aveva il dono di possedere. L'atto finale fu recitato in quel senato nel quale molti tromboni avevano suonato per richiamare l'attenzione sulla libertà. Quella libertà che ora i congiurati si prendevano per un atto contro il loro dittatore. Quella libertà che il dittatore continuava ad assicurare loro indipendentemente dai meriti. Chissà se Cesare aveva immaginato questo, tanti anni prima, in occasione della sua nomina a flamen Dialis. Era quella la carica più tranquilla tra tutte le magistrature, intessuta di tradizione e spiritualità. La vita non è mai programmabile e questo è sgradito a chi non la prende seriamente. Verso la fine dei giorni di Cesare, le case di campagna dei Romani si ingrandivano, le famiglie crescevano e si doveva trovare spazio a scapito dei granai e del terreno coltivato. L'economia aveva carattere internazionale, le merci arrivavano da lontano, Roma era la capitale ed una città di servizi. Cesare era figlio di un serio e sincero pretore che portava il suo stesso nome. Sua madre era patrizia anch'essa, si chiamava Aurelia Cotta. Ella aveva fatto un po' a meno del marito spesso assente per servizio ed aveva amministrato qualche immobile nella suburra. I suoi genitori lo amarono e lui contraccambiò, aveva due sorelle e si occupò sempre di loro. Cesare aveva vocazione per il cursus honorum ma conosceva il mondo. Non permise ai componenti della sua classe sociale di ignorarlo. Caio Giulio Cesare senior morì improvvisamente quando il figlio era adolescente e Cesare junior crebbe. Sua madre morì quando lui era in Gallia. Ebbe numerose relazioni amorose e questo dovrebbe fare riflettere più che discutere alcune di esse. Quando divenne flamen Dialis, sposò la nobile Cornelia Cinnilla, figlia di un famoso console. Con lei ebbe una figlia, Iulia. Cesare era un grande scrittore, colto, parlava molte lingue ed, oltre al latino, benissimo il greco. Sua moglie era onesta, affettuosa e semplice. Il dittatore di allora, Silla, ordinò il loro divorzio per ragioni politiche ed il futuro dittatore disobbedì. Dovette anche fuggire da Roma e nascondersi per qualche tempo. Poi tornò, fu rimosso dalla carica sacerdotale e partì per il servizio militare. Cesare aveva ventinove anni e Cinnilla ventiquattro quando quest'ultima morì di parto. Fu quella la prima perdita tra le donne della vita di Cesare e, se non la più traumatica, fu quella deteminante. In futuro impiegherà molte più energie nelle attività extrafamiliari, anche se si sposerà altre due volte, la prima con l'infedele Pompea e la seconda con la dimessa Calpurnia. Con Cinnilla era stato perduto il progetto originario ed un uomo versatile è più bravo a riconvertire che a cambiare. Abbiamo seguito sin qui l'opera di Theodor Mommsen del quale abbiamo ammirato la geniale trascrizione storica di quel periodo. Per il congedo, vogliamo riportare un passo di un romanzo storico: 'I favoriti della fortuna' di Colleen McCullough nella traduzione italiana di Alessandra Cremonese Cambieri edita da Rizzoli nel 1994. Cesare si è sposato da poco, un matrimonio tra adolescenti, c'è un dialogo tra sposi sullo sfondo di Roma repubblicana e dei suoi garanti.Cinnilla si rivolge al marito così:

“- Un giorno sarò abbastanza grande – disse lei , rivolgendogli un delizioso sorriso tutto fossette.
Come no! E allora sarai più importante di mia madre, perchè sarai tu la padrona di casa -.
Posò a terra la bambina, le passò una mano sulla folta chioma bruna e ondulata e strizzò un occhio ad Aurelia.
Non sarò la padrona di questa casa – puntualizzò Cinnilla in tono solenne.
- Sarò la flaminica Dialis, padrona di una casa dello Stato. -”

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