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’Brevi parole ancora’ di Ilde Trona Arcelli

Argomento: Letteratura

di Paolo Ottaviani
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Pubblicato il 20/06/2012 14:57:13

Porto San Giorgio, Hotel Garden, 31 marzo 2012

 

 

Presentazione dei quaderni dell’Associazione Culturale “La Luna

 

PASSAGGI 2011

 

Direttore letterario Eugenio De Signoribus

Direttore artistico Sandro Pazzi

 

 

Poeti e Artisti

 

Giorgio Luzzi   -   Mauro Cappelletti

Enrico De Lea   -   Antonio Del Gatto

Jacopo Masi   -   Rachele Biaggi

Ilde Arcelli   -   David Giovannini

 

 

Interventi

 

Enrico Capodoglio - Critico letterario

Bruno Ceci - Critico d’arte

Marina Venieri – moderatrice

 

Esposizione di alcune opere degli artisti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PRESENTAZIONE DEL QUADERNO POSTUMO di

 

ILDE ARCELLI

BREVI PAROLE ANCORA

di Paolo Ottaviani

 

 

AI MIEI FIGLI

 

Non morirò del tutto

se in voi vivrà pietà

per le piaghe roventi

dei poveri scordati,

se userete il freddo ambrato

dell'ironia,

se vi accompagnerà la forza

dolorosa

d'esser voi stessi

contro emozioni astratte

e cerebrali.

 

Una parte di me,

tra finzioni ardite

droga di suoni

e antidoti sbagliati,

frugherà sorniona

nel ciarpame del mondo

con le vostre mani, libere

e scomode, per isolare

la pietra bella

della verità.

                                               (2000)

Ho voluto iniziare la presentazione di questo quaderno postumo di Ilde Arcelli - Brevi parole ancora - con la lettura della poesia che chiude la raccolta perché credo fermamente che le vibranti parole che in essa si leggono siano fortemente rappresentative di molte delle tematiche, dei problemi, degli interrogativi che assillavano l’animo della poetessa e delle risposte o dei tentativi di risposta, spesso assai originali, che lei stessa proponeva. Chi pratica la poesia, sia attraverso la sua lettura sia ricercandola nella scrittura, sa perfettamente che si può rimanere irretiti da quella “droga di suoni”, da quelle “finzioni ardite” e da quegli “antidoti sbagliati”, per usare le stesse graffianti metafore presenti nella lirica d’apertura, di cui la stessa poesia talvolta si nutre. Ma la ricerca poetica di Ilde Arcelli non si è mai fermata sulla bellezza, sull’ornamento della parola: ha voluto invece frugare - e uso ancora le sue parole - “sorniona nel ciarpame del modo”. Il prefatore della prima raccolta pubblicata da Ilde Arcelli nel lontano 1983 - quella raccolta andava sotto l’emblematico titolo di Perplessità -  aveva già colto questa sua tensione morale che viene molto prima e che anzi fonda la ricerca estetica della parola bella e aveva parlato, a proposito di questa poetica, di “brividi che attraversano l’anima per il dolore del mondo”. E in questo quaderno postumo, quasi disegnando un arco ideale di coerenza con quel tanto di buono e di bello che può essere espresso dalla poesia, Ilde Arcelli ci ricorda che la lotta per arginare il male ha bisogno di mani “libere e scomode”. Per queste ragioni credo che la poesia dedicata ai propri figli, pur partendo da un nucleo di affetti intimo, privato, familiare, si trasformi invece in una sorta di testamento spirituale offerto a tutti. E, certo, la ricerca inesausta della “pietra bella della verità” resta l’eredità più preziosa di questo poetare.

Ma prima di entrare brevemente dentro la casa poetica di Ilde Arcelli io desidero, credo anche a nome degli amici che mi hanno accompagnato in questo viaggio, ringraziare l’Associazione culturale “La Luna” che così generosamente ci ospita e vorrei anche esprimere un mio sentimento di gratitudine del tutto speciale a Eugenio De Signoribus che è stato molto più che il “Direttore Editoriale” di questo quaderno: ne è stato l’amorevole ispiratore e il sapiente consigliere nella difficile scelta dei testi, e vorrei ancora ringraziare pubblicamente il dr. Mario Arcelli, il marito della poetessa, che non solo mi ha concesso il permesso, con tanta signorile benevolenza, di accedere al materiale inedito della consorte ma è stato un aiuto sicuro nel mio lavoro di archiviazione e in quello, ancor più difficile, di datazione delle varie poesie. La mia gratitudine è davvero grande perché attraverso questo lavoro di curatela ho potuto conoscere quegli aspetti intimi, in qualche modo segreti, del fare poesia, di quel colloquio, talvolta persino di quella lotta che si accende tra il poeta e la propria opera, e di cui resta traccia nelle carte autografe o dattiloscritte: segni, interpunzioni, note a margine che continuano a testimoniare l’assillo continuo di un’anima in perenne tensione, con quella concentrazione quasi ossessiva sulla parola che forse distingue il poeta vero da un poeta possibile.  E ho scoperto così come la passione di Ilde Arcelli per il poetare avesse radici lontanissime nella sua gioventù, radici che aveva tenuto nascoste, vorrei dire pudicamente nascoste, se è vero che la sua prima raccolta sarà pubblicata in piena maturità, a 48 anni, e come al centro di questa passione ci fosse un amore incondizionato per quel paesaggio umbro, così mite e schivo, eppure così intimamente gioioso. I fantasmi numinosi che animano i luoghi sono penetrati anche dentro i versi della sua poesia. Credo che Ilde Arcelli non abbia dimenticato mai nello scrivere i suoi versi che la sua terra, la terra di Francesco e di Jacopone, è anche la terra che ha dato i natali alla lingua e alla poesia italiana, - in Umbria lingua e poesia nascono insieme, un miracolo da non dimenticare mai! - ancor prima di quella che poi sarebbe stata la rivoluzione dantesca. E allora non può essere solo un caso che questo quaderno si apra con una poesia giovanile, ovviamente inedita come tutte le altre, - quando la scrisse, nel 1954, la poetessa aveva appena 19 anni – che è un tenerissimo canto d’amore per la terra natia. Un amore che certo cambierà forma e sostanza nel corso del tempo attraverso una sempre più acuta, dolorosa consapevolezza del male insito nella natura e forse nello stesso paesaggio. Quella terra che dispensava gioia a un animo fanciullo diventerà infatti “la terra muta” della maturità umana e artistica. Leggerò due poesie che testimoniano di questa trasformazione:

UMBRIA

E' bello

ascoltare al mattino

il tuo cuore - umido

di verde

nella bruma chiara

della prima vita:

e quando il tuo canto

non è più il silenzio

ti lascio.

A sera ritorno - fedele

a prenderti  l'ultimo raggio.

Parliamo - non senti?

Son poche parole fanciulle

- mi scavano dentro

la gioia.

E' scuro - non vedi?

Riposa

                                          (1954)

E dopo oltre un trentennio:

LA TERRA MUTA

All'ombra delle croci posano i merli,

il becco giallo schiocca sulla larva

intravista sull'erba

poi se ne vanno  col vento della sera

che più densa rende l'attesa.

                  

                            Tenuti  dalla terra,

v'amò un tempo la vita, ma non si muta

il corso delle umane cose

né per noi s'apre il cielo alla domanda

che certezze chiede. E voi tacete.

 

Un silenzio di lumi e di cipressi

fascia stasera la malinconia

mentre l'anima impigliata al becco giallo

va raminga tra gli uomini implorando:

                  

                            lei solo conosce

la dolcezza terribile d'esser viva

sulla sua terra muta.

                                             (1985)

La “dolcezza terribile d’esser viva”. E’ l’anima della poetessa che sperimenta questa ambigua, ineffabile emozione. Ed è qui, credo, che si innesta l’altro tema che ritroviamo costante nella poesia di Ilde Arcelli, quello di una dubitativa, enigmatica trascendenza. Questo quaderno, seppur in modo estremamente sintetico, documenta tuttavia un percorso intellettuale di ben cinque decenni, quelli della seconda metà del Novecento. In questo arco di tempo anche il rapporto della poetessa con il trascendente e con l’assoluto si trasforma radicalmente passando dall’anelito a un “fuoco finale” di purificazione, alla “certezza d’un Dio” fino all’interrogazione sul “nulla del pensiero”. E voglio ricordare come Luciano Erba aveva sottolineato nella sua nota introduttiva all’ultima raccolta dell’Arcelli come il suo poetare si muovesse costantemente “nei territori di caccia dell’assoluto”, una ricerca che certo ha raggiunto un equilibrio artistico molto alto: lo aveva già testimoniato quell’esclamazione di Mario Luzi in una sua lettera all’Arcelli: “Ma che animazione, che levità e intensità di movimenti all’interno, che bella e toccante, vibrante oscillazione tra pensiero pensato e pensiero vissuto…”. E lo provano ancora le tre poesie che seguono:

 

PURIFICAZIONE

 

 

Esuli andiamo

vestiti di giada

per tacite strade

col cuore ferito

dai mille perché:

c'è un'eterna ricerca

che guida,

un'infinita pace

che chiama,

uno scarno fiato

che porta

come paglia lieve

al fuoco finale

della purificazione.

 

Di noi

lì rimarrà soltanto

la viltà o il coraggio.

                           (1984)

 

 

IL GUERRIERO

 

Il muro del futuro per me cela un guerriero

che non teme d'andare: in ostaggio porta

la certezza d'un Dio che dall'eterno

ama ogni suo ciottolo perduto nel vuoto

inconoscibile. Verrà l'istante

di varcare il muro e finalmente

sarà per lui il primo giorno vero,

puro di libertà sempre cercata.

 

Conquisterà il suo nido caldo

di silenzi fatto e vergine d'impronta.

                                                       (1985)

 

POETI

 

Forzare il mistero delle fuggenti cose

fermi come fiamma fioca

in notte senza vento, certi

della paziente cera e farsi

impercettibile faro di  ricerca

per dare occhi all'uomo d'ogni tempo:

è questo forse presumere di sé?

 

Brevi parole ancora e poi

un silenzio siderale violenterà beffardo

queste quiete voci vaganti nel buio

dell'eterno, da sempre destinate

a rinascere dalle ceneri loro.

Oppure è preferibile il nulla del pensiero

succhiato delle fredde stelle del duemila?

 

Ora alti sui deserti stiamo

tra fulgori e dirupi solitari,

aquile erranti dal destino segnato.

 

                                                     (1985)

 

Un’ultima notazione, e non certo per ordine di importanza. Impreziosisce questo quaderno la splendida opera d’arte “Per le antiche strade” di David Giovannini, di cui ha già finemente parlato il critico d’arte Bruno Ceci. Io posso solo aggiungere che Ilde Arcelli amava quei vicoli bui e quelle antiche atmosfere. Si realizza così, un po’ inconsapevole, un po’ voluto dal destino, un felice connubio tra arti diverse ma in qualche modo sorelle. Città vecchia può essere anche letta come l’omaggio poetico di Ilde Arcelli all’arte grafica di David Giovannini:

 

CITTA' VECCHIA

 

Suono di organetto

vestito a festa - in un vicolo

breve: la voce più lieta

della miseria. Lampade

scarse e panni bagnati

aspettano il sole -

ho sentito l'odore del muschio

e l'ombra

e l'anonima voce

e il riso

dell'amore mercenario:

un uscio s’è aperto

- opaco occhio

su pietre di pianto.

 

                                  (1963)

 



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