Quella notte abbiamo dormito in un ostello.
Viaggianti, pellegrini, carovane. Arabi, anche. D’ogni tipo la gente, d’ogni variazione.
Gli asini e i cammelli ammassati nello stanzone in basso. Terribile la puzza.
Stoffe, colori, grida, voci, suoni. Qualcuno ha un flauto dolce; quasi non si sente.
Lei riposa.
Pallida; forse un po’ di febbre. Presto partorirà. Per questo, trattamento “privilegiato”. Significa una stoffa a divisione dagli occupanti (molti) della stanza. Paglia a terra.
I proprietari fanno il giro delle camere; portano qualche scodella per chi può pagare. Per l’acqua bisogna provvedere da soli.
L’ostessa è enorme; lui esile. Sono sporchi. Il flauto tace.
Oltre nella notte. Impossibile dormire.
Verso mattino.
Smania un po’.
Sono tempi terribili. Costretti alla fuga (come d’altronde sempre) quasi fosse una guerra. Erode vuole bollarci tutti. Inseguiti? E quando mai…!
Tentativo di ricomposizione: siamo nati frammenti.
Dio se ne è andato in luoghi più sicuri, ma se è dovunque, soffre.
Su un fianco. Non credo faccia bene al bambino. Provare a rigirarla un po’.
Tra l’altro: non si vedono stelle.
S’affaccia la “Padrona” (vuole essere chiamata così). Dice che è poco all’alba. Dovremo andarcene: il fitto scade.
Allargo le braccia.
E sale il primo disco: luce appena. Io non ho più pensieri.
Poco dopo. Sveglia. Il suo disagio è enorme. Grida.
Quella torna “Allora…!?”
S’accalcavano in molti.
Qualcuno porta doni; altri, curiosi, chiedono se abbia un nome. Poi, congratulazioni, auguri, risatine. La “Padrona” è seccata; ci deve far restare ancora un po’.
Più tardi: rade gocce dal cielo.
Dunque piove. Da queste parti quasi un miracolo.
Ed ora sono a Roma, in forma d’uomo morto.
Sono a Roma e sono morto, anche se a Roma resta il tempo intero.
Nasce domani.
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