La scuola che trema, invecchia ma non muore…
Se facciamo un giro per le vie della città e guadiamo i suoi edifici scolastici, sono nella maggior parte dei casi, fatiscenti, sporchi, talvolta depredati da improvvisati Arsenii Lupin che li scambiano per caveau di banche o gioiellerie, negli ultimi tempi bersaglio persino di pseudo-Unabomber come a Mesagne, insomma bestie ferite da curare, uno scenario da “brutti, sporchi e cattivi”, ma se si varca la soglia di questi istituti allo sbando si respira grande fervore creativo e tanta voglia di resistere non per sopravvivere ma per rinascere…Studenti apparentemente demotivati, con poca voglia di fare si affacciano dalle loro aule spesso poco accoglienti con l’espressione di chi non ha smesso di credere nel potere rassicurante e rigenerante di saperi scolastici, talvolta sacrificati in registri più valutativi che valutanti, insomma usati come caselle contenenti voti più o meno sommari piuttosto che quadrettini che facilitino annotazioni chiare della parabola ascendente di giovani menti che crescono…Giovani che non amano la scuola ma che non possono fare a meno di viverla come seconda casa…E mi piace credere che le scuole non siano prigioni come sosteneva Giovanni Papini in uno scritto del 1 Giugno 1914 “Chiudiamo le scuole” in cui si legge: “ Ma cosa hanno mai fatto i ragazzi, gli adolescenti, i giovanotti che dai sei fino ai dieci, ai quindici, ai venti, ai ventiquattro anni chiudete tante ore del giorno nelle vostre bianche galere per far patire il loro corpo e magagnare il loro cervello?...”Soltanto per caso e per semplice coincidenza raccoglie tanta di quella gente! – la scuola può essere il laboratorio di nuove verità.
Essa non è per sua natura, una creazione, un’opera spirituale ma un semplice organismo e strumento pratico. Non inventa le conoscenze ma si vanta di trasmetterle. E non adempie bene neppure a quest’ultimo ufficio - perché le trasmette male o trasmettendole impedisce il più delle volte, disseccando e storcendo i cervelli ricevitori, il formarsi di altre di altre conoscenze nuove e migliori.
Insomma per Papini le scuole equivalgono a “semiprigioni governative”. E se tutte le più grandi contestazioni sono nate tra mura scolastiche o universitarie, a cominciare dal ’68 è segno che nella scuola serpeggia il malessere delle nuove generazioni stanche di subire regole imposte da giudizi/pre-giudizi piuttosto che trasmesse con il buon esempio e con l’amore per la cultura…
Io mi chiedo allora oggi alla luce di ragioni nuove e salvaguardando quelle del passato che rendono ancora possibile l’esistenza della scuola quale motivazione profonda può salvaguardarne la vita…
Già, poiché esistere non vuol dire vivere, in questo non possiamo non convenire col discorso di Papini, perché le scuole non siano istituti in cui intrattenere per non dire contenere i giovani mentre i genitori sono a lavoro e i governanti si arrabattano in tempi di recessione per inventare pseudo-strategie di occupazione giovanile e per evitare che il mestiere di docenti non si confonda con quello di boy-sitter dovremmo provvedere a renderle innanzitutto più vivibili dal punto di vista igienico e architettonico e poi dovrebbero essere luoghi in cui si respiri cultura che sia appresa e scambiata piuttosto che trasmessa o compromessa da didattiche logore e ripetitive o sottoposte a valutazioni nazionali o europee (Invalsi, Ocse ed altro). In ogni caso, tornando alle scuole del nostro territorio, per quanto insufficienti di numero e di qualità e pare che la Riforma imponga di accorpare quelle che ci sono piuttosto che migliorarle e costruirne di più sicure, docenti e studenti non si arrendono ai cattivi tempi che colpiscono maggiormente sempre l’istruzione e fanno a gara
per mostrare le proprie capacità non solo di sopravvivere ma di essere o almeno di diventare fucine di creatività e saperi, cogliendo l’occasione come diceva Papini di essere laboratori di nuove verità.
Antonietta Ursitti
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