Di quando in quando il bel maggio
mi manda la sua profumata essenza di grazia e luce
mi partorisce dall’inverno
uterino
che non ho mai amato e men che meno quest’anno
coi suoi ululati di lupi e paure dietro le finestre chiuse
saracinesche sulle anime spaventate
che ora negano persino di essere esistite in quelle ore
e di aver visto i morti coi loro occhi -
le lunghe file di camion o di bare interrate
in isole lontane;
negano tutto, negano sempre
pur di sopravvivere a sé stesse
alla propria personale angoscia.
angoscia epocale, siderale, paura dei lupi
pronti a balzare se il fuoco si spegne.
quando
il fuoco si spegne.
Ma dicevo del maggio, il bel maggio odoroso
che mi regala le sue corolle
d’infiniti colori, piccole meraviglie portatili,
frulli d’ali, chioccolii di bellezza e ogni sfumatura
di verde, fino al corso dell’Aniene
che, mi spiace, nonostante l’aneddotica corrente,
non è tornato azzurro neanche ora.
Di quel maggio in cui sono nata io,
ma avrebbe potuto essere dicembre e avrebbe potuto essere altrove.
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