Ho perso tutte le guerre. Ne avessi vinta una sarebbe stato un disastro.
Nei vicoli la sera: pieno d’anime.
Le guida la Madonna ma non può mai condurle in Paradiso. Restano sulla terra. La sera. Nei vicoli.
Quando s’accende qualche finestrella ne intravedi qualcuna. Tremula, come il giallo sui vetri.
Il selciato non dà molti problemi: scivolano.
Ferite? Molteplici, ma non è quello. Mi salva che non c’è guarigione.
Roma una volta stava alla Madonna come il mio andare sempre alla stazione senza partire mai.
Ci vado per vedere qualcosa che si muove. I treni si muovono quando partono; quando arrivano si fermano.
Roma è un arrivo: non si muove mai.
La musica se ha quattro movimenti mi fa perdere il fiato. Se ne ha tre mi sofferma. Due generalmente cado. Se uno respiro.
Roma è un silenzio tragico. La notte suona ma non suona mai.
Alla stazione sbuffo. Lo faccio al posto dei treni.
Poi, da S. Angelo al sonnifero bastano pochi passi.
Le anime vengono dalla guerra: sono gli sconfitti.
La sera ci sediamo a tavolino e raccontiamo storie mai successe. Se fossero vere sarebbero solo fatti.
Le inventiamo, le selezioniamo, le consideriamo.
Lei non siede con noi.
Le anime non stanno mai nei fatti. Vivono condizioni alternative; per questo non le vede nessuno.
La ritroviamo quando torna sera.
A volte soggiorno nel dissesto. Quattro sedie, una notte.
Il dissesto è un elemento instabile: ruota dentro la terra. S’insedia, spesso.
Quando s’insedia la rotazione sposta l’asse della coscienza. Questo succede a tutti gli spostati: la follia non è un caso eventuale.
Ha ragioni profonde; ti sprofonda.
Nel dissesto gli orologi perdono forma e stabilità. Che ore sono? Che razza di domande fai!
Ovviamente le sedie sono sghembe e il tavolino scivola un pavimento roso dalla morte. Che tuttavia conferma qualsiasi rotazione della stanza. Essa è un dissesto stabile.
Roma è morta?
.
Da Roma a Nazaret sono quattro passi: basta cambiare strada.
Questo vuol dire sporgersi. Non è difficile: basta lo sconcerto.
Lo sconcerto è sorpresa: ti trovi dentro quel che già sapevi senza sapere già.
Dunque ti guardi. Nazaret sta nell’osservazione.
La Madonna stava sopra i muri.
Stava sui muri, stava sotto i muri. E le grazie, ricevute e sperate. Roma è una grazia sperata, come Nazaret. Come Nazaret spera.
Ci sono speranze e speranze. Io vivo insieme a quelle disperate.
Le speranze non muoiono mai. Per questo sperano; per questo sono disperate.
Poi uno diventa vecchio e comincia a pensare certe cose. O certe cose cominciano a pensare te.
Ci sono e ci rimangono: nella testa. A furia di pensarle, ti viene il mal di stomaco. Esempio di pensieri (nello stomaco): magari ho un cancro?
Poi pensi che ti resta ancora un po’ di tempo. Tempo che non vorresti. Quando tu c’eri, non mi sarebbe bastato l’infinito.
Ma non ci sei. Questo è insopportabile.
E allora cerchi di trovare vie di scampo, sapendo perfettamente che non ne esistono. Però cerchi.
Forse una combinazione. Si tratta di aprire le porte del cielo: la casa della Madonna.
Nazaret era sporca.
Si fermò ai margini. Succede sempre così. Lasciato ciò che andava abbandonato, si addentrò nei vicoli contorti. Era un luogo o una mente?
Lei sapeva come. Sapeva anche quando, ma non poteva dirlo. Non si può cambiare ciò che siamo, anche se siamo noi che lo facciamo.
Si nasce nel corpo; si muore nello spirito. Lui era nato nello Spirito; sarebbe morto nel corpo.
L’acqua non si trovava spesso; bisognava prenderla quando capitava. Lei era lì. La seguì fino a casa.
Dentro c’erano sette figli.
Lei mi guardava sconsolatamente. Poggiò l’acqua su un banco. Poi accese il fuoco. Si mise ad impastare non so cosa.
Poi mi fà: non esiste una grotta.
Più tardi. Comincia a venir sera.
Nel senso di un racchiuso impedimento
Mia cara,
è in arrivo qualcosa, probabilmente l’ultima, e noi siamo sguarniti di parole.
Il tempo che non lascia alternative guida la terra verso un altro addio. Molti ne ha già vissuti ma noi non eravamo e forse non ancora.
Si sussurrano avvisi: dai piani più profondi.
Ma la linea è estremamente disturbata. Cade. Spesso mi cade il senso.
La notte è una creatura senza volto, ed io che non ho avuto lineamenti, scorro pagine vecchie ma non trovo che notizie già note, mentre il futuro sta negli animali nelle cui viscere si raddensa il nulla del vuoto che ci aspetta.
Ultimamente ho caldo ed i ruscelli scorrono gocce che non hanno suono ma non cadrà la neve.
A volte stanno ferme sulla terra nuvole e vento, diffuse in un clamore che confonde e per quanto mi sforzi non trovo senso di composizione.
Mi rifugio nel tempo, sto negli anni, ma il tempo indietro è un animale esausto, sperduto nella sua malinconia di un malinteso senso del non stare.
Come tu sai, la mia mai ripudiata propensione ad essere e il contrario s’accumula nel grumo di ogni peggio. Oggi io.
Non mi chiedo di noi: lascio cadere.
E tuttavia ti penso, nel senso di un racchiuso impedimento.
Lettera a Maria
Come posso parlare con Te?
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