Il cielo sopra la città era di un azzurro inquietante, limpido e sereno, come se ignorasse completamente il caos che divorava le strade sottostanti. Rebecca si aggrappava al bordo della finestra, guardando verso l’alto, cercando disperatamente un segno che potesse darle conforto. Quel cielo, così perfetto e indifferente, sembrava non appartenere più al mondo di sotto.
Le bombe erano cadute senza preavviso, come pioggia velenosa. Tutto era accaduto in una manciata di giorni, e il paesaggio familiare si era trasformato in un inferno di macerie. Il fragore dei colpi d’artiglieria riempiva le notti, ma era il silenzio che seguiva a incutere maggiore paura. Un’assenza di suoni fatta di morti, di attesa, di vite sospese tra il prima e l’ignoto.
Rebecca strinse tra le mani una vecchia fotografia sbiadita: lei, il marito Elia, e la loro bambina Aurora, sorridenti in un giorno di sole, in un parco che adesso era solo cenere. Lui era partito per il fronte appena era scoppiata la guerra. Non l’aveva più sentito, e da settimane il suo nome non compariva nelle liste dei vivi né in quelle dei caduti. Restava così, sospeso in un limbo, come un fantasma di cui non si poteva rammaricare né sperare.
La loro figlia, invece, non c’era più. Aveva solo otto anni, quando un missile aveva colpito il palazzo accanto. Era successo di notte, e Rebecca aveva dovuto scavare tra le macerie con le mani nude, ma era stato inutile. Il corpo della sua piccolina era diventato polvere insieme a tutto il resto.
In quei momenti, quando l’afflizione sembrava volerla risucchiare, Rebecca guardava il cielo. Si chiedeva perché Dio non intervenisse. Si domandava se lassù, in quel luogo perfetto e lontano, ci fosse ancora spazio per la pace, la giustizia, e una mano tesa verso chi, come lei, più nulla aveva da perdere.
Una volta, sua madre le aveva detto che il cielo di Dio era senza guerra. “Non c’è posto per il dolore, lassù”, proferendolo con voce calma, “Dio non lascia che la sofferenza macchi quel regno. Quello è un luogo di pace, dove tutto ciò che si spezza sulla terra, viene riparato”.
Ma Rebecca aveva smesso di crederci. Non riusciva a pensare all’esistenza di un Dio che permettesse tutto questo. Se il Suo cielo era privo di guerra, allora cosa era successo a quello degli uomini? Era forse stato abbandonato, lasciato marcire in un mondo che non aveva più senso, mentre in alto continuava a splendere un’innocenza distante e intatta?
Un rumore sordo la distolse dai suoi pensieri. Dall’altra parte della strada, un gruppo di uomini in divisa trascinava via un giovane, forse un disertore. Lui urlava, ma nessuno interveniva. In quella città devastata, la paura era diventata l’unica legge rimasta. Rebecca si allontanò dalla finestra, incapace di sopportare l’ennesima scena di violenza.
Si sedette sul pavimento della cucina, circondata dalle ombre del crepuscolo. Era da lì che sua madre la vide per l’ultima volta, dicendole addio prima di essere evacuata con un convoglio umanitario. Rebecca si era rifiutata di andarsene, avendo promesso a Elia che sarebbe rimasta, per tenere al sicuro Aurora. Ma quel giuramento si era sgretolato, come tutto il resto.
Le ore passarono lente. Il buio calò, portando con sé il solito coro di esplosioni in lontananza. Eppure qualcosa di diverso si stava preannunciando, nella notte. Un surreale mutismo avvolgeva la città, come una coperta pesante. Rebecca aprì di nuovo la finestra e alzò lo sguardo verso il cielo. Le stelle brillavano, fredde e distanti. Nessun rumore, nessun bagliore di missili. Solo una misteriosa quiete.
Improvvisamente, una lacrima solitaria le rigò il volto. Perché proprio ora? Perché in quel momento, dopo tutto quel dolore, il cielo appariva così tranquillo, come se niente fosse mai accaduto?
Forse Dio aveva davvero un altro cielo, senza conflitti di fuoco. Magari, pensò Rebecca, quella sarebbe stata la pacifica realtà che un giorno avrebbe ritrovato, insieme a Elia e Aurora. Ma non ora. Non qui.
Rebecca chiuse la finestra e, per la prima volta dopo molto tempo, si concesse il lusso di piangere. Non per disperazione, ma a causa di quel cielo che, almeno per una notte, sembrava aver restituito alla terra un frammento di infrangibile serenità.
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