La casa era piccola, ma conteneva un campo di battaglia. Ogni stanza aveva visto episodi di lotte silenti, sebbene percepite, fatte di sguardi tesi, silenzi carichi e parole taglienti. Ivan e Clelia erano in procinto di divorziare, ma la separazione legale era nulla rispetto alla guerra matrimoniale che si consumava dentro quelle mura.
Il soggiorno, una volta luogo di serate tranquille e film, ora era il teatro di scontri verbali. “Quello è il mio divano”, diceva Ivan con un tono che cercava di sembrare autoritario, ma che nascondeva una stanchezza profonda. Clelia, senza nemmeno guardarlo, rispondeva: “Quel divano lo abbiamo scelto insieme. Non è solo tuo”.
Le divisioni materiali erano solo la punta dell’iceberg. Il vero conflitto si consumava su un piano più profondo, fatto di anni di rancori accumulati. Ogni decisione era diventata una trincea, ogni gesto una provocazione. Ivan lasciava le tazze sporche nel lavandino, Clelia rispondeva spostando tutte le sue camicie dall’armadio al divano, senza nemmeno piegarle.
Il colpo di grazia arrivò una sera, quando Clelia, esasperata da un altro litigio per l’assegno di mantenimento, si alzò di scatto dalla sedia della cucina. “Sai cosa, Ivan? Voglio il cane”.
Il cane, Leo, era stata l’unica creatura in quella dimora a non prendere posizione. Un labrador pacifico, che scodinzolava solo quando qualcuno gli dava attenzione. Ivan lo guardò, e per un attimo sembrò pentirsi di tutto. “Leo è mio”, disse, ma senza la solita sicurezza.
Clelia rise amaramente. “Il cane è nostro. O meglio, lo era. Ora deciderà un giudice chi lo terrà. Spero che tu sia pronto a lottare anche per questo.”
La disputa sul cane sembrava surreale, ma rappresentava la vera natura del loro conflitto. Non si trattava di chi avesse ragione o torto, ma di chi potesse dimostrare di avere il controllo su qualcosa, qualsiasi cosa. Mentre Ivan rimaneva seduto, Clelia si voltò e uscì dalla stanza, lasciandolo solo con Leo.
La mattina dopo, Ivan trovò una lista sul tavolo della cucina. Era un inventario delle cose che Clelia voleva portare via con sé. L’elenco includeva oggetti banali: piatti, posate, una lampada rotta. Ma l’ultima voce fece vacillare Ivan: “L’ultimo Natale felice”.
Ivan si fermò a leggere quelle parole diverse volte. Iniziò a ricordare quella sera di dicembre in cui, per un attimo, tutto sembrava ancora possibile. Si erano seduti sul sofà, con Leo ai loro piedi, e avevano riso per una sciocchezza vista in TV. Quel momento era stato breve, ma reale.
Si rese conto che non avrebbe mai potuto vincere quella guerra. Non si trattava di oggetti, né di Leo. Era un combattimento contro i ricordi, contro ciò che avevano perso. E nessuno dei due avrebbe mai potuto reclamare la vittoria.
Quella sera, Ivan prese una decisione. Mise in una scatola alcune delle sue cose, quelle che gli erano davvero care, e la lasciò sull’uscio. Quando Clelia rientrò, trovò la casa vuota e un biglietto sul tavolo:
“Prendi il cane. Non posso combattere più. Meritiamo entrambi di essere felici, ognuno a modo suo.”
Clelia si sedette sull’ottomana, con Leo che si arrampicava accanto a lei, e capì che il dissidio era finalmente terminato. Ma in quella fine, c’era un senso di pace che mai nessuno dei due avrebbe potuto prevedere.
N.d.A.: Nomi e fatti sono frutto di fantasia, ogni riferimento è puramente casuale.
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