Federico vagava per la città senza meta, i suoi passi erano lenti, come il respiro di un vento notturno che volgeva a scirocco, sfiorando pietre sconosciute di un mondo che non sentiva più suo. Non era sempre stato così. Un tempo, lontano, così lontano che sembrava un sogno, i suoi abiti brillavano sotto il sole del Mediterraneo, e la gente lo venerava come un dio.
Federico era stato imperatore di quella città, una figura piena di luce e potere. La sua città, che sorgeva come una perla su un mare cristallino, risplendeva di giardini e pensieri. Aveva riempito le strade di intellettuali e poeti, aveva dato alla sua corte l'eleganza della conoscenza e il calore dell’arte e della letteratura.
Ma ora, dopo quasi mille anni, si era risvegliato nella polvere e nell’oscurità della sua tomba regale. E la città, un tempo sua, lo osservava indifferente. "È possibile che questa sia la mia città?" si chiedeva, camminando tra quelle strade che non riconosceva più. "Dov'è finita la bellezza che ho creato? Dov'è la voce del mio mare?"
Si guardava intorno, cercando disperatamente qualcosa che gli parlasse del suo passato, ma trovava solo frammenti. Una fontana in rovina, ormai silenziosa, lembi di palazzi trasformati, e un arco di pietra che si alzava come l'ombra sbiadita della sua antica grandezza. "Questo è ciò che resta di me? Di tutto quello che ho fatto?" Pensieri tristi gli affollavano la mente. Non c’era più nulla che fosse come lui lo ricordava. La città era cambiata, il mondo era cambiato. Tutto ciò che un tempo sembrava eterno ora era scomparso, dissolto come nebbia al sole.
Le sue vesti funebri, la tonaca regale, la spada arrugginita alla cintura, la corona consumata dal tempo lo rendevano un'ombra tra ombre. Nessuno lo riconosceva. Nessuno capiva chi fosse. Le persone che lo vedevano passare lo scambiavano per un mendicante, uno dei tanti. "Non mi vedono," pensava. "Non vedono l’uomo che sono stato, vedono solo ciò che sono diventato. Cosa è cambiato in loro, o forse in me? Sono io che non li capisco più? O è il mondo ad essere impazzito?"
Stanco, i piedi lo portarono inconsapevolmente verso la sua antica tomba. Era come se il corpo sapesse dove andare, anche se la mente rifiutava di accettarlo. Si sedette sul marciapiede, accasciandosi come un vecchio al termine del suo ultimo viaggio. Le pietre fredde sotto di lui sembravano l'unico legame con il mondo che conosceva. "Sono tornato per questo?", si chiese, fissando il nulla. "Per essere dimenticato, deriso?" Il suo sguardo vagava tra le facce anonime che lo ignoravano, tra le voci che si perdevano nell’aria, come se non avessero sostanza. "Cos'è questo mondo in cui vivo ora? Non lo comprendo… è troppo rapido, troppo caotico, troppo diverso da tutto ciò che ho conosciuto. La mia città è diventata una straniera per me e io sono lo straniero."
Sentiva il peso dei secoli sulle spalle, una fatica che non era fisica, ma esistenziale. Federico si accorse allora che non c'era più alcuna differenza tra lui e quelle pietre su cui sedeva: entrambi erano relitti di un passato che non apparteneva più a nessuno. La gloria, la bellezza, la forza, tutto si era sgretolato, e ciò che rimaneva era solo silenzio.
Un cane randagio si avvicinò, interrompendo il suo flusso di pensieri. Annusò la sua tunica, come cercando di riconoscere qualcosa che nessun altro poteva vedere. Federico lo osservò con uno sguardo che sembrava chiedere perdono per quella stessa indifferenza che ora lo circondava. Il cane, senza fare rumore, si sdraiò al suo fianco, come se comprendesse la stanchezza che li legava entrambi. Federico chiuse gli occhi, sentendo il calore dell'animale accanto a lui. Forse, pensò, questo era tutto ciò che restava.
Quando il sole si alzò, la città si risvegliava. Le persone passavano accanto a lui, gettando sguardi distratti. Alcuni gli lanciavano una moneta, altri ridevano di quel vecchio strano, con quegli abiti fuori tempo. Nessuno vedeva l’imperatore che era stato, solo un uomo dimenticato, travolto dal tempo. "Eppure, tutto questo è stato mio," pensava ancora Federico, ma le sue parole non li ascoltava più nessuno. Così rimaneva lì, prigioniero tra due mondi: quello della gloria passata, che si sgretolava nei suoi ricordi, e quello dell'oblio presente, che lo avvolgeva senza pietà.
@GiuseppeLonatro2024
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