a Pietro Roversi(*)
un poeta all'estero
Si potrebbe pensare che mi sia organizzato.
Generalmente da umano. Segnalo la parola
umano quale finestra in grata. Dal prato
prendo dieci passi nella stanza 4x3 e solo
due minuti ogni ora, ma il tempo non vola.
Platone è meglio del Prozac richiede lenti
e lente lente ripetizioni. Leggo ciò che serve
in primavera ai semi indipendenti
ma la gemma ansima quando occorrebbe verve.
Ansima sul basilico, presa dai suoi nervi.
Toccherà ai semi occuparsi di fare meglio:
da sempre è questa la speranza dei tronchi
- che fa battere il legno e lo tiene sveglio -
prima che il fulmine li stronchi.
o l’occhio del ciclone li abbranchi.
Toglie il respiro il numero enorme
dei morti inguardabili, infiammabili
da soli. Chi saprà mai in noi quale parte informe
immunizza da quel fuoco? Non è deducibile
né dal dolore né dal conto indicibile
dei corpi. Lasciamo alla cenere la dignità di ritorno.
Adesso mi resta tempo per viaggiare nei siti
che fanno rumore. So nascondermi di giorno,
invoco la sonorità della strada e il suo rito
quotidiano. Che ansia! Anche il mito
infetta! Da uomo immobile mi muovo
in un goffo qi gong. C’è abbastanza
metodo in questa pratica di rinnovo?
Ansia da resurrezione, penso. O demenza
delle pratiche officinali per l’emergenza.
Eppure, sulle ossa nude della nazione, la polpa
sono i santi che si espongono. Avranno ceri e la medaglia
di uno stentato giorno di memoria. Io sento la colpa.
Questa salvezza - che m’invaghisce - è la loro taglia.
Ma ognuno come può affronta la battaglia:
chi con la bocca coperta vuol mordere il leone,
chi, conoscendo la secca, sta manovrando il timone.
(*)Lecturer @NatSciUoL and Research Fellow @LeicStructBio. Rescuing secretion of glycoproteins in rare disease. Ma, soprattutto, Poeta di straordinaria sensibilità.
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